di:
Flavia Negro
1383-1451
Conte e poi duca (dal 1416) di Savoia 1391-1434; signore di Torino dal 1418, di Vercelli dal 1427.
Domini d'Oltralpe. Mantiene Nizza, acquisita dal padre Amedeo VII nel 1388; nel 1402 incorpora definitivamente nei domini sabaudi il Genevese (ma non la città di Ginevra, su cui il conte riuscirà ad imporre la supremazia sabauda solo nel 1444, quando già papa con il nome di Felice V otterrà l'amministrazione diretta del vescovado), e negli anni successivi vari altri feudi nel Vaud. Contro i Visconti e le comunità tedesche dell'alta valle rafforza la presenza sabauda nel Vallese.
Domini italiani. Rafforza la presenza sabauda nel Piemonte occidentale: nel 1413 assedia Saluzzo e costringe il marchese a riconoscergli obbedienza; costringe i Lascaris, signori di Tenda e Briga, a riconoscersi vassalli. Non va invece a buon fine il tentativo di espansione nella Val d'Ossola: diverse comunità fanno dedizione al conte nel 1412, e nel 1416 A. ottiene dall'imperatore Sigismondo l'investitura della valle, ma l'influenza sabauda nella zona è eliminata nel 1418 per opera delle Leghe svizzere.
Nel 1418, con l'estinguersi del ramo cadetto dei Savoia-Acaia, incorpora nel ducato sabaudo i loro domini: con l'annessione del principato d'Acaia e l'allargamento dei territori piemontesi si pongono le premesse per il prevalere degli interessi italiani della dinastia. Nel 1424 A. crea il principato di Piemonte: il titolo viene attribuito al figlio Amedeo, e da quel momento rimarrà sempre prerogativa dei primogeniti dei duchi di Savoia (ai secondogeniti spettava invece il titolo di conte del Genevese).
Nel 1427 in seguito a una guerra contro Filippo Maria Visconti e al successivo trattato di pace A. ottiene la città di Vercelli: veniva completata così la conquista sabauda del Vercellese che, cominciata sotto il nonno Amedeo VI, aveva ricevuto nuovo impulso alla morte di Gian Galeazzo Visconti, principale antagonista nell'area, nel 1402. Il trattato di Thonon del 1432 con il marchese del Monferrato porta, tre anni dopo, alla cessione ai Savoia di parte del Monferrato con Chivasso.
Vedi alla voce SAVOIA, famiglia.
Accanto al titolo usato più di frequente di "conte di Savoia" (comes Sabaudie) e, dopo il 1416, "duca di Savoia" (dux Sabaudie) vengono usati i titoli di "principe", "duca di Chiablese e Aosta", "marchese in Italia" (con varianti, le titolature più estese prima del 1416 sono del tipo: "Amedeus comes Sabaudie princeps dux Chablasii et Auguste et in Italia marchio"; dopo il 1416: " Amedeus dux Sabaudie Chablasii et Auguste princeps et marchio in Italia comes Pedemontium et Gebennensis). Nel testamento del 6 dic. 1439, redatto poco prima di accettare la nomina a papa (17 dic.) e di abdicare a favore del figlio Ludovico (6 gen. 1440), Amedeo VIII è intitolato "excelsus dominus Amedeus dux Sabaudie, Chablaysii et Auguste princeps, marchio in Ytalia, comes Pedemontium et Gebennensium Valentinensisque et Dyensis ac dominus civitatum Nycie et Vercellarum".
A. succede al padre Amedeo VII il 10 nov. 1391, all'età di otto anni. Fino al 1397, pur tra contrasti, è reggente la nonna Bona di Borbone, che emana documenti in qualità di tutrice del nipote ("Bona de Borbone comitissa Sabaudie, ava, tutrix et administratrix illustrissimi domini Amedei comitis Sabaudie").
dall'alto:
17 mar. 1398: l'imperatore Venceslao conferma ad A. tutti i privilegi concessi alla casa sabauda dall'imperatore Carlo IV nel 1365, fra i quali il vicariato imperiale nelle diocesi di Sion, Losanna, Ginevra, Aosta, Ivrea, Torino, Moriana, Tarantasia, Belley, Lione, Maçon e Grenoble.
2 lug. 1412: l'imperatore Sigismondo investe A. del principato, ducati, marchesati, domini, terre e luoghi da lui posseduti, e conferma i privilegi concessi dai suoi predecessori.
9 feb. 1416: l'imperatore Sigismondo concede a A. il titolo di duca.
10 feb. 1416: l'imperatore Sigismondo investe A. di tutti i suoi domini, compreso il contado d'Asti e la valle di Domodossola.
25 ag. 1422: l'imperatore Sigismondo concede ad A. ogni diritto sulla contea di Ginevra in seguito alla morte senza eredi dell'ultimo conte di Ginevra.
dal basso:
3 nov. 1392: Ivrea conferma la propria dedizione ad A. (Bona di Borbone tutrice; la stessa Bona il 26 giu. 1391 aveva confermato alla città gli statuti e le franchige).
16 dic. 1418: la città di Torino presta omaggio ad A.
19 gen. 1420: varie comunità (fra cui Torino, Moncalieri, Fossano, Savigliano, Carignano, Mondovì, Pinerolo e Chieri) nominano procuratori per prestare omaggio ad A.
Interventi sugli apparati di governo. Nel 1419, in seguito all'ampliamento dei domini dovuto all'annessione del principato d'Acaia, il duca istituisce il Consiglio cismontano (dal 1431 stabilmente insediato a Torino, con il nome di "Consilium Thaurini residens"), che costituisce l'omologo per i territori piemontesi del "Consilium Chamberiaci residens", il tribunale d'appello istituito novant'anni prima da Aimone con sede a Chambery. Sempre alle aumentate esigenze di governo della patria cismontana si deve, nell'agosto del 1422, la decisione di sdoppiare l'ufficio di capitano generale del Piemonte: un ufficiale per il Piemonte "inferius" con sede a Ivrea, l'altro per il Piemonte "superius" con sede a Pinerolo (il confine fra le due aree era la Stura). Interventi normativi si dipanano lungo tutto il governo di A. (sugli aspetti giuridico-amministrativi nel 1403, sulla giustizia civile e criminale nel 1423), ma il più importante è senza dubbio la promulgazione, nel 1430, degli Statuta seu decreta, il primo corpus organico di norme emanato nei domini sabaudi, finalizzato all'omologazione delle molte consuetudini vigenti sotto un'unica legislazione (con l'eccezione del Vaud e della Val d'Aosta, aree da sempre caratterizzate da forte identità e dalla presenza di consuetudini proprie molto radicate, e dove pertanto l'applicazione degli "Statuta Sabaudiae" fu esplicitamente limitata ai casi in cui non vi fosse contrasto con la "coutume" locale; ma si noti che anche gli statuti delle città italiane come Torino continuarono ad avere validità prevalendo nel caso sugli "Statuta Sabaudiae").
Personale amministrativo. Nonostante l'annessione del principato d'Acaia (1418) determini uno spostamento di baricentro degli interessi della dinastia verso il Piemonte, all'epoca di A. l'entourage più stretto del conte è ancora reclutato da famiglie di provenienza prevalentamente savoiarda. Il personale amministrativo è costituito in genere da funzionari di carriera, cioè da individui che nell'arco della loro vita occupano sistematicamente uffici per conto del duca, non di rado cumulandoli (emblematica a questo proposito la figura di Henry de Colombier). Continua anche sotto A. la prassi di affidare gli uffici ai creditori del conte, e gli effetti deleteri sull'amministrazione vengono aggravati dalla tendenza di quegli anni a una drastica riduzione dei salari (a partire dal 1430 il salario del vicario di Torino passa da 200 a 25 fiorini all'anno). A. interviene più volte per evitare la vendita privata degli uffici (1403 e 1430).
Provvedimenti relativi a Torino e ad altri centri del dominio. Con l'annessione del principato d'Acaia nel 1418 A. eredita la signoria su Torino: i rapporti fra la città e il potere superiore continuarono tuttavia, almeno formalmente, ad essere regolamentati dagli statuti già in vigore sotto i principi del ramo cadetto (si tratta del codice di statuti approvato da Amedeo V nel 1360). Nel 1433 A. commissiona al Consiglio cismontano la riforma della credenza, da tempo diventata monopolio di poche famiglie e quindi non più rappresentativa delle parti sociali. Si stabilisce che d'ora in poi i credendari provengano in parti equivalenti dai "tre stati" della città: "e quolibet trium statuum eiusdem civitatis, notabiliorum, mediocrum scilicet, et popularium" (Storia di Torino, p. 548). Altri interventi del duca a Torino datano ai primi anni del suo governo: sopprime la società di S. Giovanni Battista, che aveva tra l'altro mansioni di organizzazione militare della popolazione cittadina, e conferma alla città il diritto di zecca (1418-1419). Con disposizioni del 20 lug. 1420 abolisce, al fine di uniformare l'amministrazione del vicariato torinese a quella delle castellanie d'Oltralpe, l'ufficio di clavario, le cui mansioni sarebbero state d'ora in poi svolte dal vicario coadiuvato da un luogotenente, un giudice e un capo della polizia. Nel 1421 il duca conferma la concessione al comune, già fatta in passato da Ludovico d'Acaia, della gestione dell'appalto delle gabelle (invece nel caso di Ivrea le gabelle, concesse alla città da Amedeo VII, vennero riacquistate da Bona di Borbone quale tutrice del figlio il 6 mag. 1391). Nel 1423 stabilisce che i mulini della città, sotto gli Acaia gestiti da un massarius molendinorum stipendiato dal principe, vengano accensati, e il comune si garantirà poco dopo l'esclusiva dell'appalto. Il 29 sett. 1434 decreta che sede dell'università (lo Studium fondato trent'anni prima dal predecessore Ludovico d'Acaia) sia in perpetuo Torino, contrastando la volontà dei professori e degli studenti favorevoli al trasferimento nella vicina e più ricca Chieri. Interessarono non solo Torino ma anche Ivrea, Chieri, Moncalieri, Pinerolo, Vercelli e Biella, che vi mandarono loro rappresentanti, le riunioni tenute da Amedeo negli anni 1422, 1429 e 1431 per risolvere i problemi della produzione tessile nei domini sabaudi. Stando alle novità introdotte a Ivrea e a Torino pare che i provvedimenti presi in quelle occasioni si focalizzassero sull'incentivazione dell'immigrazione di manodopera specializzata, sul sostegno finanziario dei comuni alle attività produttive e commerciali, e su misure protezionistiche atte a sfavorire l'importazione di prodotti esteri.
