di:
Alma Poloni
La tradizione erudita locale individua come primo esponente noto Alberico di Guido di Manfredo, attivo nei primissimi anni del XII secolo. I M. sembrerebbero comunque una famiglia dalla fisionomia spiccatamente urbana, priva di diritti signorili nelle campagne, pienamente ascrivibile alla militia cittadina di Faenza. La casata acquistò crescente visibilità soltanto a partire dall’inizio del Duecento, e in particolare nella seconda metà del secolo, quando assunse la leadership della parte guelfa cittadina in opposizione alla fazione ghibellina guidata dagli Accarisi e fiancheggiata dagli Ordelaffi di Forlì. Le vicende della famiglia negli ultimi decenni del XIII secolo sono riassumibili in un frenetico susseguirsi di esili e di riammissioni, finché nel 1310 papa Clemente V nominò rettore di Romagna Roberto d’Angiò, e l’azione del vicario dell’Angioino favorì il prevalere della parte guelfa a Faenza e aprì la strada all’influenza dei Manfredi.
Quella dei M. fu essenzialmente una signoria monocittadina, limitata a Faenza e al suo contado. In vari momenti della sua storia la famiglia tentò di estendere la propria influenza lungo l’asse della via Emilia, verso Imola a nord e verso Forlì e Cesena a sud. Negli anni di Francesco il Vecchio, in effetti, i M. riuscirono a insediarsi a Imola grazie al sostegno della parte guelfa locale. Ricciardo, figlio di Francesco, fu eletto capitano del popolo di Imola per tre anni nel 1317, e in seguito la carica gli fu riconfermata ogni tre anni fino al 1327, quando vi rinunciò nelle mani del legato pontificio Bertrand du Poujet. In un contesto del tutto diverso, nel 1439 Guido Antonio M., titolare del vicariato apostolico su Faenza insieme ai fratelli Astorgio (II) e Gian Galeazzo, ebbe Imola da Filippo Maria Visconti come ricompensa per il suo sostegno armato al fronte visconteo. Alla sua morte, nel 1448, la signoria sulla città passò al figlio Taddeo, con l’accordo degli zii, con i quali, tuttavia, i rapporti divennero pessimi fin dai primi anni ’50. Non è corretto dunque parlare di una dominazione familiare estesa a Faenza e Imola: si trattò piuttosto di due dominazioni signorili separate facenti capo a membri diversi della stessa famiglia.
Le ambizioni dei M. si rivolsero in più occasioni anche verso Bagnacavallo, che nel contesto romagnolo possiamo considerare una quasi-città, con un piccolo distretto formato dalle ville soggette. Giovanni M. vi esercitò la signoria tra il 1350 e il 1368. Dal 1356, tuttavia, egli perse il controllo della città di Faenza, e il suo potere fu limitato a Bagnacavallo, al quale si aggiungevano i diritti di vario genere che esercitava su diversi castelli dell’appennino faentino.
Non è possibile parlare di successione per il potere signorile dei M. fino al secondo decennio del Quattrocento. In effetti, nel corso del Trecento furono molto più numerosi gli anni nei quali Faenza non fu retta a signoria: vedi scheda Faenza. Ogni esponente della famiglia partì da zero, ricostruendo il proprio potere su basi istituzionali e politiche di fatto sempre nuove, pur potendo contare su ampie reti clientelari non solo in città, ma soprattutto tra i fideles militarizzati della Val di Lamone. La concessione del vicariato apostolico – per altro tarda rispetto alle altre dinastie signorili romagnole, perché datata al 1379 – fornì fondamenta più solide, ma non fu di per sé risolutiva. Le forti tensioni che attraversaronola Romagna a cavallo tra Tre e Quattrocento, a causa del grande scisma d’Occidente e della trasformazione della regione in una zona d’attrito tra le maggiori potenze dell’Italia centro-settentrionale, produssero una notevole instabilità politica che coinvolse tanto i M. quanto le altre famiglie signorili romagnole.
I M., come detto, non erano in origine una famiglia signorile. Francesco il Vecchio, nel corso della sua vita, estese il controllo della casata su vari centri fortificati della Val di Lamone, soprattutto mediante l’acquisto dei diritti patrimoniali e signorili dalle famiglie detentrici. In questa direzione andarono anche gli stretti rapporti matrimoniali con l’importante domus signorile dei conti di Cunio, e con i conti di Dovadola, un ramo dei conti Guidi radicato nell’appennino tosco-emiliano, in particolare nella valle del Montone. Nel 1317 Francesco fece edificare il castello di Granarolo, tra Faenza e Lugo. Nel 1338 acquistò la comunità di Castrocaro, della quale era stato podestà, da Fulcieri Calboli per 6000 fiorini.
Nel 1369 Giovanni M., ribelle al papato, perse tutti i possessi familiari e si ritirò in territorio pistoiese, dove morì nel 1373. Dal 1356, intanto, egli aveva rinunciato alla signoria su Faenza, che era divenuta la residenza del rettore pontificio della Romagna. Nel suo impegno per risollevare le sorti dei M., Astorgio (I), il figlio di Giovanni – attivamente sostenuto da Firenze, in guerra con il papato –, partì proprio dal recupero dei centri fortificati della Val di Lamone, facendo base a Granarolo, riconquistato nel 1376. Egli, come i suoi predecessori, attribuiva un valore strategico fondamentale alla disponibilità di una solida base di potere nella valle, dove i M. erano in grado di mobilitare gruppi consistenti di fideles in armi.
Nel 1413 Gian Galeazzo M. riuscì ad ottenere da papa Gregorio XII, in cambio del proprio sostegno anche militare contro Giovanni XXIII (Baldassarre Cossa), altro papa nominato nell’ambito dello scisma d’Occidente, e i suoi alleati in Romagna, una concessione di grande importanza. La Val di Lamone fu scorporata dal contado faentino e costituita in Contea autonoma, con centro a Brisighella, affidata ai M. a titolo ereditario (mentre il vicariato apostolico sulla città non era ereditario, e in più era a termine, e doveva essere rinnovato periodicamente). Estremamente significativa la citazione biblica che Gian Galeazzo (I) fece porre in apertura degli Statuti della Val di Lamone, da lui fatti redigere: «levavi oculos meos ad montes unde veniet auxilium mihi» (Salmo 121).
Le basi economiche dei M. furono costituite esclusivamente dai possessi fondiari. Da Astorgio (I), cioè dagli anni ’70 del Trecento, una fonte importante di reddito divenne per vari membri della famiglia, come del resto per tutte le altre dinastie signorili romagnole, il mestiere delle armi, al servizio delle principali potenze della penisola.
L’unica fonte di una certa consistenza per la storia di Faenza nel Medioevo sono le 2.051 pergamene, che vanno dal 979 al 1828, conservate presso l’Archivio di Stato di Ravenna, Sezione di Archivio di Stato di Faenza. Su questo nucleo documentario si veda G. Rabotti, Vicende vecchie e recenti (vedi bibliografia). Tra i fondi confluiti nel diplomatico, di particolare importanza per lo studio della signoria manfrediana è la cosiddetta «Raccolta Azzurrini», composta da 462 pergamene. Molte di esse sono trascritte, per esteso o, più spesso, in regesto, in B. Azzurrini, Chronica breviora (vedi bibliografia), e in G. B. Mittarelli, Ad scriptores rerum italicarum (vedi bibliografia). Il panorama documentario è completato dagli Atti dei notai del mandamento di Faenza, sempre nella Sezione di Archivio di Stato di Faenza: 11 registri per il periodo dal 1367 al 1419 e 528 dal 1419 al 1550.
Fonti: G. C. Tonduzzi, Historie di Faenza, Faenza 1675; G. B. Mittarelli, Ad scriptores rerum italicarum cl. Muratorii accessiones historicae faventinae, Venetiis 1771; Petri Cantinelli chronicon, a cura di F. Torraca, RIS2, XXVIII, 2, Città di Castello 1902; Azzurrini B., Chronica breviora aliaque monumenta faventina a Bernardo Azzurrino collecta, a cura di A. Messeri, RIS2, XXVIII, 3, Città di Castello 1907; Statuta civitatis Faventiae, a c. di G. Ballardini, RIS2, XXVIII, 5, Città di Castello 1929; Magistri Tolosani Chronicon Faventinum, a cura di G. Rossini, RIS2, XXVIII, 1, Bologna 1936;
Studi: L. Malpeli, Dissertazioni sulla storia antica di Bagnacavallo, Faenza 1806; G. M. Valgimigli, Memorie istoriche di Faenza, vol. I, Faenza 1844; G. Panzavolta, I Manfredi signori di Faenza, Faenza 1884; F. Argnani, Cenni storici sulla Zecca, sulle monete e medaglie dei Manfredi, Faenza 1886; A. Messeri – A. Calzi, Faenza nella storia e nell’arte, Faenza 1909; G. Ballardini, La costituzione della contea di Brisighella e di Val d’Amone, in «Valdilamone», VII (1927), pp. 23-30; G. Donati, La fine della signoria dei Manfredi in Faenza, Torino 1938; P. Zama, I Manfredi signori di Faenza, Faenza 1954; J. Larner, Signorie di Romagna, Bologna 1972; Faenza: la città e l’architettura, a c. di F. Bertoni, Faenza 1978; Faenza. La basilica cattedrale, a cura di A. Savioli, Napoli 1988; M. Banzola, I conti da Cunio fra Romagna e Sabina. Un approccio prosopografico, in «Studi Romagnoli», 41 (1990), pp. 378-414; I. Lazzarini, voci Manfredi, in DBI 68 (2007); Faenza nell’età dei Manfredi, Faenza 1990; G. Rabotti, Vicende vecchie e recenti del «diplomatico» faentino, in «Studi romagnoli», XLI (1990), pp. 75-111; A. Tambini, Storia delle arti figurative a Faenza, 3 voll. Faenza 2006-2009.