di:
Piero Gualtieri
Nella secolare parabola delle esperienze di dominio personale che segnarono la storia della Pistoia di epoca comunale la prima metà del Trecento costituisce senza dubbio il vertice della curva. Nel giro di poco meno di trent’anni, dal 1313 al 1329, la città dell’orso conobbe l’ascesa al proprio vertice di cinque diversi personaggi, di provenienza interna ed esterna e dai profili politici, sociali e personali variegati, che lasciarono un’impronta significativa sulle vicende delle città, contribuendo in maniera decisiva alla sua evoluzione nel medio e lungo periodo. Se il primo trentennio del XIV secolo rappresentò per così dire ‘l’età dell’oro’ della signoria pistoiese esso non esaurì tuttavia il fenomeno in sé, che conobbe momenti significativi precedenti e successivi a tale periodo: il primo esempio di dominazione signorile conosciuto dalla città dell’orso risale infatti al terzo quarto del Duecento.
Entrata definitivamente a far parte dell’orbita fiorentina fin dal 1254, Pistoia risentì in maniera diretta delle vicende che interessarono negli anni immediatamente successivi l’intero scacchiere politico italiano: sull’onda lunga provocata dalla decisiva vittoria di Carlo d’Angiò su Manfredi a Benevento, la città si ricollocò così di nuovo all’interno dello schieramento guelfo, concedendo – come Firenze e gran parte delle altre città vicine – nel 1267 la signoria al sovrano angioino. Le scarse fonti disponibili per il periodo non ci consentono di definire con precisione le coordinate politiche e istituzionali della signoria di Carlo ma possiamo in ogni caso coglierne la cifra ultima in relazione al dipanarsi delle vicende locali. A fronte della presenza al vertice delle istituzioni comunali del vicario di nomina regia l’impatto del dominio angioino sulle dinamiche politiche e sociali interne fu con ogni probabilità limitato (o comunque meno profondo rispetto a quanto avveniva in contesti limitrofi), e non alterò in maniera definitiva gli equilibri fra le parti.
In un contesto caratterizzato dal mantenimento di un’ottica e di un linguaggio politico peculiari venne dunque aumentando gradualmente il peso dell’influenza fiorentina, che si intensificò in particolare con l’esplosione – grosso modo negli anni ottanta del Duecento – del celebre conflitto di fazione all’interno del ceto dirigente pistoiese (Bianchi e Neri). L’inizio del nuovo secolo e la conquista della città (1306) a opera di Firenze e Lucca lasciò Pistoia in condizioni estremamente precarie, sul piano politico (le due città vincitrici si spartirono la nomina degli ufficiali forestieri) come su quello economico e financo demografico (la città non recupererà più la forza economica e la consistenza demica dei decenni precedenti l’assedio, se non alle soglie dell’età contemporanea).
Furono tuttavia ancora una volta le circostanze esterne a provocare in città l’affermazione di un dominio di tipo signorile. La discesa in Italia di Enrico VII spinse infatti anche Pistoia, come Firenze, Lucca e numerosi altri centri grandi e piccoli della regione, a ricorrere alla protezione di Roberto d’Angiò, cui venne concessa la signoria sulla città per complessivi sei anni. La presenza dei vicari di nomina angioina, i quali sostituirono gli ufficiali di vertice del Comune, rafforzò la collocazione della città all’interno dello schieramento guelfo-fiorentino ma non incise nemmeno in questo caso sulla struttura delle istituzioni cittadine, che si mantenne in buona sostanza inalterata.
Quel che è certo è che la società pistoiese vide crescere in quegli anni il peso di un gruppo ristretto di famiglie di antica tradizione (Tedici, Lazzari, Ricciardi, Rossi, Taviani) che si imposero di fatto al vertice delle istituzioni, influenzando in forma più o meno diretta il governo cittadino. La successiva affermazione a Lucca di Castruccio Castracani, e la conseguente alterazione dello scacchiere politico regionale con la momentanea rivitalizzazione del ghibellinisimo, contribuì in questo senso a modificare gli equilibri interni al ceto dirigente pistoiese, favorendo la polarizzazione degli schieramenti e l’emersione di un’insanabile frattura – originatasi primariamente per il controllo delle istituzioni cittadine – fra le citate famiglie di vertice.
Al termine di una fase politica concitata, segnata dai contrasti interni e dalle pressioni esterne, nella quale si fece sentire in maniera esplicita il peso di Firenze (che cercò invano di acquisire il dominio sulla vicina), si giunse così nel 1322 alla presa del potere da parte di Ormanno Tedici, abate del monastero di Pacciana e membro di punta del lignaggio. Appoggiata dai ceti popolari e dagli artigiani minuti che mal sopportavano il clima di guerra (e soprattutto le tante pratiche conseguenze negative ad esso connesse) con Castruccio, la signoria del Tedici si rivelò incapace di far fronte alle difficoltà del momento. Alcune probabili mancanze a livello personale – in termini di abilità nella gestione dei legami politici, la crescente ostilità della maggior parte del ceto dirigente pistoiese – che accusava l’abate di eccessiva condiscendenza nei confronti del Castracani, le mire incrociate sulla città del signore di Lucca e di Firenze, e infine le ambizioni di potere del nipote Filippo – che seppe sfruttare abilmente a proprio vantaggio la citata opposizione delle principali famiglie guelfe, portarono nel luglio del 1324 alla caduta di Ormanno, che venne soppiantato al vertice del governo cittadino proprio da Filippo.
Cosciente dell’impossibilità di mantenersi al potere senza il pieno sostegno di una delle due città contendenti al dominio su Pistoia, questi scelse di appoggiarsi a Lucca, il cui signore – a suggello dell’accordo – gli promise la mano della figlia Dialta. Nel maggio del 1325, con un colpo di mano orchestrato per neutralizzare l’eventuale reazione delle famiglie guelfe, Castruccio entrò così in città ottenendo la signoria su Pistoia (che tenne fino alla propria morte tre anni più tardi). L’inserimento nel dominio sovracittadino del Castracani non ebbe ripercussioni particolari sulle istituzioni pistoiesi, che continuarono a essere dominate da Filippo Tedici in qualità di vicario del signore lucchese; sul piano sociale, invece, il cambio di schieramento provocò l’esodo di numerosi esponenti del mondo guelfo cittadino. Il dominio di Castruccio si mantenne saldo per poco meno di tre anni: nel febbraio del 1328, con un’azione militare mirata, i fiorentini riuscirono temporaneamente a conquistare la città ma, anche a causa di alcuni gravi errori commessi nella gestione politica e militare della situazione, la ripersero pochi mesi dopo (il 3 agosto Castruccio e Filippo rientrarono in possesso di Pistoia).
La morte improvvisa del Castracani nel settembre di quello stesso anno rimise tuttavia di nuovo in discussione l’assetto appena ristabilito. Le fonti disponibili per quegli anni sono oltremodo lacunose, ma è certo che – come le altre città già sottomesse a Castruccio– anche Pistoia passò sotto il controllo dell’imperatore Ludovico di Baviera (la presenza di un suo vicario è attestata a Pistoia nel gennaio del 1329). Quale che fosse la presa effettiva del Bavaro sulla realtà locale, in ogni caso, fu ancora una volta la presenza incombente di Firenze a condizionare le scelte del ceto dirigente pistoiese, che proprio con Firenze strinse alfine un accordo di pace nella primavera di quello stesso 1329. Tale passaggio rappresentò di fatto, da parte pistoiese, il riconoscimento della supremazia fiorentina sulla propria città; supremazia che negli anni immediatamente successivi trovò esplicita espressione nella concessione a Firenze della custodia di Pistoia, del suo contado e distretto, operata dai Consigli cittadini nel luglio del 1331 e quindi rinnovata successivamente fino al 1339. La stessa successiva attribuzione della signoria a Gualtieri di Brienne, duca d’Atene, che Pistoia operò nel 1342 in seguito a quanto avvenuto sulle rive dell’Arno, si inserì direttamente sulla scia di tale periodo di predominio.
Ultimo esempio di dominazione signorile vissuto dalla città dell’orso, la signoria del duca d’Atene non ebbe in ogni caso ripercussioni durature sulla struttura istituzionale pistoiese. La principale conseguenza principale di tale esperienza fu in realtà la restituzione della propria autonomia alla città, giacché con la cacciata di Gualtieri da Firenze – e la conseguente dissoluzione del suo dominio su Pistoia – il ceto dirigente locale riacquistò spazi di manovra politica da tempo perduti.
Si trattò tuttavia di una breve parentesi, destinata a interrompersi dopo meno di dieci anni (1351; anche se la sottomissione definitiva a Firenze arriverà col Quattrocento) e a non ripresentarsi più.
Individui:
Carlo d’Angiò (1267-1278)
Roberto d’Angiò (1313-1319)
Ormanno Tedici (1322-1324)
Filippo Tedici (1324-1325)
Castruccio Castracani (1325-1328)
Ludovico il Bavaro (1328-1329)
Gualtieri di Brienne (1342-1343)
Famiglie:
Q. Santoli, Pistoia e Castruccio, Firenze, Tipocalcografia classica, 1934; E. Lucchesi, I monaci Benedettini Vallombrosani della diocesi di Pistoia e Prato, Firenze, Editrice fiorentina, 1941, pp. 157-161; L. Gai, Pistoia nella prima metà del ‘300, Pistoia, Società pistoiese di storia patria, 1981; Ead., L’ultimo periodo dell’autonomia comunale pistoiese, Pistoia, Società pistoiese di storia patria, 1981; G. Cherubini, Apogeo e declino del Comune libero, in Storia di Pistoia, II, L’età del libero Comune, a cura di Id., Firenze, Le Monnier, 1998, pp. 41-87, pp. 58-72; L. De Angelis, I Podestà di Pistoia, in La Pistoia comuanle nel contesto toscano ed europeo (secoli XIII-XIV), a cura di P. Gualtieri, Pistoia, Società pistoiese di storia patria – Fondazione Cassa di risparmio di Pistoia e Pescia, 2008, pp. 149-167.