Sotto A. si fa consistente nei domini sabaudi l'immigrazione di ebrei, incentivata dalla protezione offerta dal duca. Le condizioni della loro permanenza esulavano dalla giurisdizione locale ma dipendevano da accordi stretti con il signore territoriale. A Savigliano (che all'epoca ospitava "l'unica struttura comunitaria ebraica dei domini italiani di casa Savoia": Storia di Torino, p. 515) e a Torino tali condizioni furono stabilite dalle franchisie iudeorum emanate nel 1423 dal figlio di A., Ludovico, in qualità di luogotenente in Piemonte.
Nel 1397, appena giunto alla maggiore età, A. ottiene dall'imperatore Venceslao la conferma delle concessioni fatte alla casa sabauda dai predecessori e (con chiaro riferimento alla monarchia francese) la dichiarazione di nullità dei provvedimenti emanati da principi stranieri durante la minorità. I rapporti con l'impero cessarono con il successore Roberto di Baviera, che il conte non riconobbe, e ripresero con l'imperatore Sigismondo: da quest'ultimo ebbe nel 1412 l'investitura della contea, il vicariato imperiale di Lombardia, la conferma della concessione del contado di Asti e, nel 1416, il titolo ducale. Per le questioni di area italiana si allea con il marchese Teodoro Paleologo (1402) in funzione antiviscontea: ne deriva un'ulteriore espansione sabauda nel biellese, mentre il marchese ottiene Vercelli (1404-1407). Tratta con Filippo Maria offrendo la propria neutralità in cambio di Vercelli e dei possessi fino alla Sesia (1427). Per rafforzare l'alleanza dà in sposa al duca di Milano la figlia Maria. Il matrimonio di un'altra figlia, Margherita, con Luigi III d'Angiò pone le basi per un intervento sabaudo nel regno di Napoli, ma la morte di Luigi nel 1434 e quella della regina Giovanna l'anno successivo stroncano le aspettative del duca di Savoia. Nel 1434 A. si ritira a vita eremitica a Ripaille; nel conflitto fra il concilio e papa Eugenio IV mantiene un profilo neutrale fino al luglio 1439, ma quando in quell'anno quest'ultimo viene deposto e si pone il problema di una nuova elezione manovra con successo perché la scelta cada sul proprio nome.
La devozione della dinastia sabauda a S. Maurizio si concretizzò nel 1434 nella fondazione ad opera di A. di un ordine dedicato allo stesso santo, sotto la regola di S. Agostino: la sede prescelta è la residenza di Ripaille, dove lo stesso duca si ritira spartendo il suo tempo fra la vita spirituale e le occupazioni di governo. Nel testamento del 9 dic. 1439 A. predispone legati a molti enti religiosi: i più importanti sono quelli per l'abbazia di Hautecombe (1500 fiorini), i canonici regolari di Ripaille (2000 fiorini), la Sainte-Chapelle di Chambery (1500 fiorini), e infine l'Ordine dei Cavalieri di S. Maurizio da lui fondato (1800 fiorini). Un legato alquanto considerevole, 500 fiorini, fu destinato a un ente esterno ai domini sabaudi, la Grande-Chartreuse.
A. promuove lavori di restauro e ampliamento dei castelli di Pont d'Ain, Belley, Bourg, Bourget, Chambéry e Annecy. Nel 1415 promuove la costruzione di un nuovo castello a Montréal.
Nell'autunno del 1424 il duca attua una riforma dell'università torinese fondata una ventina d'anni prima da Ludovico d'Acaia. In quel momento l'alma filia nostra Universitas Studii Taurinensis, come la definisce A., comincia ad essere pensata come il percorso obbligato per chiunque nell'ambito dei domini sabaudi voglia accedere agli studi superiori. Nell'ottica di aumentare la propria influenza sul funzionamento dell'ente a scapito del comune torinese, il duca stabilisce che la nomina dei professori, la definizione degli stipendi e del calendario accademico spettino ad un collegio composto da tre riformatori generali di sua nomina; infine istituisce la carica di tesoriere, incaricato della gestione finanziaria e dei pagamenti degli stipendi. Il comune avrebbe dovuto sovvenzionare l'ente con un esborso annuale pari a 400 fiorini.
Per quanto riguarda l'ambiente artistico A. commissiona lavori al pittore Giacomo Jaquerio, esponente del gotico internazionale, che su richiesta del duca opera nella chiesa di Saint-Bon a Thonon (1411) e nel priorato di Ripaille; negli anni 1426-30 lavora all'abbazia di Ranverso, nel 1429 a Torino. Lavoreranno nelle residenze sabaude come pittori di corte prima il veneziano Gregorio Bono (1413-28) poi Jean Bapteur, originario di Friburgo.
L'anonimo autore della Chronica latina Sabaudie (seconda metà del XV secolo) definisce A. "gravitate, maturitate, prudentia et discretione ornatissimus".
Enea Silvio Piccolomini, che partecipò al concilio di Basilea favorendo l'elezione di A. al soglio papale, lascia nei suoi Commentari un ritratto non certo lusinghiero del duca di Savoia. Il Piccolomini riporta la voce secondo cui la scelta di A. di ritirarsi nel priorato di Ripaille fosse finalizzata alla sua ascesa al soglio papale ("id verebatur quod vulgo iactabant: Amedeum scilicet sperare papatum, atque iccirco eremitam factum"); che la tonsura e in generale il tentativo di adeguare il suo aspetto a quello consono ad un papa lo avesse piuttosto fatto apparire come una "brutta scimmia" ("quod erat verum et proprium ornamentum, tonsoris ferrum ademerat: prolixam et copiosam barbam, quae omnes faciei maculas obtegebat, et maiestatem quandam videbatur afferre; sine qua prodiens facie parvula, obliquis oculis - erat enim strabo -, genis pendentibus quasi turpissime simiae pre se speciem tulit"); alla cerimonia dell'incoronazione partecipò un solo cardinale, e l'imperatore Federico si guardò bene dall'onorarlo pubblicamente ("Solemnitas omni ex parte celebris fuit, quamvis unus tantum cardinalis adesset, atque idcirco despicienda videretur", "Federicum imperatorem illac transeuntem clam audivit - neque enim ille quasi pontificem in publico voluit honorare"); cita infine le parole con cui il cardinale Giacomo di Sant'Angelo, riassumento il comportamento di A. durante gli anni di governo del ducato, toglie ogni timore allo spodestato Eugenio IV: nessuno sosterrà il nuovo papa, dal momento che come conte e poi duca di Savoia egli non ha mai soccorso i parenti in difficoltà, ha lasciato che Borgognoni e Francesi si scannassero in guerra, ha dato la figlia in sposa a Filippo Maria Visconti senza dote, ha strappato Vercelli a suo genero e al marchese di Monferrato parte del suo dominio ("Laborantibus consanguineis nunquam Amedeus auxilio fuit; Burgundos in bello reliquit et Francos; Philippo Mediolanensi cum filiam coniunxisset, dotem accepit, non dedit; Vercellas abstulit genero; marchioni Montis Ferrati partem ditionis ademit. Qualem se prebuit amicis, tales eos inveniet: gaudebunt venisse tempus, quo vicem reddant. Deseretur, ne dubita! Nemo illi non emptus adherebit").
Già dal 16 ott. 1434 A. si era ritirato a vita monastica, ma senza rinunciare al governo del ducato. Il 5 nov. 1439 il concilio di Basilea gli propone la nomina a papa, che il duca accetta ufficialmente il 17 dic. 1439, dopo aver redatto il un testamento in cui nominava erede il secondogenito Ludovico (6 dic. 1439, il primogenito Amedeo era morto improvvisamente il 17 ag. 1431). Abdica in suo favore il 6 gen. 1440, tuttavia anche durante il pontificato, portato avanti con il nome di Felice V fino alla rinuncia proclamata il 7 apr. 1449, continuerà di fatto a partecipare al governo del ducato sabaudo. Muore il 6 gen. 1451.
Vedi alla voce SAVOIA, famiglia.
Per la bibliografia generale sulla famiglia vedi alla voce SAVOIA, famiglia.
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