Amedeo di Savoia, principe d’Acaia


di:
Estremi anagrafici:

1363 - 1402



Durata cronologica della dominazione:

1377-1402



Espansione territoriale della dominazione:

Per la politica di espansione territoriale portata avanti dai singoli membri della famiglia vedi alla voce: ACAIA, famiglia.

Origine e profilo della famiglia:

Vedi alla voce: ACAIA, famiglia.


Titoli formali:

Come i suoi predecessori A. continua a fregiarsi del titolo, quasi solo onorifico, di principe d'Acaia (princeps Achaie), che ha origine dal matrimonio dell'avo Filippo d'Acaia con Isabella de Villehardouin nel 1301.


Modalità di accesso al potere:

Investito dei suoi domini dal conte Amedeo VI di Savoia al compimento della maggiore età, 21 nov. 1377.


Legittimazioni:

dall'alto:

investitura dei suoi domini da parte del conte di Savoia Amedeo VI (1377).

dal basso:

8 mar. 1378: la città di Torino presta fedeltà ad A.


Caratteristiche del sistema di governo:

Non introduce particolari innovazioni rispetto ai predecessori. A Torino mantiene un vicario, e durante il suo dominio si accentua una tendenza ricontrabile già alla metà del Trecento: ad occupare questa carica sono individui dal profilo sempre più elevato, in genere di estrazione nobiliare (si tratta sempre, con l'importante eccezione del capitano di ventura Perino Malabaila, di sudditi del principe o del conte di Savoia). Una tendenza favorita dal fatto che non di rado i vicari - com'è il caso del già citato Malabaila o del successore, Filippo di Savoia di Collegno -, erano stati in precedenza creditori del principe, e l'ufficio che ricoprivano serviva a estinguere il debito. L'intervento più deciso, e che creerà non pochi dissapori con il ceto dirigente di Torino, è quello relativo alle gabelle. Non appena raggiunta la maggiore età e salito al governo (1378) A. intraprende un'azione legale per reintrodurre a Torino la gabella del sale, da tempo non più riscossa: istituita nel 1300 da suo nonno, Filippo d'Acaia, che ne spartiva i proventi col comune, i diritti della gabella erano poi passati interamente in gestione a quest'ultimo, che ne aveva acquisito i diritti dietro pagamento annuo di 15 lire allo stesso principe, e che aveva poi smesso di effettuare il prelievo dopo la sua morte (1366). La trattativa portata avanti fra il 1379 e il 1380, mediata dal conte di Savoia Amedeo VI, si concluse con la reintroduzione della gabella, i cui proventi sarebbero spettati interamente al comune, e l'ingiunzione a quest'ultimo di pagare le 15 lire annue. Negli anni successivi A. si farà promotore di altre sgradite "novitates", come lamentano gli appaltatori delle gabelle, cercando di introdurre altri dazi come quello sul traffico del ferro o sul commercio degli ovini e contestando i diritti del comune sulla riscossione di certe entrate. In realtà pare che a risentire di più dell'intransigenza del principe sia stato il chiavaro sabaudo, che si trovava tra l'incudine dei computatores domini, i quali pretendevano l'esatto rendiconto anche delle entrate di pertinenza comunale, e il martello del consiglio cittadino, che non si fece mai troppo intimorire dalle minacce del principe e continuò sostanzialmente a ignorare non appena possibile i suoi diritti. La questione della gabella del sale si trascinò fino al 1408 quando il successore di A., Ludovico, accettò di cederla al comune.

Con il consenso di A., nel 1389 viene ricostituita nella stessa città la società di popolo di San Giovanni Battista, che era stata soppressa da Amedeo VI conte di Savoia. Gli statuti emanati in quell'anno limitano l'accesso a chi paghi regolarmente la taglia e non abbia conti in sospeso con la giustizia, ed escludono esplicitamente le famiglie magnatizie dei Della Rovere, Silo, Zucca, Borghesio, Beccuti e Gorzano ("exceptis et expulsis omnibus de hospitiis, agnationibus et albergis illorum de Ruore, de Silis, de Czuchis, de Borgensibus, de Beccutis et de Gorzano": Storia di Torino, p. 186). La società fu da quell'anno affiancata al chiavaro nell'amministrazione del comune, vanificando di fatto l'equilibrio fra nobili e popolari previsto dagli statuti cittadini emanati sotto Amedeo VI nel 1360.


Sistemi di alleanza:

Completa subordinazione ai conti di Savoia, senza nessuno dei tentativi autonomisti dei suoi predecessori. Fa la pace col marchese di Saluzzo nella prospettiva di un'alleanza antiangioina, e partecipa nel 1382 alla spedizione napoletana di Amedeo VI. Nel 1387 si schiera con Amedeo VII contro la rivolta dei Tuchini nel Canavese e contro il marchese del Monferrato. Nel 1391 si urta col marchese di Saluzzo Tommaso e lo sconfigge; la pace è stipulata nel 1395, ma Tommaso di Saluzzo viene tenuto prigioniero a Torino fino al pagamento del riscatto. Nel 1396 il marchese di Monferrato Teodoro II gli dichiara guerra insieme al marchese di Saluzzo. In quest'occasione A., assestando un duro colpo ai domini monferrini, riesce a portare a termine la conquista di Mondovì, la cui resa è così descritta dal funzionario sabaudo subito installato in città: "Montisregalis civitas, jam senciens omnes villas et castra vicinia per Principem fore capta, cum vidit hunc Principem ad menia anellantem eniti, tacta potencia et audita clemencia, non parata resistere, vi armorum et timore patefecit suas portas Cruce Alba insignitas, et admisit hunc Principem in dominum naturalem, proclamando ultra astras «Vivat, vivat Sabaudia»" (Gabotto, Documenti inediti, doc. 99, del lug. 1396).

Nel 1380 sposa Caterina, figlia del conte Pietro di Ginevra, matrimonio voluto da Amedeo VI (di cui il conte di Ginevra è vassallo al pari di A.) e che consolida l'adesione di tutta la dinastia sabauda all'antipapa avignonese Clemente VII (Roberto di Ginevra, fratello di Pietro).


Cariche politiche ricoperte in altre citt?:

Legami e controllo degli enti ecclesiastici, devozioni, culti religiosi:

Politica urbanistica e monumentale:

Politica culturale:

Consenso e dissensi:

Giudizi dei contemporanei:

Scontato il giudizio negativo espresso dal contemporaneo Tommaso III di Saluzzo, esponente di una famiglia profondamente ostile agli Acaia nonché autore di un romanzo, il Livre du Chevalier Errant, in cui A. viene citato quale emblema dell'inadeguatezza morale di certi principi. A., “cortese cavaliere e benevolo quando ne ha voglia”, è ritratto in un ironico dialogo con il protagonista: richiesto di fornire quella preziosa merce chiamata coscienza, il principe d'Acaia risponde che non può essergli d’aiuto, perché dopo la sua ultima guerra “l’ho spesa tutta e non me ne rimane più”. Il bene, rincara Tommaso di Saluzzo, è altrettanto raro presso i vassalli del principe, che durante i suoi consigli a corte consumano in un quarto d’ora tutta la coscienza che erano riusciti a mettere insieme in un anno.


Fine della dominazione:

A. muore il 7 mag. 1402 a Pinerolo, senza eredi. I suoi domini sono ereditati dal fratello Ludovico d'Acaia.


Principali risorse documentarie:

La documentazione relativa ai Savoia del ramo d'Acaia è in gran parte conservata nell'Archivio di Stato di Torino, per i principali fondi archivistici vedi alla voce ACAIA, famiglia.


Bibliografia delle edizioni di fonti e degli studi:

Vedi alla voce ACAIA, famiglia.


Apporti nuovi di conoscenza:

Note eventuali: