Doria


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Origine e profilo sociale:

Famiglia di origine cittadina i cui primi esponenti appartenevano al ceto emergente che nel corso dell’XI secolo si arricchì con i traffici nel Mediterraneo e investì in acquisti fondiari. Alla fine del secolo essi appaiono stabilmente insediati nel quartiere di porta Orientale, una zona che controllavano assieme alla curia vescovile pur non comparendo tra i vassalli del vescovo. Qui costruirono nel 1125 la chiesa di San Matteo che diverrà parrocchia gentilizia della famiglia. Sono poco attendibili, perché prive di solida base documentaria, le ipotesi sulle origini del casato avanzate in passato da storici e genealogisti. La più nota di queste, diffusa dalla metà del Cinquecento, viene attribuita all’annalista Iacopo e vorrebbe i de Auria discendenti da Arduino conte di Narbona, stabilitosi a Genova intorno al Mille, e da Oria (Auria) figlia di Corrado della Volta.

Si tratta di tentativi di nobilitare un lignaggio che trasse potenza e prestigio dall’esercizio del commercio, anche se oggi gli storici accettano l’assunzione del matronimico che rispondeva all’esigenza, sentita fin dall’inizio del XII secolo, di distinguere i vari rami del gruppo parentale in ascesa. Proprio in quegli anni emerse la figura di Ansaldo, impegnato nel commercio mediterraneo, console del Comune almeno cinque volte tra 1134 e 1160, poi giudice della curia arcivescovile e comandante della flotta genovese allestita nel 1147 per attaccare la piazzaforte araba di Almeria in Spagna. Nel profilo di Ansaldo si possono rinvenire alcune attitudini e pratiche peculiari dei membri della famiglia e che ne favoriranno l’ascesa: l’impegno nei traffici commerciali sulle rotte del Mediterraneo, la dimestichezza con i mezzi di trasporto marittimo e la capacità di assumere il comando di una flotta navale, il maneggio di denaro, la presenza costante nelle cariche pubbliche all’interno del Comune e in altre comunità della Riviera, gli investimenti in acquisti fondiari, intuito e intraprendenza portarono velocemente i Doria ai vertici dell’aristocrazia cittadina.

Negli scontri fra Papato e Impero si schierarono con l’Imperatore e sostennero Federico II contro i guelfi genovesi che controllavano il Comune, anche per difendere i loro possessi sardi dalle pretese del Papa. Appoggiarono il regime popolare di Guglielmo Boccanegra favorendo i tentativi del populus di estromettere l’antica classe di governo. Nello stesso periodo diedero vita al sodalizio con gli Spinola che nei decenni successivi porterà diversi esponenti dei due casati a ricoprire congiuntamente la carica di Capitano del Comune e del Popolo. Il capitanato di Oberto, alla fine del Duecento, rappresentò l’apogeo del prestigio della famiglia e della città in epoca medievale, grazie anche alla vittoria da questi riportata alla Meloria nel 1284. Fra i numerosi successi conseguiti dai D. nelle imprese militari marittime, quelli della Meloria e di Curzola (1298) per merito di Lamba (fratello di Oberto e Capitano del popolo in carica) costituirono per la Repubblica altrettanti momenti di gloria e sancirono il culmine del suo splendore e della sua potenza navale anche agli occhi dei contemporanei («e allora fu Genova e il suo podere nel maggiore colmo ch’ella fosse mai, che poi sempre vennono calando», Giovanni Villani).

Fra le famiglie nobili che fin dalla nascita del Comune monopolizzarono la vita politica genovese, i D. appaiono i più vicini alle istituzioni sia dal punto di vista ideale che fisico. Dimostrarono, infatti, una spiccata propensione a salvaguardare la memoria storica cittadina, oltre che familiare, ben prima del celebre annalista Iacopo. Il nonno di questi, Oberto, possedeva opere di erudizione storica che celebravano le gesta genovesi nel Mediterraneo e custodiva nel suo archivio privato documenti importanti per tutelare i diritti del Comune. Inoltre, nel caso dei D. appare particolarmente accentuata la condivisione dello spazio territoriale con i luoghi deputati all’esercizio del potere pubblico, tipica delle famiglie nobili: il palazzo dello stesso Oberto, in cui vissero anche il figlio Pietro e il nipote Oberto futuro Capitano del popolo, ospitò per molto tempo il podestà cittadino; nel 1291 i D. cedettero alcune delle loro case in contrada San Matteo per la costruzione del palazzo del Comune; infine, nel 1313 fu ancora un D., Alaone, a vendere parte della sua terra per consentire la realizzazione della strada che univa la Domoculta con i palazzi pubblici.

Notevole fu il loro contributo in ambito culturale, nel quale furono attivi in prima persona diversi esponenti del casato: fra questi, oltre all’annalista Iacopo, ricordiamo Percivalle e Simone apprezzati poeti e trovatori. In generale, il periodo della loro preminenza politica coincise con un momento di crescita culturale caratterizzata da una stretta relazione tra potere e cultura che si concretizzò, fra l’altro, nella produzione e circolazione di opere letterarie (testi romanzi in versi, poemi cavallereschi), nel miglioramento urbanistico della città attraverso la costruzione di edifici e opere pubbliche, nella diffusione delle conoscenze mediche, giuridiche e delle tecniche notarili, nella fioritura di una scuola cartografica finalizzata a consolidare l’egemonia genovese nel Mediterraneo.

L’intesa con gli Spinola cessò agli inizi del Trecento sia per le aspirazioni di questi ultimi ad una signoria personale, sia perché gli sviluppi della lotta politica in Italia portarono i due gruppi parentali a schierarsi su posizioni diverse (gli Spinola con gli Angioini, i D. con Federico d’Aragona), e forse anche per la divergenza di interessi economici (principalmente bancari e finanziari quelli degli Spinola, mercantili e marinari quelli dei D.) Ciò non impedì alle due famiglie di ritrovare una momentanea sintonia nel 1335 per dar vita all’ennesimo governo diarchico espressione dell’egemonia ghibellina. Allora Raffaele, nipote del primo diarca Oberto, e Galeotto Spinola furono proclamati Capitani, ma dopo aver ottenuto la fiducia dei populares non seppero mantenerne il favore e furono allontanati prima dello scadere del mandato.

I tempi erano maturi per nuove esperienze istituzionali, e la posizione di preminenza che i D. avevano mantenuto nella politica e nella società genovesi per oltre settant’anni era destinata a venir meno. Il conferimento del dogato a Simone Boccanegra li costrinse a rinunciare alle cariche di governo ma non ne furono danneggiati dal punto di vista economico. Benchè esclusi dai vertici politici in quanto nobili, rimasero attivi in ambito amministrativo e militare e naturalmente nel mondo mercantile e finanziario, consolidando la loro posizione e il loro prestigio ai vertici della società genovese in attesa di tornare ad esserne i protagonisti.



Espansione territoriale della dominazione e suo sviluppo cronologico:

Dopo la pace con Carlo d’Angiò (1276) i diarchi Oberto Doria e Oberto Spinola ampliarono il territorio genovese a spese dei guelfi sconfitti, in particolare dei Fieschi e dei loro possedimenti in Lunigiana. Nello stesso anno Niccolò Fieschi fu obbligato a vendere i suoi feudi nelle Riviera di Levante, dove fin dal 1273 i genovesi avevano consolidato la loro presenza organizzando la nuova podesteria di Carpena. Negli anni immediatamente successivi Genova procedette all’acquisizione di altri feudi e castelli nella stessa zona dai Malaspina e da altri signori locali, non tanto per estendere i confini dello stato quanto per smantellare la rete di capisaldi nemici.



Modalit? delle successioni:

I poteri signorili che i D. assunsero in ambito urbano si limitarono a Genova, dove furono sempre esercitati nella forma diarchica che li vide al fianco degli Spinola in veste di Capitani del Comune e del Popolo. Fra il 1270 e il 1339 la famiglia espresse cinque Capitani: Oberto di Pietro, il figlio Corrado, Lamba di Pietro (fratello di Oberto, prese il posto del nipote Corrado quando questi lasciò la carica nel 1297; rimase a fianco di Corrado Spinola fino all’ottobre 1299 quando i due Capitani furono sostituiti da un podestà forestiero), Bernabò di Brancaleone e Raffaele di Corrado di Oberto. Si tendeva quindi a trasmettere la carica da padre a figlio, o eventualmente fra consanguinei molto stretti, all’interno del ramo più illustre. L’ascesa di Bernabò, il cui ramo aveva contatti genealogici diretti con quello di Oberto diverse generazioni addietro, sembra essere stata favorita dall’incontro fra le ambizioni del padre Branca e gli interessi del suo collega Opizzino Spinola, vero fautore del ritorno alla diarchia nel 1306.

Castelli e basi militari nel contado:

I D. diedero inizio alla creazione di una signoria territoriale nel contado a partire dagli anni Sessanta del Duecento. Rivolsero i loro interessi verso la Riviera di Ponente, dove nel 1263 Oberto comprò Loano e nel decennio successivo entrò in possesso di Dolceacqua, a cui seguirono di lì a poco altre acquisizioni nella stessa zona: Sanremo-Ceriana, Oneglia, Villaregia. Di tutti questi beni, alla metà del XIV secolo i D. conservavano solamente Oneglia e Dolceacqua ed erano gli unici signori privati a mantenere possessi feudali totalmente indipendenti nel Ponente.

Nel 1312 Bernabò di Brancaleone riuscì a sottrarre al vescovo di Luni, che ne era il formale proprietario, il castello di Ameglia e Barbazzano. I discendenti di Bernabò terranno Ameglia per tutto il Trecento poi, ai primi del Quattrocento, passerà a Corrado di Pietro, discendente in linea diretta dal diarca Oberto.

Fin dal XII secolo i D. del ramo di Bernabò avevano inoltre esteso la loro dominazione su parte della Sardegna e della Corsica, mentre Corrado di Oberto acquisì feudi in Sicilia, che trasmise ai suoi eredi, dopo aver ottenuto la carica di Grande Ammiraglio dal re Federico III.


Risorse e iniziative economiche:

La fonte principale delle risorse economiche della famiglia era rappresentata dai traffici commerciali e finanziari condotti in ambito marittimo. Si dedicarono a tali attività soprattutto i membri del ramo più importante, quello di Oberto (nonno del diarca omonimo). Il figlio di questi, Pietro, grande artefice della fortuna economica della famiglia, rilevò l’attività del padre dandole forte impulso con l’aiuto dei fratelli. Essi furono prima di tutto mercanti e armatori (possedevano una flotta privata e svariate altre navi spesso concesse a nolo) che investirono ingenti somme nel commercio mediterraneo legando le proprie sorti a quelle della Repubblica, mentre gli esponenti di altri rami della famiglia privilegiarono gli interessi patrimoniali che fin dalla metà del XII secolo detenevano in Sardegna, talvolta in conflitto con lo stesso Comune genovese.

Parte dei guadagni derivati dagli investimenti commerciali venivano impiegati nell’acquisto di beni immobili in città e nel territorio, creando così un patrimonio fondiario e immobiliare che costituì uno dei capisaldi della ricchezza della famiglia diversi decenni prima che prendesse corpo il progetto di creare una signoria territoriale.


Principali risorse documentarie:

Genova, biblioteca Franzoniana, mss. Urbani, 126-129, Federici, F., Alberi genealogici delle famiglie di Genova (sec. XVII), sub voce; Genova, Biblioteca civica Berio, m.r. III, 4, 7-9, Foliatium notariorum (sec. XVIII), I, cc. 63r, 65v, 66r, 79v, 110v, 144v, 240v, 281v, 338v, 356r, 369v, 425v, 469r; II, c. 42v; III, c. 131r.


Bibliografia delle edizioni di fonti e degli studi:

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Membri della famiglia:

Note eventuali: