di:
Gabriele Taddei
Le origini della famiglia S. non sono facilmente delineabili; le prime notizie sono infatti tardive risalendo solo agli anni Venti del Duecento. Allora i S. già risultavano titolari di una società commerciale dedita al piccolo-medio prestito e partecipavano, per quanto da posizioni non particolarmente rilevanti, al governo cittadino. L’ascesa economica fu comunque rapida e nel giro di pochi decenni il banco famigliare strinse rapporti con la Santa Sede, ottenne appalti imperiali e fornì consistenti somme di denaro al re d’Inghilterra. Dalla metà del secolo la presenza negli uffici pubblici si intensificò mentre il casato, ormai dotato di un’ingentissima disponibilità finanziaria, acquistò in tutto il distretto senese considerevoli patrimoni.
Tali possessi si accrebbero progressivamente allorché il Comune di Siena, di cui la famiglia divenne una delle principali finanziatrici, garantì il rimborso dei denari mutuati attraverso la cessione di diritti e giurisdizioni su numerose terre del distretto. Agli inizi del XIV secolo i possessi famigliari coincidendo con buona parte dell’intera Val d’Orcia; è da qui che la famiglia, annoverata ormai tra quelle «di casato» e pertanto esclusa dai massimi organi di governo, rimodellò le basi della propria potenza. Costruita in sostanza una compagine signorile coesa e relativamente autonoma, fu fidando sugli uomini e sulle risorse in essa attingibili che i membri della famiglia -Giovanni d’Agnolino sopra tutti- tentarono di estendere anche sulla città la propria egemonia.
Se nel contado, soprattutto nell’area valdorciana, i S. acquisirono il controllo su compagini che assunsero presto la fisionomia di estese signorie territoriali di fatto svincolate dalla superiore autorità cittadina, a partire dalla metà del XIV secolo la famiglia si impegnò a raggiungere, anche all’interno delle mura di Siena, un ruolo politico egemonico. Il conseguimento di tale primato garantì di esercitare cogenti influenze su altri centri del distretto senese tra cui Grosseto e Montalcino; fu comunque a Montepulciano che Giovanni d’Agnolino S. assurse a ruoli che le scarse notizie inducono a ritenere più schiettamente signorili.
Lo sviluppo storico dell'egemonia famigliare sulla città prende le mosse dalla seconda metà del XIII secolo. Nel 1260, alla vigilia dello scontro di Montaperti, Salimbene di Salimbene offrì alla città di Siena 118.000 fiorini necessari ad assicurarsi il concorso dei cavalieri tedeschi di Manfredi. Da un lato, in base ad una precisa strategia volta a convertire in potere politico la ricchezza accumulata attraverso l’attività bancaria, appare probabile che l’erogazione di questo credito abbia garantito di imporre un proprio personale indirizzo sugli organismi comunali. Dall’altro risulta invece certo che la concessione di questo e di successivi prestiti abbia innescato quei costanti e continui trasferimenti di terre, diritti e giurisdizioni attraverso le quali il Comune tentò di onorare i debiti contratti. Quando, a partire dal 1277, i S. vennero esclusi dal governo ed annoverati tra i Grandi, essi potevano così già vantare estesi possessi nel contado, di fatto svincolati dalla giurisdizione cittadina. La nuova fisionomia famigliare impose un radicale mutamento nelle strategie attraverso cui conseguire un primato sulla città. Fidando sul concorso degli armati reclutati nei propri dominati comitatini, fu appoggiando strumentalmente le istanze dei ceti subalterni, tenuti lontano dal potere in mano al governo novesco «dei buoni e leali mercatanti», che i S. acquisirono un ruolo egemonico all’interno degli equilibri politici senesi. A partire dal novembre 1355, dopo l’abbattimento dei Nove a seguito di una sommossa alla quale egli non aveva preso parte, Giovanni d’Agnolino S. si qualificò come uomo di fiducia di Carlo IV di Boemia. Da tale posizione, in linea con le aspettative dei gruppi sociali che si erano sollevati contro il precedente regime e che ora erano rappresentati dal nuovo governo dei Dodici, egli si impegnò a fomentare una costante guerra antimagnatizia funzionale al conseguimento del consenso di piazza e, con esso, alla direzione delle vicende cittadine. Tale egemonia non si concretizzò nell’assunzione di alcuna carica politica ma, conservando sempre una fisionomia largamente informale, si sostanziò nella capacità di mobilitare ingenti gruppi di partigiani in armi, reclutati tra i fideles delle signorie comitatine, tra le più umili componenti popolari, tra i sostenitori dell’impero. Attraverso le violente pressioni che queste schiere riuscirono ad esercitare, il S., per più di un decennio, poté piegare la vita politica senese alle proprie personali aspettative.
Morto Giovanni nel 1368, innanzi alla sollevazione delle grandi famiglie «di casato» che istituirono un inedito governo anacronisticamente denominato Consolato, il leader famigliare Niccolò si presentò nuovamente come difensore delle istanze popolari. Con il sostegno del nuovo vicario Malatesta da Rimini, nel settembre di quello stesso anno, i S. si posero alla guida di una sommossa cittadina al termine della quale, abbattuto il Consolato, i membri della famiglia furono ricompensati tramite l’attribuzione, entro il Consiglio Generale, di seggi vitalizi e trasmissibili. L’abnorme potere assunto dai S. è dimostrato dal giuramento che i vari ufficiali cittadini erano chiamati a prestare. I funzionari pubblici dovevano infatti dichiarare la loro fedeltà non solo nei confronti dello Stato Popolare e della «Imperialis maiestas» ma anche della «nobile progenie Salimbenensium». Nondimeno la solidarietà tra il casato e gli esponenti del popolo minuto sarebbe venuta rapidamente meno. L’aspettativa di quest’ultimi, a partire dagli ultimi giorni del 1368, di acquisire un più diretto ruolo nella direzione cittadina e di disfarsi della ingombrante tutela dei S. comportò violenti attriti. Nel gennaio 1369, pur fidando ancora nel sostegno imperiale, i S. furono costretti ad abbandonare la città rifugiandosi nei propri domini valdorciani.
Solo agli inizi del ‘400, Niccolò di Cione S. detto Cocco tentò a più riprese di recuperare le posizioni un tempo detenute dalla famiglia entro le mura di Siena. Riammesso in città da circa un anno, nel novembre 1403 Cocco si fece istigatore, assieme ad alcuni suoi congiunti, di una sfortunata sommossa. Nuovamente espulso, egli ricercò l’appoggio di Ladislao di Durazzo, al quale offrì il suo sostegno militare. Ma alla morte del re di Napoli, Cocco si trovò da solo a sostenere l’urto dell’esercito di Siena. Battuto nel gennaio 1418, fu dunque costretto a cedere alla Repubblica i castelli di Tintinnano, Castiglion d’Orcia, Castiglioncello del Trinoro, Celle e tutti i propri dominati. La sconfitta di Cocco, esiliato nel distretto fiorentino, segnò il definitivo tramonto della consorteria S.
Per quanto a fronte di un potere largamente informale, non sia lecito parlare di alcuna modalità successoria, è doveroso ribadire come a partire dagli ultimi giorni del 1368 i S. divennero titolari per diritto di famiglia di specifici seggi - che si sarebbero trasmessi di padre in figlio- in seno al Consiglio Generale.
Agli inizi del XV secolo gli amplissimi possessi famigliari, accresciutisi in virtù delle giurisidizioni cedute dal Comune di Siena quale garanzia dei prestiti ottenuti dal banco S., comprendevano, tra i tanti, i castelli di Tintinnano, Montecuccaro, Montorsaio, Selva, Trinoro. In questi estesi dominati comitatini, entro i quali la famiglia esercitava poteri dalla schietta fisionomia signorile, i S. reclutavano quelle schiere di fedeli che, costituendo parte della «molta foresteria tutta giurata» ricordata dalle cronache, contribuirono in modo determinante ad incrementare la capacità del casato di esercitare cogenti pressioni sul governo cittadino.
Le disponibilità finanziarie dei S. rappresentarono uno dei fattori che ne determinarono la rapida ascesa politica. In qualità di banchieri e prestatori, i membri della famiglia avevano contratto con l’erario senese ingentissimi crediti. La posizione debitoria del Comune se da un lato rappresentò di per se stessa uno strumento attraverso il quale esercitare un diretto controllo sulla vita politica senese, dall’altro garantì l’acquisizione di giurisdizioni e diritti su numerosi castelli comitatini offerti dall’autorità pubblica in garanzia (o saldo) dei mutui contratti.
L’incendio appiccato agli archivi cittadini nel corso della sommossa antinovesca del marzo 1355 ha sicuramente ridotto in modo considerevole la documentazione inerente l’operato di Giovanni S. Per gli anni successivi una preziosa fonte documentaria è rappresentata dai libri di deliberazione dei Riformatori. Presentano ricostruzioni assai dettagliate delle vicende cittadine del periodo la Cronaca di Donato di Neri e di suo figlio Neri e la Cronica senese di anonimo.
Fonti: Cronaca senese di autore anonimo del secolo XIV, in Cronache senesi, a cura di A. Lisini e F. Iacomennti, in Ris, XV, p. VI, Bologna 1931-39; Cronaca senese di Donato di Neri e di suo figlio Neri, in Ibid.; G. Luchiare, Documenti per la storia dei rivolgimenti politici del Comune di Siena dal 1354 al 1369, Lyon-Paris, 1906; Matteo e Filippo Villani, Cronica, lib. IV, lxxxi, lxxxix; lib. V, viii, lv; lib. X, lxxvii; lib. XI, xii, lib. XI, lxxvii, a cura di G. Porta, Parma 2007.
Studi: A. Carniani, I S. quasi una signoria. Tentativi di affermazione politica nella Siena del Trecento, con prefazione di G. Piccinni; P. Rossi, Carlo IV di Lussemburgo e la Repubblica di Siena (1355-1369), Bullettino senese di Storia Patria, XXXVII (1930), pp. 5-39, 179-242; G. Luchiare, Documenti per la storia dei rivolgimenti politici del Comune di Siena dal 1354 al 1369, Lyon-Paris, 1906, pp. XXIX-LXXXVI; O. Malvolti, Dell’Historia di Siena [rist. anast. Forni editore 1982], II, c. 111 e segg.; D. Marrara, I Magnati e il Governo del Comune di Siena dallo Statuto del 1274 alla fine del XIV secolo, in Studi per Enrico Fiumi, Pacini editore, Pisa, 1979, pp. 239-276; R. Mucciarelli, Il Traghettamento dei “mercatores”: dal fronte imperiale alla “Pars Ecclesiae”, in Fedeltà ghibellina affari guelfi. Saggi e riletture intorno alla storia di Siena fra Due e Trecento, a cura di G. Piccinni, Pacni, Pisa, 2008, pp. 63-104; E. Repetti, Montepulciano (sub voce), in Dizionario geografico fisico storico della Toscana, III, Firenze 1839, pp. 464-492: p. 472.