di:
Francesco Bianchi
I della Scala erano una famiglia di estrazione cittadina, espressione autoctona della società veronese. La loro affermazione politica fu l’esito di una preminenza ottenuta in seno alle forze sociali che sostenevano il comune di Popolo emerso all’indomani della dominazione ezzeliniana, secondo dinamiche tutte interne alla città di Verona e, quindi, indipendenti dall’esercizio di diritti giurisdizionali o dal controllo di castelli nel contado, dove gli Scaligeri potevano contare al massimo su qualche appezzamento di terra infeudato da enti ecclesiastici urbani.
La loro comparsa nella documentazione risale alla metà dell’XI secolo e la loro partecipazione alla vita pubblica è attestata dal secolo successivo, quando esponenti della famiglia risultato coprire le cariche di giudice o di console del comune veronese. Furono giudici diversi membri del casato, mentre non è comprovato l’esercizio della mercatura, contrariamente a quanto riferito da alcuni studi.
Coinvolti nelle dispute fazionarie della prima metà del XIII secolo, ne divennero protagonisti verso la metà degli anni Trenta, quando Ongarello (II) della Scala fu rettore di una pars e del comune. Dopo il 1245 anche i della Scala subirono le epurazioni imposte dalla dominazione ezzeliniana ai ceti dirigenti delle città soggette, ma, successivamente alla morte di Ezzelino III, si distinsero subito tra le fila della classe di governo che reggeva il nuovo comune di Popolo: già nel 1259, infatti, Mastino fu nominato podestà del Popolo e, con il sostegno delle forze sociali rappresentate dalla Domus mercatorum, acquisì un crescente prestigio politico, riscattato poi dal fratello Alberto, che nel 1277 divenne il primo signore scaligero di Verona.
Inizialmente limitata a Verona e al suo contado, la dominazione scaligera intraprese una prima espansione verso altri ambiti territoriali sotto la guida congiunta dei fratelli Alboino e Cangrande, le cui truppe appoggiarono la conquista di Vicenza da parte dell’esercito imperiale di Enrico VII (1311), un aiuto che fu ripagato con il conferimento del vicariato sul centro berico a favore di Cangrande (1312). Dopo Vicenza, lo stesso Cangrande estese i domini scaligeri su larga parte della Marca, soggiogando Feltre (1321), Belluno (1322), Padova (1328) e Treviso (1329); nel 1328 inviò un contingente militare anche a Mantova, per sostituire il vicario imperiale Passerino Bonacolsi con Luigi Gonzaga, ottenendo l’anno dopo (1329) il vicariato sulla città da Ludovico il Bavaro. Sotto la successiva diarchia di Alberto (II) e Mastino (II) la signoria scaligera raggiunse la massima espansione territoriale, grazie alla conquista di Brescia (1332), Parma (1335), Lucca (1335), Reggio (1335, ma ceduta subito ai Gonzaga), Massa (1336) e Pontremoli (1336). Dopo la disastrosa guerra scaligero-fiorentino-veneziana (1336-1339), però, ai della Scala rimase solo il possesso di Verona, Vicenza, Parma e Lucca; le ultime due città saranno poi perse nel 1341, riducendo così lo Stato scaligero alle dimensioni raggiunte nel 1312, senza più significative alterazioni fino al 1387, quando Verona e Vicenza finirono preda di Gian Galeazzo Visconti.
I meccanismi successori che scandirono i passaggi di consegne da un signore scaligero all’altro rispettarono sempre criteri di trasmissione in linea agnatizia e maschile. I primi decenni della signoria – cioè dalla cripto-signoria di Mastino, morto nel 1277, fino alla diarchia di Alberto (II) e Mastino (II), iniziata nel 1329 − furono contraddistinti da una salda e rara coesione interna al casato, che evitò scontri e contestazioni fra eredi durante la trasmissione del potere da un membro all’altro della famiglia, facilitando nello stesso tempo la condivisione degli incarichi di governo tra fratelli e l’associazione di figli o nipoti. Fa eccezione a questo clima di sostanziale solidarietà familiare l’opposizione di Federico, discendente da un ramo secondario dei della Scala, alla successione a Cangrande da parte dei nipoti Alberto (II) e Mastino (II); lo scontro si concluse con l’esilio del dissidente Federico nel 1325. Giunto al potere, lo stesso Mastino (II) fece imprigionare a vita due figli illegittimi del predecessore Cangrande, per prevenire ulteriori contestazioni. Più tormentata la signoria di Cangrande (II), che nel 1351 ricevette l’arbitrium insieme ai fratelli Cansignorio e Paolo Alboino: nel 1354 soffocò nel sangue un tentativo di colpo di Stato ordito da Fregnano della Scala, figlio illegittimo di Mastino (II); nel 1359 fu assassinato da Cansignorio, che successivamente fece prima rinchiudere nel castello di Peschiera (1365) e poi eliminare (1375) Paolo Alboino, per facilitare la successione dei due figli illegittimi Bartolomeo (II) e Antonio. Infine, proprio Antonio pare coinvolto nell’assassinio di Bartolomeo (II), avvenuto nel 1381.
I della Scala appartenevano a una famiglia di antica tradizione cittadina e la loro fortuna dipese principalmente dal consenso ottenuto in seno alla società veronese. Non pare, invece, che questo casato − prima dell’inizio della signoria − controllasse fortificazioni o esercitasse diritti giurisdizionali nel contado, se si esclude la rocca di Peschiera, che un’aggiunta statutaria del comune di Verona affidò a Mastino e ai suoi fratelli nel 1271, cioè sei anni prima del conferimento dell’arbitrium ad Alberto, con l’autorizzazione a «facere levare et hedifficari locum et fortilicias zironi et castri Pyscherie ad eorum voluntatem».
Fino all’inizio della signoria non è documentata la partecipazione dei della Scala ad attività mercantili (ma non si può escludere a priori), né la loro presenza al governo della Domus mercatorum prima di Mastino. Sempre nel periodo che precede la dominazione scaligera, il casato non possedeva estese proprietà fondiarie in campagna, ma solo qualche appezzamento di terra infeudato da enti ecclesiastici urbani, in misura non dissimile da altri notabili cittadini. Allo stato attuale degli studi, sembra plausibile ritenere che il benessere economico dei membri della famiglia derivasse soprattutto dalla partecipazione alla vita politica urbana, cioè dall’esercizio di funzioni pubbliche come giudici o rettori.
Gli archivi che conservavano i documenti relativi all’amministrazione del patrimonio scaligero e quelli prodotti dalla cancelleria signorile furono dati alle fiamme in due diverse occasioni: nel 1354, durante la sommossa capeggiata da Fregnano della Scala, e nel 1387, all’indomani della conquista di Verona da parte di Gian Galeazzo Visconti. Anche i fondi appartenenti all’archivio comunale e a quello della Domus mercatorum furono pesantemente danneggiati nel corso di questi o di altri eventi. Nel 1723, poi, l’archivio notarile della città fu distrutto da un incendio. Ciò comporta l’assenza di un archivio proprio della signoria e una limitata disponibilità a Verona di altri documenti coevi alla dominazione scaligera; quelli superstiti sono per lo più depositati presso gli archivi di antichi enti ecclesiastici, luoghi pii o famiglie aristocratiche. Tuttavia, un parziale recupero di fonti utili allo studio dell’età scaligera è stato consentito dallo spoglio di archivi conservati in quelle città che intrattennero frequenti contatti con Verona tra XIII e XIV secolo.
Per un primo approccio si vedano le puntuali indicazioni bibliografiche e documentarie contenute nelle voci del DBI ed eventuali altri titoli citati nella bibliografia delle schede dedicate ai vari signori scaligeri. Tra le edizioni documentarie più significative, si segnalano quelle curate da C. Cipolla: Documenti per la storia delle relazioni diplomatiche fra Verona e Mantova nel sec. XIII, Milano 1901; La storia scaligera secondo i documenti degli Archivi di Modena e di Reggio Emilia, Venezia 1903; Documenti per la storia delle relazioni diplomatiche fra Verona e Mantova nel sec. XIV, Venezia 1907. Altri documenti editi relativi alla storia della signoria scaligera si trovano in: G. B. Verci, Storia della Marca trivigiana e veronese, Venezia 1786-1791, 20 tomi (rist. Bologna 1979-1983); Gli statuti veronesi del 1276 colle correzioni e le aggiunte fino al 1323, a cura di G. Sandri, Venezia 1940 e 1959, 2 voll.; W. Hagemann, Documenti sconosciuti dell’Archivio Capitolare di Verona per la storia degli Scaligeri (1259-1304), in Scritti in onore di mons. Giuseppe Turrini, Verona 1973, pp. 319-397; Statuti di Verona del 1327, a cura di S. A. Bianchi e R. Granuzzo, con la collaborazione di G. M. Varanini e G. Mariani Canova, Roma 1992, 2 voll. Tra le cronache coeve, limitatamente a quelle prodotte in ambito veronese, vedi: Chronicon Veronense, in RIS, VIII, Milano 1726, coll. 621-660; Cronaca inedita dei tempi degli Scaligeri, a cura di G. G. Orti Manara, Verona 1842; Antiche cronache veronesi, a cura di C. Cipolla, Venezia 1890. Per quanto concerne gli studi, il principale punto di riferimento, oltre alle datate ma ancora utili ricerche di Luigi Simeoni, è costituito dai saggi e dalle schede documentarie raccolti in Gli Scaligeri, 1277-1387, a cura di G. M. Varanini, Verona 1988 (Saggi e schede pubblicati in occasione della mostra storico-documentaria allestita dal Museo di Castelvecchio di Verona, giugno-novembre 1988), cui si rimanda per l’ampia raccolta di riferimenti bibliografici a pp. 581-597. Si vedano, inoltre, i più recenti studi: J. E. Law, La caduta degli Scaligeri, in Istituzioni, società e potere nella Marca trevigiana e veronese (secoli XIII-XIV). Sulle tracce di G.B. Verci, a cura di G. Ortalli e M. Knapton, Roma 1988 (Atti del Convegno, Treviso, 25-27 settembre 1986), pp. 83-98; G. M. Varanini, La chiesa veronese nella prima età scaligera, Padova 1988; G. M. Varanini, Signoria cittadina, vescovi e diocesi nel Veneto: l’esempio scaligero, in Vescovi e diocesi in Italia dal XIV alla metà del XVI secolo, a cura di G. De Sandre Gasparini, A. Rigon, F. Trolese e G. M. Varanini, Roma 1990 (Atti del VII Convegno di storia della Chiesa in Italia, Brescia, 21-25 settembre 1987), II, pp. 869-921; G. M. Varanini, Istituzioni, società e politica nel Veneto dal comune alla signoria (secolo XIII-1329), in Il Veneto nel medioevo. Dai comuni cittadini al predominio scaligero nella Marca, a cura di A. Castagnetti e G. M. Varanini, Verona 1991, pp. 332-408 passim; G. M. Varanini, Propaganda e ‘immagine’ dei regimi signorili: le esperienze venete del Trecento, in Le forme della propaganda politica nel Due e nel Trecento, a cura di P. Cammarosano, Roma 1994 (Relazioni tenute al convegno internazionale di Trieste, 2-5 marzo 1993), pp. 311-343; Il Veneto nel medioevo. Le signorie trecentesche, a cura di A. Castagnetti e G. M. Varanini, Verona 1995, passim; G. M. Varanini, Élites cittadine e governo dell’economia tra comune, signoria e ‘stato regionale’: l’esempio di Verona, in Strutture del potere ed élites economiche nelle città europee dei secoli XII-XVI, a cura di G. Petti Balbi, Napoli 1996, pp. 138-144; M. C. Rossi, Governare una Chiesa. Vescovi e clero a Verona nella prima metà del Trecento, Sommacampagna (VR) 2003; G. M. Varanini, Signorie venete nel Trecento. Spunti comparativi, in Padova carrarese, a cura di O. Longo, Padova 2005 (Atti del Convegno, Padova, 11-12 dicembre 2003), pp. 49-68; E. Napione, Le Arche scaligere di Verona, Venezia 2009.