di:
Alma Poloni
Ca 1222-estate 1258.
Agosto 1252-novembre 1255, maggio 1257-estate 1258.
Roma e il suo distretto.
A metà del XIII secolo, il lignaggio degli Andalo’ è uno dei più importanti della vecchia militia bolognese, sia in termini di ricchezza che di influenza politica e di prestigio. Non appare titolare di signorie castrali ma i suoi membri figurano tra le famiglie che possiedono il più gran numero di servi quando, nel 1256, il comune decide la loro liberazione. Con trentadue cariche di podestà o di capitano del popolo, gli Andalo’ sono inoltre, dopo i Galluzzi, la famiglia bolognese che detiene il più alto numero di cariche forestiere nell’Italia comunale del XIII secolo. Brancaleone, che deve avere intorno ai trent’anni nel 1252, non ha tuttavia ricoperto che un solo incarico fuori Bologna, a Vercelli dove à stato podestà nel1248. A differenza dei Galluzzi, gli Andalo’ si schierano con la fazione ghibellina dei Lambertazzi e a questo titolo saranno duramente colpiti dai provvedimenti di esclusione varati dal comune nel 1274.
Al titolo di alme Urbis senator, che gli è stato conferito al momento del suo arrivo a Roma nell’estate 1252, Brancaleone aggiunge poi quello di capitano del popolo, attestato per la prima volta nel maggio 1254.
Al termine del primo mandato di tre anni, Brancaleone è stato sicuramente rinnovato nella carica di senatore e forse anche in quella di capitano per una durata che ignoriamo.
Cacciato dal potere nel novembre 1255, Brancaleone è rieletto senatore nel maggio 1257 e, secondo Duprè Theseider (Roma dal comune di popolo, p. 46), “forse, questa volta, senza limite di tempo”. Se tale è il caso, il che, a dire il vero, mi pare poco probabile, Brancaleone sarebbe il primo ufficiale di una città comunale a ricevere una carica a vita (il primo esempio da me conosciuto essendo quello di Martino della Torre, eletto Anziano a vita della Credenza a Milano nel 1259).
Tra la primavera e l’estate del 1252 si verifica a Roma un moto popolare che porta alla formazione di una “forma di governo provvisorio” (DUPRE’ THESEIDER, Roma dal comune di popolo, p. 9) di chiaro orientamento popolare. I nuovi dirigenti si rivolgono al comune di Bologna per ottenere un magistrato da porre a capo della città. La scelta di Bologna è sicuramente dovuta al desiderio dei romani di impiantare nella loro città un sistema politico attraverso il quale il popolo possa, come a Bologna, esercitare la sua egemonia. E' dunque il comune di Bologna a designare Brancaleone per la carica di senatore di Roma. Brancaleone sottopone il suo accordo all’accettazione, da parte dei romani, di condizioni del tutto eccezionali: un mandato di tre anni e l’invio a Bologna di un certo numero di ostaggi scelti tra le migliori famiglie della città, che saranno stati quindi dei figli di baroni. Inoltre si fa accompagnare dalla moglie, il che è del tutto contrario alle regole in vigore nel piccolo mondo degli ufficiali forestieri.
Cacciato dal potere nel novembre 1255 da un’insurrezione o congiura fomentata dai baroni, Brancaleone verrà richiamato da un nuovo moto popolare nel maggio 1257 e morirà di malattia nel corso di una spedizione militare nell’estate del 1258
Posto che non ci può essere dubbio sulla legittimità politica di Brancaleone, eletto per due volte dai normali organi del comune, è invece poco probabile che le sue due elezioni siano stati ratificate dal papa come prevedeva il trattato, talvolta chiamato “concordato”, tra papato e comune del 1188. Sarebbe ugualmente sorprendente che Brancaleone abbia prestato al papa il giuramento di fedeltà previsto dallo stesso trattato.
Come sempre trattandosi di Roma, la totale perdita dell’archivio comunale costituisce un handicap quasi insuperabile quando ci si interroga sul sistema politico in vigore nei vari momenti del periodo comunale. Abbiamo tuttavia buone ragioni di pensare che Brancaleone da una parte abbia scrupolosamente rispettato le regole di un sistema che era ancora di tipo podestarile-consiliare, dall’altra abbia esercitato con determinazione tutte le prerogative della sua doppia carica di senatore e di capitano del popolo. Se l’espressione utilizzata da P.S. Leicht, per di più in un articolo pubblicato nel 1943 nella rivista Roma (cfr. infra, p. 196), non fosse macchiata di connotazioni fasciste, si potrebbe quasi parlare di “democrazia autoritaria” per qualificare il modo di governare di Brancaleone. Gli si deve l’introduzione nel consiglio comunale, in una proporzione purtroppo impossibile da precisare, di una doppia rappresentanza popolare, eletta o definita su base professionale (arti) e territoriale (quartieri). Sappiamo che non ha esitato a convocare un parlamento per far adottare un provvedimento di particolare rilievo politico. Era coadiuvato da una familia eccezionalmente numerosa e di altissima qualità professionale, i cui membri sono stati accuratamente selezionati da Brancaleone in persona o da un suo uomo di fiducia a Bologna. Tra questi membri, provenienti per lo più da Bologna e da altre città della Romagna, spicca la figura del grande giurista Pascipovero, autore della Concordia utriusque iuris, che occupa la carica di assessore, sorta di supervisore dell’apparato giudiziario comunale.
Rispettoso delle regole della democrazia (senza virgolette!) comunale, Brancaleone dà tuttavia prova in tutti gli aspetti del suo operato, in particolare nella sua politica nei confronti dei baroni e dei comuni del distretto, di un decisionismo che solo una personalità dotata di un carisma eccezionale si poteva permettere. Alcuni indizi, come la presenza al suo fianco della moglie, chiamata senatrice dai romani, il suo stesso stile di vita, che assomiglia vagamente a quello dei grandi signori se non addirittura a quello dei grandi sovrani come Federico II, fanno pensare che Brancaleone abbia cercato a diffondere di lui stesso l’immagine di un personaggio rivestito di un autorità superiore a quello di un banale ufficiale forestiero.
Si è a lungo sostenuto che il comune romano aveva scelto Brancaleone in ragione delle simpatie ghibelline della sua famiglia. Ma a parte il fatto che la scelta era stata fatta dal comune di Bologna e non di Roma, non c’è niente, nei primi atti di Brancaleone, che tradusse un cambiamento nella politica estera del comune romano. Come era già stato il caso a Vercelli, dove era stato chiamato dalla fazione guelfa allora al potere, è fuori dubbio che Brancaleone considerasse che la sua missione primaria fosse di restaurare l’autorità del comune, sia all’interno che all’esterno della città, mentre non doveva avere idee ben precise su quello che poteva essere la posizione di Roma sullo scacchiere “internazionale”. Le cose cambieranno in seguito all’ostilità persistente del papato nei suoi confronti e alla collusione della corte pontificia con i baroni. E’ del tutto probabile che, nel corso del suo secondo mandato Brancaleone si sia risolutamente schierato con Manfredi e i ghibellini, anche se l’unico riscontro in tal senso consiste in un passo della cronaca di Matteo Paris secondo il quale il principe di Taranto avrebbe promesso tutto l’aiuto possibile al senatore.
Nel 1258 Brancaleone riceve la carica di capitano del popolo del comune di Terni, certamente ad iniziativa dei ghibellini della città e in chiave antipontificia. Esercitò la carica per mezzo di un suo vicario.
Odiato dai baroni contro il quali Brancaleone attua una politica severamente repressiva, Brancaleone gode dell’appoggio di quasi tutto il resto della popolazione cittadina, in particolare dei cosiddetti “ceti produttivi” (mercanti e imprenditori agricoli). La sua grande, per non dire immensa popolarità è testimoniata dal fatto che dopo la sua morte la sua testa verrà messa in una teca disposta nel palazzo comunale e venerata come una reliquia.
Ignoriamo la fonte da cui Matteo Paris veniva informato della situazione romana all’epoca di Brancaleone ma il fatto è che la cronaca inglese straripa di giudizi molto lusinghieri sulla personalità e l’operato di Brancaleone. Sono all’opposto dei giudizi negativi formulati dal biografo di Innocenzo IV, Niccolo’ da Calvi, che riflette evidentemente il malumore degli ambienti curiali nei confronti del senatore.
Brancaleone muore di malattia nell’estate del 1258. Viene scelto per succedergli nella carica di senatore lo zio Castellano.
Essenziale il riferimento a E. DUPRE’ THESEIDER, Roma dal comune di popolo alla signoria pontificia (1252-1377), Roma 1952, pp. 9-57. Per il resto, oltre alle opere indicate nella bibliografia della voce ANDALO’, Brancaleone, a cura di E. Cristiani, in DBI, 3, Roma 1961, pp. 44-45, si veda P. S. LEICHT, Brancaleone d’Andalo’, in «Roma. Rivista di studi e di vita romana», XXI (1943), pp. 185-199; L. MOSCATI, Pacispovero assessore a Roma di Brancaleone degli Andalo’?, in Studi in memoria di Giovanni Cassandro, Roma 1991, pp. 696-725; J.-C. MAIRE VIGUEUR, L’altra Roma. Una storia di Roma e dei romani in età comunale, Torino 2011, pp. 290-296.