di:
Riccardo Rao
Le prime notizie della famiglia risalgono alla seconda metà del XII secolo. All’epoca il lignaggio appare ben inserito nelle liste consolari del comune di Pavia. Esso era, inoltre, titolare di diritti signorili a Casorate, una località al confine del contado pavese di spettanza dell’episcopato ticinese (anche se interessata, proprio in tale epoca, dall’espansione dell’abbazia cistercense di Morimondo). Si trattava dunque di una stirpe aristocratica di origine urbana, di milites, che tuttavia aveva acquisito, forse grazie alle relazioni con il presule, prerogative giurisdizionali nel contado. A dispetto di tale origine sociale, i Beccaria sposarono, almeno dalla metà del Duecento, la causa popolare, di cui rappresentarono con continuità gli interessi: da tale epoca sono attestati alla guida del populus.
I Beccaria instaurarono una signoria monocittadina, ancorata a Pavia e al suo contado.
L’assenza di una formalizzazione istituzionale alla loro autorità, se non sul finire del Duecento, attraverso la concessione a Manfredo del titolo di podestà del popolo, condizionò le forme di successione. Da un lato, paradossalmente, la successione, non comportando l’acquisizione di cariche ufficiali, non divenne un momento problematico: per tre generazioni il potere si trasmise all’ombra delle istituzioni di padre in figlio, da Manfredo a Musso e da Musso a Castellino. Dall’altro, la mancanza di titoli impedì all’erede al potere di mettere in atto forme di governo eccessivamente personalistiche, costringendolo a condividere il potere con fratelli, zii e nipoti.
Nel 1355, l’imperatore Carlo IV concesse a vari membri dei Beccaria la conferma dei loro possessi. Al culmine della sua potenza, la casata era titolare di numerosissimi castelli nel contado pavese, tanto nell’area collinare quanto in quella di pianura, oltre ad alcune località monferrine, ricevute in feudo da Giovanni II (Occimiano, Grana, Motta Grana, Baldesco). Per esempio, Milano Beccaria, uno dei membri di spicco del lignaggio ottenne da Carlo IV la legittimazione dei diritti signorili su Arena Po, Bosnasco, Cilavegna, Tromello, Confienza, Rosasco, Palestro, Robbio, Castelnovetto, Sant’Angelo e Grangia Scovarda.
A Voghera e in Oltrepò le basi del potere della stirpe erano particolarmente salde, anche grazie alle attività usurarie con cui essa teneva soggiogate numerose comunità rurali (per esempio, nel 1357, Fiorello aveva crediti con Montù Belcredi, Casteggio, Voghera e Montalto): in tale zona, i Beccaria si arroccarono allorquando furono costretti a uscire dalla città durante il regime di frate Giacomo Bussolari. In tale area, essi mantennero dunque il controllo del territorio, stringendo i legami con le stirpi aristocratiche dell’area, anche guelfe (in particolare i Sannazaro e i Langosco), e ricevendo giuramenti di fedeltà da parte delle comunità di cui erano insignoriti (per esempio Milano Beccaria ottenne quello di Montù Beccaria nel 1359).
Un aspetto significativo è costituito dall’acquisizione di alcuni castelli, ubicati per lo più in zone di confine con i territori di altre città e signorie, attraverso concessioni da parte del comune di Pavia: è il caso di Gambolò e, soprattutto, di Arena Po, che divenne una delle principali residenze della famiglia e fu oggetto di consistenti interventi di abbellimento secondo un gusto cortese a partire dalla fine del Duecento e lungo la prima metà del Trecento. Tale modalità di acquisizione, riscontrabile anche in altre signorie padane, consentiva di coniugare le ambizioni di ampliamento dei propri possedimenti da parte della dinastia, con le esigenze di difesa e controllo del territorio da parte del comune, che in tal modo vedeva ben protetti i suoi avamposti dalle milizie della stirpe.
Parlando di Fiorello, il cronista Pietro Azario ricorda che «innumerevoli erano i denari e le messi, perché fu sempre pubblico usuraio». «Frumentari del sangue del popolo» (frumentarii sanguinum populi) fu del resto l’epiteto rivolto alla stirpe dal Bussolari per aizzare la folla pavese contro di loro. Nell’usura e nel commercio dei grani, alimentato dai vastissimi possessi della stirpe nel contado, risiedeva dunque la principale ricchezza del lignaggio.
Il fondo familiare più cospicuo è costituito dall’Archivio Beccaria conservato nell’Archivio storico civico, presso la Biblioteca Bonetta. In realtà tale fondo conserva materiale per lo più posteriore alla seconda metà del Trecento, quando la dominazione della stirpe su Pavia si era ormai esaurita. Per il periodo che va dalla fine del Duecento alla metà del Trecento le tracce documentarie più consistenti sono conservate dai Fondi Notarili di Pavia e Voghera presso l’Archivio di Stato di Pavia. In particolare, il cartulario del notaio Anselmo Anselmi illustra con efficacia il dominio di Milano Beccaria ad Arena Po negli anni dell’esilio, dal 1357 al 1359, mentre quello del notaio vogherese Giovanni Accursi trasmette diversi documenti, dello stesso periodo, relativi ai rami insediati nei pressi del borgo iriense. Diversi testamenti di esponenti della casata sono conservati dall’archivio dei Frati Minori (all’interno di quello di San Pietro in Ciel d’Oro).
Le carte del monastero di S. Maria di Morimondo (1171-1200), II, a cura di M. Ansani, Pavia-Milano 1992, doc. 334; Petri Azarii Liber gestorum in Lombardia, a cura di F. Cognasso, Bologna 1926 (RIS2, XVI/4), pp. 116, 121.
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