di:
Maria Pia Contessa
Famiglia di origini modeste, nonostante i consueti tentativi di nobilitazione da parte di eruditi moderni, che si affermò nell’ambiente cittadino grazie ai traffici commerciali e per la quale è possibile ricostruire una genealogia attendibile solo dall’inizio del Duecento. Nei primissimi anni del secolo troviamo il più antico esponente del lignaggio, un Oberto che appare impegnato ad investire nel commercio marittimo a breve raggio capitali di limitata entità, affidatigli da piccoli risparmiatori. Più consistenti le notizie sui figli: Iacopo e Guglielmo, attivi negli anni Venti in transazioni commerciali e finanziarie di modesta portata, nonché Rinaldo e Marino, consiglieri del Comune negli anni Quaranta e dunque con tutta probabilità fra i primidella famiglia a ricoprire incarichi pubblici di un certo rilievo.
Un balzo in avanti nella costruzione della fortuna familiare avvenne quando Iacopo, Guglielmo e Rinaldo si misero al servizio di Luigi IX impegnato nella sua prima crociata, confermando così la predisposizione dei B. a gravitare nell’orbita francese che già era stata palesata da Oberto. I contatti con i vertici del mondo mercantile e finanziario genovese e, di conseguenza, i primi matrimoni celebrati con esponenti delle famiglie che contavano aprirono loro l’accesso alle cariche che ai nobili erano precluse. Ben presto emerse la figura di Guglielmo, console della colonia genovese ad Aigues Mortes nel 1249, consigliere del Comune nel 1251 e nel 1256, ma soprattutto legato da vincoli familiari e di affari alle casate filoimperiali vicine al sempre più influente ceto dei populares del quale Guglielmo stesso era oramai un esponente di primo piano. E quando l’azione congiunta di nobili ghibellini e populus portò quest’ultimo al potere, Guglielmo sembrò la persona più adatta a rappresentarne politicamente le istanze.
La caduta di Guglielmo dopo soli cinque anni di governo personale non ebbe conseguenze particolarmente negative per i B. Essi non furono danneggiati dal punto di vista patrimoniale e poterono continuare ad esercitare le tradizionali attività economiche, che del resto non avevano trascurato nemmeno negli anni che li vedevano impegnati in ruoli pubblici di primo piano a fianco del loro potente congiunto. La prossimità con la nobiltà ghibellina permise, anzi, ad alcuni dei più stretti parenti dell’antico Capitano di riavvicinarsi alla gestione della cosa pubblica durante la diarchia Doria-Spinola.
Nel primo Trecento i B. avevano ormai consolidato sia la loro posizione di spicco nel ceto mercantile di origine popolare che i legami, matrimoniali e commerciali, con le famiglie nobili impegnate a contendersi la preminenza politica cittadina. Appaiono inoltre ben inseriti nell’ambiente politico savonese, dove uno di loro compare a fine Duecento fra i consiglieri del Comune e dove avevano costruito una rete di relazioni che tornerà a vantaggio di Simone negli anni del dogato. Infine, non avevano cessato di coltivare i rapporti con la Francia e col mondo provenzale, favorendo lo sviluppo culturale caratteristico della società genovese a cavallo fra XIII e XIV secolo.
In questi stessi anni erano insediati nella zona cittadina di Pelliparia, nella compagna di Portanuova, dove avevano acquisito proprietà immobiliari a Luccoli e vicino alla chiesa di San Siro. Nelle vicinanze si concentravano i possedimenti di svariate famiglie dell’aristocrazia mercantile a loro legate che a fine secolo entreranno, come i B. stessi, nell’albergo de Franchi. Inoltre, la prossimità territoriale con i Grimaldi, in competizione con gli Spinola per il controllo dell’area, non impedì alle due famiglie di mantenere rapporti distesi malgrado i differenti orientamenti politici.
La figura di maggior rilievo all’interno del gruppo parentale sembra essere adesso Iacopo di Lanfranco, che troviamo a rappresentare i ghibellini genovesi presso Roberto d’Angiò per le trattative di pace che avrebbero dovuto mettere fine alla guerra civile cittadina. I suoi figli sono impegnati soprattutto nelle tradizionali attività economiche della famiglia, mentre non sembrano essere direttamente coinvolti nelle convulse vicende politiche genovesi che preludono all’istituzione del dogato. Simone , in particolare, non ricoprì incarichi pubblici prima del 1339, e tuttavia doveva essere una figura di riferimento per i populares che lo acclamarono in quella circostanza.
Negli anni di governo del primo doge i B. proseguirono nella consueta politica matrimoniale che li portò a consolidare i legami con i vertici dell’aristocrazia genovese e ad instaurare nuove proficue alleanze al di fuori dei confini della Repubblica. Simone stesso sposò una donna dei conti d’Elci, nobili ghibellini toscani, e fece unire la figlia Maddalenetta con Luchinetto di Luchino Visconti. Sembra, invece, che la loro situazione economica non abbia tratto particolari vantaggi dalla posizione di Simone poiché la fonte principale della fortuna familiare restava l’esercizio dell’attività mercantile, nella quale si era affermato soprattutto il fratello maggiore, Egidio.
La caduta di Simone segnò il declino della famiglia, avversata ora dagli Adorno. L’ultimo dei B. che ebbe un ruolo di qualche rilievo nelle vicende genovesi fu Battista di Simone. Egli sposò la figlia del doge Niccolò Guarco, avversario degli Adorno, e partecipò in prima persona alla rivolta contro il doge Antoniotto nella primavera del 1392. Il tentativo fallì ma Battista riuscì ad evitare conseguenze personali e anzi pochi anni dopo, durante il quarto dogato dell’Adorno, fu uno dei due incaricati della spedizione contro Savona e il suo signore, il duca d’Orléans. L’insuccesso della missione e la pressione dei savonesi e dei loro alleati Visconti spinsero il doge a consegnare Genova ai francesi (1396), ma una rivolta fomentata dai popolari contro il governatore Colart de Colleville portò alla creazione di un nuovo governo del quale il B. fu investito (gennaio 1400). Egli era fra coloro che avevano approvato la cessione ai francesi, sia pure a tempo determinato, pertanto riconobbe il loro diritto e dichiarò la sua intenzione di dar vita a un governo a carattere provvisorio, sottolineata dalla decisione di assumere il titolo di Capitaneus custodiae Regis francorum, ma fu costretto a ritirarsi dopo poco più di un mese a causa dell’opposizione armata condotta dagli Adorno. Quando nel 1401 i francesi riuscirono ad insediarsi a Genova, dove nel frattempo erano falliti sia i tentativi di pacificazione fra le fazioni che una seconda esperienza di rettorato affidata a Battista de Franchi, il nuovo governatore Jean le Maingre fece arrestare e giustiziare sia il B. che il de Franchi, ritenuti egualmente responsabili di usurpazione per avere ricoperto la carica di Capitaneus senza l’avallo di Carlo VI.
Il problema territoriale riguardò soprattutto Simone, il quale più che estendere i confini dello stato, cercò di recuperare e sottomettere quelle zone che più di altre si mostravano restie ad accettare la dipendenza da Genova, nel tentativo di rendere più compatto il territorio del distretto.
Decenni di lotte fra guelfi e ghibellini, condotte nelle Riviere non meno che nella città dominante, avevano infatti avuto la conseguenza di creare una forte disomogeneità nelle situazioni giuridiche del dominio genovese, il cui territorio ai primi del Trecento era caratterizzato da numerose isole di autonomia più o meno accentuata.
La situazione era particolarmente compromessa nella Liguria occidentale, dove il B. sfruttò inizialmente l’appoggio di Savona (che indirettamente con la sua ribellione aveva favorito la sua ascesa al dogato) per indirizzarsi contro i marchesi Del Carretto e gli altri nobili della Riviera, che fu così recuperata quasi completamente al controllo della Repubblica. Tale risultato tuttavia non fu stabile, e durante il secondo dogato il B. dovette faticare molto per imporre la presenza genovese su un territorio con una forte propensione al separatismo e all’autonomia di molte località, nonché oggetto delle mire espansionistiche di potenze limitrofe come i francesi, i marchesi del Monferrato e i Visconti.
La famiglia B. espresse tre rettori cittadini nell’arco di circa un secolo e mezzo (fra la metà del Duecento e il 1400) ciascuno dei quali attuò una signoria personale, sia pure in forme differenti. Sebbene Guglielmo sia stato il protagonista della prima esperienza signorile in assoluto all’interno del casato e della Repubblica, fu con Simone, quasi un secolo più tardi, che venne concepito un progetto signorile e che i B. acquisirono una coscienza di lignaggio abbastanza salda da contemplare la trasmissione della carica agli eredi. La morte improvvisa di Simone, i tumulti che portarono alla cattura e alla prigionia dei fratelli e la pronta successione di Gabriele Adorno (eletto lo stesso giorno) impedirono che il progetto dinastico del primo doge avesse un seguito. L’appoggio di una parte delle forze socio-economiche cittadine all’azione condotta da Battista di Simone contro gli Adorno nella seconda metà del secolo sembra essere stato condizionato più dal ricordo del prestigio del padre scomparso che dalla fiducia nelle effettive doti politiche di Battista.
Non sembra quindi del tutto appropriato parlare di una modalità nelle successioni, nel senso che non pare attuata secondo precisi criteri adottati consapevolmente dalla famiglia. Ciò vale soprattutto in riferimento all’ascesa di Simone, visto il lungo intervallo intercorso dall’esperienza signorile del primo B. e in considerazione del fatto che il doge non era un discendente diretto di Guglielmo ma nipote di un suo fratello.
Nel 1362 Anfreone (fratello di Simone) e il cugino Andronico ottennero dai Fieschi alcune quote del feudo di Savignone a coronamento delle aspirazioni signorili della famiglia.
V. supra Origine sociale.
Cfr. Soprintendenza archivistica per la Liguria, Repertorio di fonti sul patriziato genovese, scheda n. 65, Boccanegra, a cura di A. Lercari, [08/2011]: <http://www.archivi.beniculturali.it/SAGE/repertorio.html>
Azzara, C., Verso la genesi dello stato patrizio. Istituzioni politiche a Venezia e a Genova nel Trecento, in Ortalli, G., Puncuh, D. (a cura di), Genova, Venezia, il Levante nei secoli XII-XIV, Atti del convegno (Genova-Venezia 2000), «Atti della Società ligure di storia patria», XLI n. s. (2001), pp. 175-188: 182-186; Boldorini, A.M., Guglielmo Boccanegra, Carlo d’Angiò e i conti di Ventimiglia (1257-1262), «Atti della Società ligure di storia patria», LXXVII (1963), pp. 139-200; Pastine, D., Boccanegra, Battista, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 11, 1969, pp. 26-28; Petti Balbi, G., Tra dogato e principato: il Tre e il Quattrocento, in Puncuh, D. (a cura di), Storia di Genova. Mediterraneo, Europa, Atlantico, Genova, Società ligure di storia patria, 2003, pp. 233-324; Petti Balbi, G., Simon Boccanegra e la Genova del ’300, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1995.