di:
Flavia Negro
1360-1391
1383-1391
Le premesse di un'espansione sabauda in Provenza erano state poste già da Amedeo VI, padre di A., che in seguito all'accordo del 1382 con Luigi d'Angiò aveva potuto occupare Cuneo e ottenere la cessione dei domini angioini in Piemonte. Il conte era morto poco dopo durante la spedizione verso il regno di Napoli a fianco dello stesso Luigi d'Angiò, e il 2 mar. 1383 Bona di Borbone aveva ottenuto da quest'ultimo il riconoscimento di un debito verso i Savoia pari a 16.200 franchi e 3240 ducati. Il recupero del credito fornisce ad A. la legittimazione per ampliare i domini d'Oltralpe: dal 1384, contrastando le ambizioni del marchese di Saluzzo, il conte procede con l'aiuto degli Acaia a risalire la valle di Stura, e il 28 settembre 1388 ottiene grazie all'appoggio dei Grimaldi di Bueil la città di Nizza. Gli accordi sottoscritti fra 1388 e il 1389 misero A. al riparo, almeno temporaneamente, dalle possibili contestazioni degli Angiò e di re Ladislao.
Mantiene Ivrea e i domini acquisiti dal padre nel biellese (accordo con il vescovo di Vercelli Giacomo Cavalli del 2 ag. 1386).
Vedi alla voce Savoia, famiglia.
A. usa preferibilmente, come i suoi predecessori, il titolo di "conte di Savoia" (comes Sabaudie); in documenti di particolare rilievo si aggiungono a questo i titoli di "princeps", "duca del Chiablese e di Aosta" e "marchese in Italia" (nella sua forma più estesa: Amedeus comes Sabaudie princeps dux Chablaysi et Auguste et in Italia marchio).
Succede al padre Amedeo VI, morto di peste il 10 mar. 1383 durante la spedizione al seguito di Luigi d'Angiò nel regno di Napoli.
dall'alto:
1 ott. 1383: l'imperatore Venceslao conferma ad A. tutti i diplomi concessi dai suoi predecessori ai conti di Savoia (fra cui l'investitura di Asti, fatta da Enrico VII ad Amedeo V, e il diploma, concesso nel 1365 da Carlo IV ad Amedeo VI, che sanciva l'appartenenza giuridica dei domini sabaudi all'impero, permettendo alla dinastia di cautelarsi dalla politica d'espansione del re di Francia nel regno di Arles).
dal basso:
omaggio della città di Ivrea e conferma dei privilegi da parte di A. (14 dic. 1385).
A. condivise il governo della contea con la madre Bona di Borbone, che aveva già svolto ruoli di supplenza durante le assenze del marito (le lettere che contenevano ordini e direttive avevano in questi casi come autore lo stesso Amedeo VI, salvo recare al fondo la dicitura "per dominam, absente domino": Cognasso, Il conte Rosso, p. 44). Il 18 lug. 1383 anno A., che ha appena ereditato il titolo di conte, stringe un accordo con la madre: aderendo alla volontà paterna, stabilisce che a Bona di Borbone spettino come doario il Faucigny e varie castellanie nel Chiablese e Genevese, e inoltre che essa abbia diritto, quando lo ritenga opportuno, di esercitare il governo nella contea. Un'eventualità che non mancò di verificarsi negli anni successivi: accanto alle disposizioni di A. compaiono non di rado quelle sottoscritte da entrambi o dalla sola Bona (che in questo caso si intitola: "Bona de Borbone comitissa Sabaudie administratrix tutrixque et tutoris nomine illustris filii nostri carissimi comiti Sabaudie").
Per quanto riguarda il governo dei domini sabaudi nel loro complesso lo statuto emanato da Bona di Borbone nel 1389 interviene sul consilium cum domino residens - rinnovando la prescrizione, già di Amedeo VI, con la quale si stabiliva che doveva essere presieduto da un cancelliere generale -, e sulla Camera dei Conti, stabilendo che l'ufficio dei "magistri et auditores computorum" debba essere ricoperto da professionisti e non da consiglieri comitali scelti di volta in volta (A. integrerà le disposizioni materne precisando che i controllori dei conti devono essere "viros prudentes et probos, fideles, in arte carculationis et computendi...idoneos").
Gli interventi di A. mostrano una certa cautela verso il principio, che andava invece affermandosi nell'apparato dei funzionari comitali, secondo cui il progresso dell'amministrazione sabauda passava attraverso l'ampliamento dei domini diretti e la riduzione delle giurisdizioni signorili. Emblematico di quest'atteggiamento un documento del 1385 dove il conte - suggerendo un paragone fra la moderazione del governo nobiliare e il rigore, a volte deleterio per i sudditi, di quello degli ufficiali comitali - sottopone gli uomini della Val di Rhêmes ai nobili Sarriod d'Introd affinché "homines nobiles et fideles nostri suis patrimoniis et iuribus sub quietis dulcedine gaudeant, et reiectis turbationibus et officiariorum subtilitatibus invidis vivere valeant in quieto". D'altra parte A. aveva sotto gli occhi gli effetti della prassi, già attestata sotto i predecessori e continuata sotto di lui, di affidare gli uffici pubblici ai creditori del conte: castellani, balivi e giudici sono incentivati, come nota lucidamente lo stesso A. nel 1391, ad utilizzare il loro incarico per recuperare con ogni mezzo le somme prestate ("die et nocte curant et excogitant incessanter quod lucra pro dictis eorum pecuniis eis perveniant") (Barbero-Castelnuovo 1992).
Ivrea e il Canavese. Il 15 mag. 1389 il comune di Ivrea ottiene da A. la concessione della gabella del sale, i redditi del pedaggio e i banni minuti fino a 60 soldi in cambio di 2400 fiorini d'oro e 800 da pagarsi annualmente come salario del podestà. Una delle questioni di governo in cui madre e figlio si trovarono affiancati fu la ribellione che nel Canavese oppose le comunità, esasperate dalle continue lotte fra le consorterie nobiliari e dalla gravezza di alcune imposizioni signorili (prima di tutte quella relativa al diritto di successione), ai signori locali. La mediazione fra le parti tentata da A. nel 1385 - convocando a Torino gli esponenti delle due principali famiglie signorili in guerra, i conti di Valperga e quelli S. Martino, e condannando i patti ("omnis iura liga unio monopoliumque") stretti fra le comunità contro di loro - ebbe come risultato lo scatenarsi degli episodi di violenza: quelli che le fonti dell'epoca definiscono, con un termine di etimologia non chiara, "tuchini", e a volte semplicemente "popullares", assaltarono vari castelli e ne espulsero i nobili. L'intervento interessato del marchese di Monferrato a sostegno ai ribelli complica e ritarda ulteriormente la risoluzione della questione. La sentenza di Bona di Borbone del 2 mag. 1391 pone fine alla vicenda stabilendo, fra l'altro, l'esplicito divieto di risolvere i conflitti con la guerra privata e l'obbligo di ricorrere invece agli ufficiali sabaudi.
Rinnova i trattati siglati dal padre con il duca di Borgogna, e li rinsalda nel 1386 con il contratto di matrimonio fra suo figlio Amedeo VIII (di soli due anni) e Maria, la figlia del duca Filippo l'Ardito.
A. mantiene buoni rapporti con i Visconti nonostante la questione di Asti: il conte di Savoia poteva vantare dei diritti sulla città sulla base dell'investitura imperiale fatta da Enrico VII ad Amedeo V nel 1313, ma nel 1387 Gian Galeazzo assegna Asti in dote alla figlia Valentina, in procinto di sposare Luigi fratello del re di Francia, duca di Touraine e futuro duca d'Orleans. Con Gian Galeazzo Amedeo stringe accordi di non aggressione reciproca nel 1385 e di nuovo nel 1390; non accetta la proposta di alleanza con i fiorentini in funzione antiviscontea.
Nel 1383 e nel 1386 partecipa a due spedizioni contro gli inglesi. Nel 1386 assale i domini dei marchesi di Saluzzo. L'alleanza con Amedeo d'Acaia e i Grimaldi di Bueil (2 apr. 1388) permette ad A. di acquisire Nizza (dedizione del 28 sett. 1388). I buoni rapporti fra A. e l'imperatore Venceslao sono temporaneamente incrinati a causa dello scisma: nel gennaio del 1385 l'imperatore fa pressioni su A. perché ritiri l'obbedienza al papa avignonese Clemente VII a favore di quello romano, Urbano VI; dopo aver temporeggiato qualche mese A. invia all'imperatore il suo segretario, Mermet Rouget, rifiutando di aderire alla richiesta.
Matrimonio. Il contratto di matrimonio fra A. e la figlia del duca di Berry, Bona, fu siglato dal padre Amedeo VI nel maggio del 1372, quando il futuro conte aveva 12 anni: una delle clausole stabiliva che A. avrebbe ricevuto l'appannaggio della Bresse; dal matrimonio celebrato a Parigi il 18 gen. 1377, nascono un maschio, Amedeo (1383), che erediterà il titolo comitale, e due femmine, Bona (1388) e Giovanna (1392), quest'ultima nata dopo la morte del padre.
Bona di Borbone costruisce una nuova residenza a Ripaille, vicino a Thonon (1371-78).
A. muore d'infezione nella notte fra il primo e il 2 nov. 1391 a soli 32 anni, per una ferita causata da una caduta da cavallo. Il titolo è ereditato dal figlio Amedeo VIII.
Vedi alla voce SAVOIA, famiglia.
Vengono qui elencati solo i contributi specificamente dedicati ad A., per la bibliografia generale della famiglia vedi alla voce SAVOIA, famiglia.
G. Carbonelli, Gli ultimi giorni del Conte Rosso e i processi per la sua morte, Pinerolo, 1912 (BSSS, 66);
A. Barbero, L'insurrezione dei tuchini nel Canavese (1386-1391), in AA.VV., Come l'orco della fiaba: studi per Franco Cardini, a cura di M. Montesano, Firenze, 2010, pp. 315-331;
F. Cognasso, Il Conte Rosso, Torino, 1931;
F. Cognasso, Amedeo VII conte di Savoia, in Dizionario Biografico degli Italiani.
M. José di Savoia, Amedeo VI e Amedeo VII di Savoia, Milano, 1956.