di:
Gabriele Taddei
Esponenti della piccola aristocrazia capitaneale, la schiatta che solo più tardi acquisirà la cognominazione T. concentrava i propri interessi, nel corso dell’XI secolo, attorno al castello di Pietramala e nelle contrade immediatamente ad oriente d’Arezzo. Radicatisi presto anche nel contesto cittadino, i T. parteciparono attivamente alla vita politica del nascente comune pur continuando ad ampliare i possessi comitatini. Nel 1198 un Ildebrandino da Pietramala fece parte del Consiglio consolare, mentre altri esponenti del casato proseguiranno negli anni a venire a ricoprire importanti uffici pubblici.
Divenuti una delle più influenti famiglie aretine di fedeltà ghibellina, i T. animeranno il partito cittadino dei Secchi contrapposto a quello dei Verdi coagulato prima attorno ai della Faggiola e poi ai Bostoli.
Sebbene il fulcro delle esperienze di potere dei T. sia stato la città di Arezzo, l’azione famigliare poté indirizzarsi anche in direzione del Casentino, dell’Alta Val Tiberina e della Val di Chiana. L’allargamento degli orizzonti politici dei T. verso queste aree, sostenuto in parte anche da un notevole radicamento patrimoniale, poté da un lato avvantaggiarsi della benevolenza imperiale, dall’altro fidare sull’alleanza di molte delle casate signorili appenniniche.
In forza di questi fattori, attorno agli anni Venti del XIV secolo, Guido T., vescovo cittadino, esercitava il suo potere non solo su Arezzo, ma anche sui rilevanti centri di Borgo San Sepolcro (oggi Sansepolcro), Città di Castello e Castiglion Aretino (oggi Castiglion Fiorentino) mentre soltanto l’intervento pontificio del 1325, tramite l’istituzione della nuova diocesi di Cortona, sottrasse tale insediamento all’egemonia del Pietramala. L’articolata signoria tarlatesca (che pure non acquisì mai una connotazione unitaria mantenendo sempre la sua natura aggregativa) ebbe invero una vita relativamente effimera. Già Pier Saccone, fratello e successore di Guido, perdette nel 1335 Città di Castello e Borgo San Sepolcro, fu costretto due anni dopo a vendere Arezzo ai Fiorentini, conservando un diretto dominio solo su Castiglion Aretino, comunque perduto alla metà del 1337 e recuperato per appena due anni tra il 1343 ed il 1345.
Per quanto esponenti della famiglia T. avessero occupato con continuità, sin dagli ultimi anni del XII secolo, importanti incarichi entro le strutture istituzionali aretine, fu nel giugno 1287 che l’allora leader famigliare Tarlato T., in qualità di esponente di spicco del partito ghibellino, si fece promotore di una iniziativa che adombra l’intenzione di esercitare un più diretto e personale ascendente sulla città. Assieme al rivale Rinaldo de’ Bostoli, di orientamento guelfo, Tarlato si rese infatti responsabile della destituzione del priore delle arti Guelfo da Lombrici e del sovvertimento del governo ultrapopolare di cui quest’ultimo era stato il patrocinatore. Se, a detta di Giovanni Villani, i due “rimasono signori” di Arezzo, l’effettiva guida cittadina risedette allora nelle mani del presule Guglielmino Ubertini, nei cui confronti i rapporti di Tarlato, certamente meno tesi rispetto a quelli di Rinaldo (costretto all’esilio), rimasero comunque ambigui. Del resto solo l’assunzione da parte di un T. di quella dignità vescovile alla quale entro la città di Arezzo erano tradizionalmente attribuite amplissime prerogative di governo garantì ad un esponete della famiglia di ascendere ad un ruolo più schiettamente signorile. Consacrato vescovo nel 1312, Guido T. divenne nel volgere di pochi anni il vero artefice della politica cittadina venendo infine riconosciuto nel 1323 Dominus civitatis. Ferventemente ghibellino, in virtù della benevolenza imperiale, della propria ascendenza personale e della disponibilità di schiere di sostenitori in armi, Guido estese il proprio dominio anche sui centri contermini di Città di Castello, Borgo San Sepolcro e Castiglion Aretino. Alla sua morte (1327) i membri della famiglia furono in grado di conservare senza soluzione di continuità il potere precedentemente detenuto da Guido. Fu il fratello di questi, Pier Saccone, ad assurgere presto a nuovo leader famigliare venendo riconosciuto prima vicario imperiale dal Bavaro e quindi nuovo Generalis Dominus Aretinus (1333). Nonostante le notevoli energie dimostrate, egli fu comunque travolto dall’offensiva delle forze guelfe che si opponevano ai Visconti, venendo costretto a rinunciare progressivamente a tutti i suoi domini.
Negli anni che seguirono la vendita di Arezzo ai Fiorentini (1337), i rapporti tra Pier Saccone ed il Comune cittadino, conformato dalla nuova Dominante ai dettami popolari e guelfi, furono di aperta ostilità.
Sbanditi in conseguenza di un accordo siglato nel giugno 1345, i Pietramala si qualificarono come i più ferventi oppositori di Carlo di Durazzo, signore cittadino a partire dai mesi finali del 1380. Quattro anni dopo i membri della famiglia furono del resto tra i promotori dell’ingresso in Arezzo di Enguerrand di Coucy; se il francese aveva forse garantito ai T. che avrebbe demandato loro l’effettivo governo della città, egli vendette invece la signoria al Comune di Firenze dopo poco più di un mese dalla conquista (5 novembre 1384). La definitiva sottomissione ai fiorentini, cui anche i T. presto si accomandarono, privò la famiglia di ogni residua possibilità di aspirare ad un dominio sulla loro città.
L’esperienza signorile tarlatesca fu di durata troppo esigua affinché si potessero consolidare stabili modalità successorie. Alla morte di Guido, Rodolfo di Tarlato e Bettino di Vanni (rispettivamente zio e cugino del defunto) promossero la redazione di un nuovo statuto attribuendosi la carica di Defensores civitatis. Di lì a pochi mesi, sotto la pressione del più autorevole Pier Saccone, fratello di Guido, il testo normativo fu implementato sancendo la cooptazione quali nuovi Defensores dello stesso Pier Saccone e di suo cugino Bertoldo di Magio. La relativamente rapida consunzione del potere di Pier Saccone evitò che alla morte di quello, avvenuta nel 1356, si proponesse una nuova questione successoria.
La disponibilità di castelli nel contado rappresentò uno degli elementi di forza dei T., i quali poterono costantemente contare sull’appoggio di schiere di masnadieri e uomini armati reclutati in tali terre. Oltre alla rocca di Pietramala, la famiglia arrivò ad annoverare, sul finire del XIII secolo, una lunga serie di fortilizi disposti lungo tutta la dorsale appenninica dall’Alta Val Tiberina alla Val di Chiana, nel Casentino meridionale, in Val d’Ambra e nel Valdarno superiore. Allorché nel 1337 i T. cedettero la signoria di Arezzo, i Fiorentini riconobbero loro la piena giurisdizione su una serie di più di 50 castelli quam tamquam private persone tenent, tra i quali le rocche di Pietramala, Caprese, Monterchio, Verghereto, Tuoro, Montanina, Ranco. Fu da questi fortilizi che per altri cinquanta anni la famiglia mantenne una costante pressione militare sulla città, ormai egemonizzata dai Bostoli e dai Brandaglia.
La distruzione degli archivi cittadini in conseguenza delle vicende che nel 1384 portarono al definitivo assoggettamento fiorentino ha ridotto il novero delle fonti per lo studio della storia medievale aretina. Il più ed il meglio di quanto si è conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze e l’Archivio Capitolare di Arezzo è stato pubblicato nella raccolta del Pasqui, inaggirabile strumento per l’analisi della parabola tarlaresca.
Fonti: Acta Henrici VII Romanorum Imperatori…, a cura di F. Bonaini, Firenze, 187; Annales Aretinorum maiores et minores, a cura di A. Bini e G. Grazzini, Rer. Italic. Scrip.2, t. XXIV p. I, Città di Castello, 1909; A. Ascani, Due cronache quattrocentesche, Città di Castello, Scuola Grafica dell’Istituto Professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato, 1966; L. Bruni, Istoria fiorentina, II, Firenze, Le Monnier, 1855; Documenti per la storia della città di Arezzo nel Medioevo, a cura di U. Pasqui, Bellotti, Firenze, 1899-1937; Documenti riguardanti i T., a cura di A. Bini e G. Grazzini, Rer. Italic. Scrip.2, t. XV, p. I, Bologna, 1917, pp. 305-334; P. Farulli, Annali e memorie dell'antica e nobile città di S. Sepolcro, Foligno, N. Campitelli, 1713, ristampato a Bologna, Forni, 1980; Historia Burgi, in Cronache Quattrocentesche di San Sepolcro, a cura di G.P.G. Scharf, in corso di stampa; Ser Bartolomeo di ser Gorello, Cronica dei fatti di Arezzo, a cura di A. Bini e G. Grazzini, Rer. Italic. Scrip.2, t. XV, p. I, Bologna, 1917, pp. 1-194; Statuto di Arezzo (1327), a cura di G. Marri Camaiani, Deputazione di Storia Patria per la Toscana, sezione di Arezzo, Firenze, 1946; U. Pasqui, Documenti per la storia della città di Arezzo nel Medio Evo, 4 voll., Firenze-Arezzo, 1899-1937; Giovanni Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, Guanda, Parma, 2007.
Studi: A. Antoniella, Affermazione e forme istituzionali della dominazione fiorentina sul territorio di Arezzo (secc. XIV-XVI), «Annali Aretini», I (1993), pp. 173-205: pp. 179 e segg.; L. Berti, Arezzo nel tardo medioevo (1222-1440). Storia politico-istituzionale, Società storica aretina, Arezzo, 2005; V. Cappelli, Introduzione, in Statuto del Comune e del Popolo di Arezzo (1337), a cura di V. Cappelli, Società Storica Aretina, Arezzo, 2009, pp. XI-LXIII; G. Ciccaglioni, Tra unificazione e pluralismo. Alcune osservazioni sull’esperienza pastorale e di dominio politico di Guido T., vescovo e signore di Arezzo (1312-1327), «Cristianesimo nella storia», XXIX (2008), pp. 345-375; L. Coleschi, Storia di Borgo San Sepolcro, San Sepolcro 1886, ristampata in L. Coleschi – F. Polcri, Storia di San Sepolcro, San Sepolcro, C.L.E.A.T., 1966, pp. 39-45; F. Conticelli, Una sepoltura ricchissima e quanto più si potesse onorata: osservazioni sul cenotafio di Guido T. nel Duomo di Arezzo, in Arte in terra d’Arezzo, Il Trecento, a cura di A. Galli e P. Refice, Firenze, Edifir, 2005; R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze, Sansoni, 1957; E. Droandi, Guido T. di Pietramala ultimo principe d’Arezzo, Calosci, Cortona, 1993; G. Fatini, L’ultimo secolo della repubblica aretina, «Bull. Senese di storia patria», XXXI (1924), pp. 92-106; C. Lazzeri, Guido T. vescovo e signore d’Arezzo, in Aspetti e figure di vita medioevale in Arezzo, Regia Accademia Petrarca, Arezzo, 1937, pp. 79-100; G. Mancini, Cortona nel Medioevo, Firenze, Carnesecchi, 1897; G. Muzi, Memorie civili, vol. I, in Id., Memorie ecclesiastiche e civili di Città di Castello, raccolte da M.G.M.A.V. di C. di C., con dissertazione preliminare sull'antichità ed antiche denominazioni di detta città, Città di Castello, F. Donati, 1844 (ristampa anastatica Città di Castello, Phromos, 1988), pp. 144-6; U. Pasqui, Cronologia dei vescovi di Arezzo dalla metà del secolo IV all’anno 1403, in Id., Documenti per la storia della città di Arezzo nel Medio Evo, vol. IV, Arezzo, Bellotti, 1904, pp. 257-290: p. 285-6; R. Piattoli, T., (sub voce) in Enciclopedia Dantesca, V, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 1976, pp. 523-524; A.M. Ponticelli Rupi, Guido T. di Pietramala. Vescovo e signore di Arezzo, [1937] Città di Castello, Tibergraph, 1993; G.P.G. Scharf, Fra signori e politica regionale. Arezzo da Campaldino a Guido T. (1289-1327), in Petrarca politico, Atti del convegno (Roma-Arezzo, 19-20 marzo 2004), Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 2006, pp. 147-157; G. Taddei, Castiglion Fiorentino fra XIII e XV secolo. Politica, economia e società di un centro minore toscano, Olschki, Firenze 2009; G. Taddei, La Montanina: vita e morte di una piccola signoria appenninica (secoli XII-XV), «Annali Aretini» (in corso di stampa)