di:
Maria Pia Contessa
Famiglia di origine mercantile e di orientamento politico popolare e ghibellino. Originari del borgo di Fregoso, sopra Rivarolo, dove possedevano terre e case, si inserirono con successo nelle attività commerciali con l’Oriente e si imparentarono con famiglie prestigiose.
Emersero politicamente durante il governo di Simone Boccanegra. Il primo ad ascendere ai vertici della politica genovese fu Domenico di Orlando, Anziano nel 1360, Ufficiale di Credenza nel 1361, Priore dell’ufficio di Gazaria nel 1364, Vicario del Popolo (assieme a Guglielmo Ermerio) su incarico del doge Gabriele Adorno di cui fu collaboratore, infine doge a sua volta e successore dello stesso Adorno dal 1370 al 1378. Il fratello di Domenico, Pietro I, comandò la flotta vittoriosa contro i veneziani a Cipro nel 1373, impresa che gli valse riconoscimenti e onori pubblici. Fra Tre e Quattrocento i suoi discendenti si resero protagonisti della politica genovese, monopolizzando i vertici del potere assieme con gli esponenti del casato degli Adorno, di cui furono talvolta alleati ma più spesso antagonisti. Dopo l’esperienza di governo di Domenico e poi del figlio Giacomo (1390-1391), furono proprio i figli e i nipoti dell’eroe di Cipro a ricoprire assiduamente e ripetutamente la carica di doge: Tommaso, Giano (1447-1448), Ludovico (1448-1450, poi altre due volte fra 1461 e 1463), Pietro II (1450-1458).
Durante i primi decenni del Quattrocento Tommaso tentò più volte la scalata al potere, partecipando a vari tentativi per cacciare i signori in carica e accontentandosi, almeno in un primo momento, di sostenere gli Adorno. Attraverso il dogato egli realizzò una forma di signoria personale che, dietro alle immutate apparenze istituzionali, diede avvio ad un tentativo di affermazione del lignaggio attraverso la creazione cosciente e sistematica di un casato (che non a caso prendeva avvio da Pietro), finalizzata alla successione ereditaria dei suoi esponenti sulla poltrona dogale e, in ultima analisi, alla creazione di un principato. L’atteggiamento di Giano e dei suoi immediati successori, sempre uomini della famiglia, mostra chiaramente l’intenzionalità di tale processo di nobilitazione, evidente, ad esempio, nei termini impiegati dalla Cancelleria in certa corrispondenza ufficiale per designare lo stato genovese (ora divenuto principatus) o gli abitanti del distretto (subditi). Il progetto dinastico concepito da Tommaso si era di fatto concretizzato, anche se non in maniera stabile e pur in mancanza del formale riconoscimento dell’autorità imperiale attraverso il conferimento di un titolo nobiliare.
La sequenza di dogi espressi ininterrottamente dal casato si arrestò nel 1458 quando Pietro II, travolto dalle ribellioni interne e nel dominio, nonché dalle aggressioni dei nemici esterni, si risolse a cedere Genova al re di Francia.
La dominazione personale che i C. non riuscirono a mettere apertamente in atto a Genova fu realizzata nel feudo di Sarzana, che rappresentava un (per certi aspetti “il”) centro di aggregazione e di potere familiare ottenuto grazie alla lungimiranza di Tommaso. Qui egli diede vita ad una signoria ispirata probabilmente alle coeve esperienze toscane, come quella lucchese avviata da Paolo Guinigi col quale fu sempre in buoni rapporti. Si occupò personalmente del suo stato negli anni fra i due dogati, poi vi lasciò la moglie Marzia e i nipoti seguendone attentamente le vicende da Genova. Sempre a Sarzana i C. trovarono rifugio dopo l’allontanamento forzato di Tommaso dal potere e durante gli anni della sua prigionia savonese. Furono poi Marzia e il nipote Giano, doge a sua volta, a riscattare Sarzana dai Visconti che nel frattempo l’avevano occupata e a liberare Tommaso, che potè così fare ritorno in Lunigiana nel 1447. L’anno successivo egli vendette il feudo al nipote poi si trasferì a Savona, da dove negli anni seguenti partecipò alla politica lunigianese affidata alla moglie.
In Lunigiana i C. dominarono per oltre sessant’anni, ma pian piano le rivalità fra cugini, la perdita della ininterrotta posizione di forza della famiglia alla guida dello stato genovese e le pressioni delle potenze esterne, in particolare dei fiorentini, resero sempre più difficile mantenere il controllo del feudo che nel 1484 fu ceduto definitivamente al Banco di San Giorgio.
A fianco delle dominazioni genovese e sarzanese i C. diedero vita, forse già con Tommaso di Pietro I, al tentativo di instaurare una signoria familiare su Savona. Diversi membri della famiglia furono inviati a vario titolo a governare la città fin dagli esordi del dogato di Tommaso finché nel 1448 questi vi si ritirò, presso il nipote Tommasino che era rettore in carica, dopo aver venduto a Giano il feudo di Sarzana. Dall’estremo opposto della Liguria prese regolarmente parte alle decisioni di governo della Lunigiana, ma rimase a Savona fino alla morte (1453). Non è chiaro che cosa lo trattenesse lontano dal feudo che era una sua creatura, tantopiù che era stato associato al governo dal nipote. Non vi tornò neanche quando la scomparsa di Giano e la minore età dell’erede resero necessaria la reggenza di Caterina Ordelaffi per conto del nipotino e di Ludovico impegnato a Genova.
Si può forse pensare che, nel Ponente ligure, Tommaso stesse lavorando per portare sotto il controllo diretto della famiglia una comunità che era sempre stata una spina nel fianco della Repubblica. In questo modo si sarebbe costituita un’altra piccola signoria dei C. che avrebbe fatto da contraltare a quella sarzanese nella Riviera opposta come cuscinetto a protezione del principale interesse della famiglia, che restava comunque la Repubblica di Genova. Non possiamo affermarlo con sicurezza, certo però le premesse c’erano. Alla morte di Tommaso, Gian Galeazzo già signore di Ameglia occupò Savona e invano il doge Pietro cercò di rientrarne in possesso. Gian Galeazzo tentò, stavolta apertamente, di crearvi una signoria indipendente arrivando allo scontro aperto con il cugino (1454-’55) che lo portò dapprima ad allearsi con Alfonso d’Aragona e Giovan Filippo Fieschi, poi a cedere la città nel 1458 a Carlo VIII che ne investì nuovamente lo stesso Gian Galeazzo.
Durante il governo dei C. il territorio genovese non subì rilevanti modificazioni, anche se furono assiduamente impegnati a difenderlo da ribelli, nemici e usurpatori. Al confine orientale il controllo territoriale direttamente esercitato dalla Repubblica tendeva, in alcune località, a sovrapporsi e a confondersi con quello esercitato dalla famiglia in quanto titolare della signoria sarzanese. Nella Riviera occidentale fu importante la conquista del territorio dei marchesi Del Carretto che non volevano riconoscere la sovranità genovese. Giano avviò le operazioni belliche (affidate a Pietro II) contro il marchese Galeotto, operazioni che portarono alla conquista di Castelfranco e Giustenice nel 1448; il restante territorio del marchesato fu sottomesso dopo la scomparsa del doge.
Il feudo lunigianese che Tommaso acquistò nel 1421 dai Visconti comprendeva inizialmente Sarzana, Sarzanello, Falcinello, Santo Stefano, e Castelnuovo. Intorno al 1420 lo stesso Tommaso aveva acquisito Ameglia, riscattandola dai Doria a nome della Repubblica di Genova ma pagandola probabilmente con denaro personale. A questi territori, gli stessi che diede in accomandigia a Firenze nel luglio del 1422, se ne aggiunsero di lì a poco altri che nel 1416, in qualità di doge, aveva sottrato ai Malaspina di Villafranca col pretesto dell’uccisione da parte loro del Vicario Oderico Biassa: Villafranca, Suvero, Rocchetta, Stadomelli, Villa. In un secondo tempo estese il suo dominio, non si sa a quale titolo, su località che erano appartenute a Genova come Zignago, Mattarana, Carro, e altre fino a Pietra Colice in prossimità del passo del Bracco.
Non fu possibile mantenere sempre il controllo di tutti questi territori, alcuni dei quali oggetto di particolari contese. L’occupazione di Sarzana da parte dei milanesi provocò la perdita (seguita, in certi casi, dalla restituzione) di alcune località, altre in compenso furono acquisite successivamente. Fra queste rivestivano particolare importanza Carrara e Ameglia. La prima, ceduta in pegno a Genova dai lucchesi per un prestito di 15.000 fiorini, fu occupata dai C. nel 1430 assieme a Pietrasanta. Nel 1440 Spinetta II (inviato in Lunigiana da Tommaso costretto a Genova dagli impegni istituzionali) ne approvò gli statuti a nome dello zio. Fattosi signore di Sarzana approfittando della caduta di Tommaso, Spinetta trattò col nuovo doge la restituzione di Carrara, Avenza e Ameglia. L’accordo raggiunto non gli impedì di continuare ad insidiare i possessi genovesi al confine del suo stato appoggiandosi ai Malaspina (Antonio di Alberico Malaspina era suo genero): Ameglia, ad esempio, fu ripresa nell’estate del 1444 poi persa nuovamente alla fine dell’anno successivo.
Alla metà del XV secolo il dominio raggiunse il massimo dell’estensione. Giano si trovò a difendere i possessi genovesi e quelli familiari dalle pretese di coloro che, in seguito alla morte di Filippo Maria Visconti, volevano occupare i territori di Lunigiana che erano stati milanesi. Allo stesso tempo dovette preoccuparsi di placare i cugini desiderosi di ritagliarsi uno spazio personale. Pertanto estese il dominio familiare nella zona creando per i congiunti nuove signorie legate a quella di Sarzana: sottrasse Carrara alle pretese dei Malaspina e la cedette in feudo a Spinetta con Avenza e Moneta, mentre concesse a Gian Galeazzo la signoria di Ameglia (1448). Nel 1449 la reggente Caterina Ordelaffi aiutata da Galeotto Campofregoso attaccò tutti i Malaspina col beneplacito del governo genovese, di conseguenza Galeotto divenne signore di alcuni dei luoghi conquistati, come Brugnato, Suvero, Rocchetta.
Negli anni successivi il territorio soggetto alla signoria sarzanese cominciò a sgretolarsi: in un documento del 1458 col quale Caterina Ordelaffi rinnovava l’accomandigia con Firenze figurano Sarzana, Sarzanello, Santo Stefano, Castelnuovo, Ortonovo, Falcinello, Ponzano, Aulla, Podenzana, Madrignano, Calice, Villa, Rocchetta, Giovagallo.
Il progetto di trasformazione istituzionale verso il principato dinastico prevedeva, naturalmente, che le successioni avvenissero secondo la linea di discendenza del signore in carica. Nel caso dei C. la trasmissione di padre in figlio non fu sempre possibile, talvolta per mancanza di eredi maschi, oppure in presenza di eredi ancora troppo piccoli, o per rivalità fra parenti che portarono alla deposizione del rettore e alla sostituzione con un altro membro della famiglia. In ogni caso, sia a Genova che a Sarzana il governo rimase nelle mani dei discendenti di Pietro I, che gestirono tra di loro l’accesso al vertice sotto la direzione di Tommaso.
A Genova Giano, nipote prediletto di Tommaso, fu da questi designato come successore alla guida del casato e della città al posto dell’erede che egli non riuscì ad esprimere. Dopo la sua prematura scomparsa, avvenuta mentre il figlio era ancora piccolo, subentrò al dogato il fratello Ludovico, poi estromesso e sostituito dal cugino Pietro di Battista con l’avallo dello zio Tommaso, il quale caldeggiò presso l’Assemblea la candidatura del nipote dopo aver rifiutatato l’offerta che lo avrebbe portato alla guida dello stato per la terza volta. Dopo alcuni anni i C. si decisero a risolvere le insormontabili difficoltà di governo con il solito espediente della dedizione a un signore forestiero.
A Sarzana non mancarono liti e rivalità all’interno della famiglia, ma qui la successione non fu vincolata, se non indirettamente, alle problematiche legate alle lotte di fazione e ai condizionamenti della politica estera che caratterizzavano la realtà genovese. Spinto dalle circostanze, Tommaso designò il suo successore e gli passò il testimone mentre era ancora in vita: scelse il nipote che più degli altri aveva dimostrato attitudine a governare, affidabilità e lealtà verso il casato. Da parte sua Giano lo associò subito alla signoria e, per quanto il giovane rettore detenesse il potere effettivo sia all’interno della famiglia che alla guida dei due stati, non smise mai di chiedere e ascoltare i pareri dello zio, tanto che la partecipazione di Tommaso alla gestione del feudo non si tradusse affatto in una mera formalità. Alla morte di Giano la signoria passò al figlio Tommasino, un bambino di pochi anni sotto la tutela della nonna paterna Caterina di Antonio Ordelaffi, e allo zio Ludovico, il nuovo doge genovese. Restava inoltre titolare anche il vecchio Tommaso, oramai prossimo alla fine ma ancora abbastanza energico ed autorevole da tirare le fila degli equilibri familiari. La lontananza di Ludovico e di Tommaso, che da quando aveva ceduto il feudo a Giano si era ritirato a Savona, fece sì che ad assumere il governo fosse Caterina con l’aiuto di Giorgio de Via.
Si veda la voce sull’espansione territoriale del feudo lunigianese. Inoltre, Pietro II ereditò alla morte del padre (1442) il feudo di Gavi che, era stato donato dai Visconti e che fu riconfermato da Filippo Maria con l’aggiunta del feudo di Novi. Quando Giano nel 1447 cercò di recuperare il controllo dell’Oltregiogo Pietro rinunciò a Gavi a favore del dominio genovese. Una volta responsabile delle operazioni militari in Oltregiogo si adoperò con successo per riportare sotto il controllo della Repubblica Gavi, Novi e altre località. Ma di lì a poco il feudo di Gavi fu assegnato a Nicolò di Spinetta I, che risulta esserne il titolare in documenti posteriori al 1447. Nel 1452 Pietro II divenuto doge fece giustiziare il cugino Nicolò, che per vari motivi riteneva pericoloso, con il consenso del fratello di questi Spinetta II, il quale ottenne così il possesso di Gavi.
I C. traevano la loro ricchezza prima di tutto dalle attività commerciali e finanziarie. La vittoria di Pietro sui veneziani fu particolarmente redditizia anche per la famiglia perché diede origine alla Maona nuova di Cipro, che vide fra i suoi appaltatori i figli del doge Domenico e lo stesso Pietro per i quali si aprivano nuove possibilità di traffici e di ricchezza.
Altra cospicua fonte di redditi erano gli stipendi connessi con le cariche pubbliche alle quali avevano accesso sempre più spesso, ai più alti livelli, in quanto parenti del doge.
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