Arezzo


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Profilo delle esperienze di potere personale e signorile in relazione al sistema politico:

Le esperienze signorili che maturarono ad Arezzo tra la metà del Duecento e la definitiva acquisizione fiorentina del 1384, coprendo complessivamente più di un cinquantennio (per quanto non consecutivo), palesarono una notevole eterogeneità “tipologica”. A preminenze personali che si concretizzarono nella reiterata assunzione di ordinarie cariche comunali si affiancarono leaderschip popolari che tentarono di incidere sugli usuali organigrammi cittadini; ad egemonie germinate dall’autorità politica tributata al vescovo si abbinarono –e sovente confusero- signorie fondate sull’attribuzione dell’inedito honor di dominus civitatis; a preminenze delle più influenti famiglie cittadine seguirono submissiones a sovrani e potenti signori stranieri.

Questa rilevante varietà si associa ad un’altrettanto multiforme caratterizzazione dei soggetti che si resero protagonisti di tali ascese. Esercitarono forme di egemonia personale sulla città tanto esponenti di grandi casati d’estrazione comitale quanto membri di famiglie originariamente ascrivibili alla piccola aristocrazia capitanale, tanto rappresentanti di lignaggi della milizia cittadina quanto forestieri d’estrazione popolare dotati di competenze professionali nel campo del diritto.

Nondimeno è possibile delineare alcune tendenze in grado di inquadrare in modo più ordinato tale caleidoscopico panorama che pure rappresenta, di per sé, un dato rilevante, capace di sottolineare le alternative che si offrirono agli sviluppi politici di un comune italiano ed i multiformi protagonisti sociali che di quelle si fecero interpreti.

La prima esperienza signorile aretina si realizza nel contesto di poco successivo alla sconfitta fiorentina di Montaperti che vide il ghibellinismo imporsi in buona parte della regione e Manfredi avviare un embrionale sistema di coordinazione sovracittadina. L’egemonia di Simone Guidi, esplicatasi per un triennio, a partire dal 1263, tramite la reiterata assunzione della carica podestarile, è dunque il portato della supremazia sveva; essa tuttavia attesta anche gli stretti rapporti che, dagli inizi del XIII secolo, si erano instaurati tra il Comune di Arezzo e la potente casata comitale e adombra la preminenza, in seno ai rapporti di forza cittadini, di quella componente magnatizia dotata di rilevanti basi di potere nel contado che in maniera più decisa appoggiò la parabola guidinga.

La pacificazione generale tra guelfi e ghibellini siglata nel 1266, rispondendo principalmente alle aspettative della parte popolare, rafforzò quest’ultima nella sua aspirazione ad un controllo sempre più stringente sull’intero spazio politico cittadino. Tale intendimento si manifestò in tutta la sua radicalità nel 1287 allorché il Priore delle Arti Guelfo da Lombrici si fece patrocinatore di una politica accesamente antinobiliare. L’espulsione del podestà e la compressione delle prerogative aristocratiche comportarono il conseguimento di un potere che, in virtù delle sue aspirazioni egemoniche, poté assumere per alcuni cronisti tratti latamente signorili.

A dimostrazione del peso ancora detenuto dalla componente magnatizia, la politica ultrapopolare del Priore innescò però una reazione congiunta dei grandi guelfi e ghibellini appoggiati dal presule Guglielmino degli  Ubertini. Ad Arezzo, ancora sul finire del XIII secolo, il vescovo era infatti capace di candidarsi quale guida cittadina. Tale possibilità, più che attingere ad antiche investiture imperiali che conferivano al presule la metà delle giurisdizioni comitali, derivava da una serie contingente di fattori. In prima istanza la ricca dotazione castrale dell’episcopio, andando di volta in volta a sommarsi a quelle già cospicue delle famiglie dalle cui fila i vescovi provenivano, faceva di questi ultimi i più potenti e forniti signori dell’Aretino. In secondo luogo l’incapacità dell’aristocrazia di addivenire a stabili equilibri conferiva al vescovo, nella perdurante conflittualità cittadina, una posizione di assoluto primato che promanava dalle sue stesse capacità pacificatorie.

Nonostante tali presupposti, la tutela politica esercitata dal presule rimase a lungo intermittente e, per quanto ancora una volta essa fosse espressione del predominio delle casate magnatizie, non raggiunse, prima della fine del XIII secolo, una stabile formalizzazione.

Dopo la morte dell’ Ubertini nella giornata di Campaldino, la successiva esperienza signorile fu infatti quella di Uguccione della Faggiuola, che, rispondendo all’esigenza cittadina di avvitarsi quanto più organicamente possibile entro lo schieramento antifiorentino e concretizzandosi nell’attribuzione di una abnorme podesteria quadriennale, ricordò per alcune delle sue caratteristiche generali quella di Simone Guidi.

Fu ad opera di un nuovo esponente della grande casata comitale che i presuli cittadini tornarono ad esercitare, nel secondo decennio del XIV secolo, il loro primato politico. Per quanto il vescovo Ildebrandino Guidi, primo fra tutti, poté probabilmente fregiarsi del titolo di dominus civitatis, fu la sua, almeno apparentemente, una signoria poco pervasiva nei confronti dei tradizionali istituti comunali, non foss’altro per la breve durata cronologica.

Sarebbe stato Guido Tarlati, che gli successe sulla cattedra ottenendo anch’egli, dopo due anni di episcopato, la qualifica signorile, ad incidere ben più profondamente negli equilibri cittadini. Il vescovo ed i suoi congiunti, qualificandosi come indispensabili interlocutori dell’autorità imperiale, riuscirono infatti ad operare una peculiare mutazione signorile. Quella che era stata una posizione di potere derivante dalla propensione cittadina a riconoscere nel presule l’arbitro delle vicende politiche fu infatti declinata dai Tarlati in forme sempre più schiettamente famigliari. Così alla morte del vescovo, intervenendo sulla normativa statutaria, i membri del casato istituirono la nuova carica di defensores attribuendola, prima, a Rodolfo di Tarlato e Bettino di Vanni (rispettivamente zio e cugino del defunto), quindi, a Bertoldo di Masgio e Pier Saccone (altro cugino e fratello di Guido). A fronte di embrionali propensioni “dinastiche”, solo le sconfitte militari patite da Pier Saccone nel quadro delle guerre viscontee, alle quali egli partecipò quale fiero alleato dei milanesi, impedirono all’esperienza tarlatesca di perpetuarsi ulteriormente.

Una prima cessione della città a Firenze, siglata nel 1337 dallo stesso Pier Saccone, mutò profondamente l’orientamento politico e gli assetti istituzionali aretini. Se l'inserimento nell'orbita fiorentina indusse gli Aretini a riconoscere l'autorità di Gualtieri di Brienne, l'adeguamento da parte della nuova Dominante al paradigma guelfo e popolare, comportò modificazioni nella fisionomia delle successive egemonie che acquisirono i caratteri di informali preminenze famigliari. Furono dunque prima i Brandaglia e poi i Bostoli, entrambe compagini parentali assai più lontane rispetto a quelle dei Guidi e dei Tarlati da una connotazione schiettamente militare, ad esercitare collettivamente un invasivo controllo sulla vita politica cittadina. Le strategie di potere delle due famiglie si fondarono principalmente sulla rigida gestione delle pratiche di imborsazione, sulla penetrazione di propri partigiani entro i principali organi comunali, sull’esclusione politica dei gruppi antagonisti e delle principali casate aristocratiche.

Nondimeno la situazione generale in cui ormai versava Arezzo -dilaniata dalle violente contrapposizioni tra le due famiglie egemoni, privata del distretto ad opera delle consorterie magnatizie bandite, sottoposta alle mire fiorentine e senesi- indusse i Bostoli a negoziare la cessione della città nelle mani di Carlo di Durazzo. A fronte dell’incapacità delle forze locali di esprimere individualità in grado di imporre in forme non contrastate la propria egemonia, l’ingresso del sovrano segnò l’esordio nella scena politica di soggetti del tutto estranei alla realtà cittadina. La parziale conquista da parte di Enguerrand de Coucy, complicando ulteriormente il quadro generale, fu il preludio all’ultima e definitiva cessione della città a Firenze del 1384.

Il cangiante ed articolato panorama fin qui delineato presenta dunque alcuni indirizzi qualificanti. Le più risalenti esperienze signorili aretine, quelle cioè maturate nella seconda metà del XIII secolo, si caratterizzarono per la breve durata, la sostanziale informalità e (ad esclusione di quella del popolare Guelfo) il sostegno ricevuto da componenti di estrazione magnatizia. A cavaliere tra Due e Trecento, l’azione politica dei vescovi cittadini, pur essa finalizzata a conservare, disciplinandola, l’egemonia aristocratica, si accompagnò ad una più rigida formalizzazione dell’opzione signorile che suggerirà alla famiglia Tarlati, sostenuta dal favore imperiale, una mutazione in senso dinastico del potere conseguito. L’orientamento guelfo e popolare adottato dalla città in conseguenza del fallimento tarlatesco impose inedite strategie che si realizarono in sfumate preminenze familiari, formalmente rispettose degli assetti istituzionali da poco raggiunti. Se ne fecero artefici nuovi soggetti egemoni, per la prima volta ascrivibili a categorie sociali difformi da quelle prettamente aristocratiche che fino ad allora avevano rappresentato i protagonisti della locale vita politica. Il definitivo collasso degli equilibri cittadini, sottoposti a insostenibili pressioni tanto endogene quanto esterne, avrà come risultato l’effimero assoggettamento a potenti stranieri, preludio alla definitiva dedizione della città a Firenze.



Elenco cronologico degli Individui e delle Famiglie:

Individui:

Simone Guidi (1263-1266)

Guelfo da Lombrici (1287)

Guglielmino degli Ubertini (1287-1289 giugno 11)

Uguccione della Faggiuola (1292-1295; 1308-1310)

Ildebrandino Guidi di Romena (1311-1312)

Guido Tarlati (1315-1327 ottobre 21)

Pier Saccone Tarlati (1327 ottobre- 1337 marzo)

Gualtieri di Brienne (1343)

Carlo III d'Angiò-Durazzo (1380-1384)

Enguerrand de Coucy (1384 settembre 28-novembre 5)

Famiglie:

Guidi

Angiò

Tarlati

Brandaglia

Bostoli



Bibliografia di riferimento:

L. Berti, Arezzo nel tardo medioevo (1222-1440). Storia politico-istituzionale, Società storica aretina, Arezzo, 2005; G. Fatini, L’ultimo secolo della repubblica aretina, «Bull. Senese di storia patria», XXXI (1924), pp. 92-106; J.P. Delumeau, Arezzo. Espace et sociétés, 715-1230. Recherches sur Arezzo et son “contado” du VIII au début du XIII siécle, 2 voll., Roma, Ecole Française de Rome, 1996; Id., Vescovo e città ad Arezzo dal periodo carolingio al sorgere del Comune( secoli IX-XII), in Vescovo e città nell’Alto Medioevo: quadri generali e realtà toscane, Atti del Convegno Internazionale di Studio organizzato dal Centro Italiano di Studi di Storia e d’Arte di Pistoia (Pistoia, 16-17 maggio 1998,a cura di G. Francesconi, Centro Italiano di Studi di Storia e d’Arte di Pistoia, Pistoia 2001, pp. 241-255; Storia di Arezzo: stato degli studi e prospettive, Atti del Convegno (Arezzo, 21-23 febbraio 2006), a cura di L. Berti e P. Licciardello, Firenze , Edifir, 2010; G. Tabacco Nobiltà e potere ad Arezzo in età comunale, «Atti e Memorie dell’Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze», XLI (1973-75), pp.123-147.

Note eventuali: