Smeducci


di:
Origine e profilo sociale:

Il nome Smeducci deriva dall’eponimo Smeduccio (vedi scheda Smeduccio Smeducci): è diminutivo di Fildesmido, Fildesmiduccio, antroponimo assai diffuso nella Marca centro-meridionale. L’attestazione di “Della Scala” non appare invece nella documentazione medievale ed è stata attribuita in età moderna (così ad esempio nel Litta) sulla base dell’araldica, poiché lo stemma della famiglia presenta una scala obliqua rossa su fondo bianco.

Non si hanno notizie sull’origine della dinastia, che precisa il suo ruolo nella società locale soltanto nel primo Trecento con la personalità di Smeduccio. Per alcuni eruditi la famiglia deriva dagli Attoni o Ottoni, schiatta di antica origine comitale, capillarmente diffusa nei due versanti appenninici umbro e marchigiano fra XI e XIII secolo, profondamente irradiata e divisa in numerosissimi rami; per altri, più verosimilmente, dai conti di Truschia, titolari di una piccola signoria locale in area appenninica.



Espansione territoriale della dominazione e suo sviluppo cronologico:

Riguardò la terra di San Severino e i castelli dell’antico contado comunale, a cui si aggiunse nel secondo Trecento, con vicende alterne, il cospicuo castello di Apiro.



Modalit? delle successioni:

Il problema della successione si pose per gli S. nel secondo Trecento, allorché furono insigniti del titolo di Vicari in temporalibus dai pontefici romani. Nel 1367 Smeduccio (vedi scheda Smeduccio Smeducci), al rinnovo della concessione del titolo, ottenne che l’investitura riguardasse anche i suoi figli Cola e Bartolomeo (vedi scheda Bartolomeo Smeducci) e suo nipote Pietro. Cola morì però poco dopo, nel 1374 e da quell’anno fu a capo della signoria il solo Bartolomeo, che la mantenne fino al 1388, estromettendo i due figli di Cola, cui spettava legittimamente la successione del potere. Nel 1387 Onofrio (vedi scheda Onofrio Smeducci) e Roberto, figli di Cola, congiurarono contro Bartolomeo, riuscendo a garantirsi il sostegno del popolo, sobillato ad arte: il signore fu allora imprigionato e rinchiuso nel castello di Truschia. Le rivalità fra i due rami furono sedate nell’aprile 1388, allorché nella residenza degli Ottoni a Matelica fu stipulata una pace fra le parti, che prevedeva l’estromissione di Bartolomeo, obbligato a risiedere a Matelica e a non far più ritorno a San Severino, dietro lauto pagamento in denaro (20 mila fiorini), mentre la signoria passava nella mani di Onofrio e dei suoi discendenti. Alla morte di quest’ultimo, nel 1413, la signoria passò infatti nelle mani del figlio Antonio (vedi scheda Antonio Smeducci), che però fu spodestato e cacciato dalla terra nel corso di una rivolta popolare nel 1426. La sorte dei tre figli di Antonio e della sua consorte, Marsobilia di Ugolino Trinci, esiliati da San Severino, fu assai varia: Apollonio seguì il padre a Padova, ove morì giovane; Onofrio, confidente di papa Eugenio IV, fu nominato nel 1437 vescovo di Melfi; Smeduccio tentò nel 1433 di riaffermare la signoria degli S. su San Severino con un colpo di stato ma, nonostante l’appoggio dei da Varano di Camerino, il suo progetto fallì e la terra passò quindi sotto l’autorità di Francesco Sforza.

Castelli e basi militari nel contado:

I centri fortificati di Apiro e di Ficano, occupati dagli S. dopo la metà del Trecento, costituirono una base strategica lungo la valle longitudinale che collega San Severino all’alta Vallesina, verso Nord. Per la sua posizione nevralgica, Apiro fu incessantemente conteso nel primo Quattrocento dagli S., da Braccio di Montone e dai Cima di Cingoli.


Risorse e iniziative economiche:

Alcune attestazioni rilevano l’impegno degli S. nel promuovere l’industria laniera, già fiorente a San Severino: nei registri di entrata e uscita relativi al periodo di Onofrio e Antonio (vedi schede Onofrio Smeducci e Antonio Smeducci) risulta infatti che vennero importati panni grezzi dalle Fiandre e dall’Inghilterra e fatti lavorare agli artigiani della terra di San Severino, specializzati nella cimatura dei panni.

All’indomani della cacciata degli S. nel 1426 i loro beni furono confiscati. Nello stesso anno, Antonia da Varano, sposa di Apollodoro di Antonio, chiese al Comune di San Severino di recuperare la sua dote, pari a 3000 ducati; ancora nel 1460 il figlio Giulio Cesare da Varano chiedeva al comune 5000 ducati quale rimborso per la dote, ma il Comune negò la somma in quanto affermava di essere entrato in possesso dei beni degli S. non per eredità ma per acquisto dalla Camera Apostolica.


Principali risorse documentarie:

Poco cospicui i documenti d’archivio riguardanti gli Smeducci nell’Archivio di San Severino; tuttavia la documentazione, locale e non, non è mai stata sottoposta ad uno scavo sistematico per ricostruire un profilo della signoria.


Bibliografia delle edizioni di fonti e degli studi:

Smeducci Cima Della Scala, in P. Litta, Famiglie celebri italiane, s.l., 1868-1872, vol. 16, n. 148 (con notevoli imprecisioni, fra cui l’assimilazione degli S. ai Cima di Cingoli); C. Gentili, De ecclesia semtempedana libri tres, Macerata 1836; [G. Giuliozzi], Della tregua avvenuta nell'ottobre del 1411 fra Onofrio Smeducci di San Severino ed il comune della città di Macerata, Macerata 1869; R. Paciaroni, La cronaca di Cola di Lemmo Procacci da Sanseverino (1415-1475), «Studi maceratesi» 10 (1974), pp. 266-287; A. Gubinelli, San Severino Marche. Guida storico artistica, Macerata 1975; R. Paciaroni, Lo stemma degli Smeducci signori di Sanseverino, Sanseverino Marche 2002; R. Paciaroni, Un fallito golpe degli Smeducci, Sanseverino Marche 2006.


Membri della famiglia:

Note eventuali: