Abbamonte, Giovanni


di:
Estremi anagrafici:

Seconda metà del XIII secolo – post 1321.



Durata cronologica della dominazione:

Fine XIII secolo – primi anni del XIV secolo (periodo in cui Giovanni appare come leader dell’aristocrazia); 1318-1321 (periodo in cui l'A. assume un ruolo di tipo monocratico).



Espansione territoriale della dominazione:

Ascoli ed alcuni castelli del suo territorio ubicati in area appenninica. Ad Offida, fuori dal contado ascolano, Giovanni possedeva un palazzo, ove nel 1306 riunì gli esponenti dell’aristocrazia ascolana, fuoriusciti dalla città.

Origine e profilo della famiglia:

Gli Abbamonte appartengono all’aristocrazia ascolana inurbata alla metà del Duecento;  ancora alla fine del secolo detenevano quote di diritti signorili in alcuni castelli del territorio ascolano. Negli anni Ottanta Venimbene, padre di Giovanni, ottenne diritti su Monte Passillo, mentre il fratello di Venimbene, Bartolomeo, fu presente, nel palazzo comunale, al momento della cessione al Comune del castello di Cagnano nel 1286 e di Polesio nel 1296. Lo stesso Giovanni compare nell’atto di sottomissione del castello di Force ad Ascoli nel 1297. Si tratta dunque di una famiglia con profondi interessi signorili e fondiari nel contado, soprattutto nell’area appenninica.


Titoli formali:

Nessun titolo formale.


Modalità di accesso al potere:

La figura dell’A. si impone all’interno delle lotte fra fazioni, che attraversarono la città di Ascoli negli ultimi anni del XIII secolo. In questo periodo, Giovanni si era affermato come leader dell’aristocrazia e, in un momento non precisabile cronologicamente, fu cacciato dalla città insieme ad altri nobili, mentre Ascoli era guidata da un regime popolare. Nel 1306, l’A. (definito dominus et miles) compare come leader aristocratico in un patto fra gli estrinseci (un’ottantina di nobili esiliati) e il regime popolare dominante (intrinseci, che si definiscono anche come massa populi). Nell’atto la personalità di Giovanni è avvertita dal Comune popolare come una minaccia, dal momento che gli viene intimato di rinunciare ad ogni ufficio e rendere conto al Comune di quanto commesso prima del suo esilio; gli si prescrive inoltre di restare oltre le sei miglia dalla città finché il consiglio comunale non avesse deliberato diversamente. Quanche anno più tardi, nel 1318, forte dell’appoggio dei ghibellini della Marca di Ancona, l’A. riuscì ad imporsi come signore attraverso un’occupazione militare della città.


Legittimazioni:

Caratteristiche del sistema di governo:

Non si sa nulla del governo dell’A. nei tre anni in cui fu signore di Ascoli.


Sistemi di alleanza:

L’A. prese parte allo schieramento ghibellino nella Marca nei primi anni del Trecento.


Cariche politiche ricoperte in altre citt?:

Legami e controllo degli enti ecclesiastici, devozioni, culti religiosi:

Politica urbanistica e monumentale:

Politica culturale:

Consenso e dissensi:

Giudizi dei contemporanei:

La signoria dell’A. rappresentò una breve parentesi politica nel costante orientamento guelfo e popolare del Comune di Ascoli, per cui la damnata memoria di Giovanni si perpetuò in modo tenace nella memoria politica cittadina. Gli “Statuti del Popolo e della città di Ascoli” (1377), redatti in volgare, di ispirazione popolare, affermano che il testo legislativo fu approvato per insofferenza “de li tirandi et de li crudeli che segnoregiabano la ciptà”, citando espressamente in una norma (I, LXXVI) sia L’A. (“mesere Ioanni de Vendibene”) che Galeotto Malatesta (signore della città nel 1355); nel testo si prescrive anche che nessuno debba lavorare nei possessi di Giovanni. Si tratta evidentemente di norme stratificate nel tempo, che “rispondevano a necessità precise dettate da una stratificazione di contingenze politiche” e rappresentavano “un pedaggio, tutto sommato modesto, pagato per garantirsi la vigenza dello statuto, il quale era comunque passato per tutte quelle vicende” (Ortalli, Lo statuto, vedi Bibliografia).

Un singolare caso di damnatio memoriae dell’A. è attestato nel processo di canonizzazione di San Nicola di Tolentino (1325): due testimoni sostengono che una monaca di San Ginesio posseduta dal demonio sarebbe stata vittima di inquietanti visioni nelle quali le sarebbero apparsi, oltre ad un numero infinito di topi e animali ripugnanti, anche Giovanni (insieme a Rinaldo di Brunforte, leader ghibellino in età federiciana), che a gran voce avrebbe invocato il demonio a venire in suo soccorso con un esercito di mille cavalieri.


Fine della dominazione:

Non sono note le cause che condussero alla cacciata dell’A. dalla città nel 1321, ponendo fine della sua breve signoria.


Principali risorse documentarie:

Del tutto assenti i documenti d’archivio ascolani sulla signoria dell’A. (probabilmente gli atti furono vittima della damnatio memoriae seguita alla fine del regime).


Bibliografia delle edizioni di fonti e degli studi:

Fonti:Statuti di Ascoli Piceno dell'anno MCCCLXXVII, a cura di L. Zdekauer e P. Sella, Roma 1910 (Fonti per la storia d’Italia, 47); Il processo per la canonizzazione di San Nicola da Tolentino, ed. critica a cura di N. Occhioni, Roma 1984, XXI e CXXII testis, p. 140 e 324; Il Quinternone di Ascoli Piceno, a cura di G. Borri, Spoleto 2009 (Fonti documentarie della Marca medievale, dir. G. Avarucci, 3).

Studi: A. De Santis, Ascoli nel Trecento, I: 1300-1350, Rimini 1984, pp. 306-309; G. Ortalli, Lo statuto tra funzione normativa e valore politico, in Gli statuti delle città: l’esempio di Ascoli nel secolo XIV, a cura di E. Menestò, Spoleto 1999, pp. 11-36; G. Pinto, Ascoli i il suo territorio, in Istituzioni e statuti comunali nella Marca di Ancona, Dalle origini alla maturità (secoli XI-XVI), II, 2, Le realtà territoriali, a cura di V. Villani, Ancona 2007, pp. 301-340.


Apporti nuovi di conoscenza:

Note eventuali: