di:
Piero Gualtieri
1278 – 16 gennaio 1343
1313-1322; 1328-1343
Vedi scheda famigliare.
Dominus, guberantor, protector et rector (Firenze); Generalis dominus et rector atque defensor (Prato).
L’elezione di Arrigo VII al trono imperiale, e il conseguente diffondersi di voci circa la sua volontà di scendere in Italia per rivendicare attivamente il dominio sulla penisola, provocò anche in Toscana una forte scossa a livello politico. In particolare le città – Firenze in testa – che nei decenni precedenti (di fatto a partire dall’affermazione di Carlo d’Angiò) avevano consolidato la propria collocazione all’interno dello schieramento guelfo cercarono di mettersi al riparo da eventuali rivolgimenti, ad un tempo sul piano esterno e su quello interno. In questa ottica, il ricorso a Roberto d’Angiò, sovrano di Napoli e punto di riferimento politico per il guelfismo italiano, quale signore capace di assicurare il necessario sostegno politico e militare ebbe proprio nell’elemento militare il principale fattore propulsivo. Ottenuto in un primo momento, alla fine di febbraio del 1313, a compimento di un’intensa serie di trattative, il comando della Lega guelfa di Tuscia, Roberto ricevette pochi mesi dopo la prima, fondamentale dedizione. Alla fine di maggio del 1313 i Consigli fiorentini decretarono infatti la nomina di ambasciatori per offrire al sovrano meridionale la signoria quinquennale sulla città. Sulla scia della città dell’Arno, con modalità legate alle caratteristiche e agli eventi dei singoli contesti prima ancora che all’esempio fiorentino, Lucca, Pistoia e Prato – nell’ordine – concessero quindi a propria volta la signoria a Roberto. Nello specifico, fra le motivazioni principali che spinsero Lucca a rivolgersi al sovrano di Napoli vi fu invece la crescente preoccupazione per la situazione della vicina e storica rivale Pisa, tradizionale ricetto per i ghibellini lucchesi, che dopo la morte dell’imperatore nell’agosto del 1313 si concesse in signoria a Uguccione della Faggiuola. A Pistoia, secondo le fonti cronachistiche, il ceto dirigente cittadino intraprese la strada della soggezione all’angioino in primo luogo per porre fine ai contrasti fra le principali famiglie, che stavano rischiando di compromettere definitivamente lo scenario politico interno. A Prato, infine, il ceto dirigente locale si accostò a Roberto su pressione più o meno diretta di Firenze, ma anche per ottenere, grazie alla dedizione al sovrano angioino, un alleggerimento di quella stessa pressione.
Su Prato, in ogni caso, Roberto poté riacquistare la signoria (quale tutore degli eredi legittimi) anche in un secondo momento, alla morte del figlio Carlo di Calabria (1328) che aveva ottenuto la sottomissione perpetua di quel centro.
A Firenze, dopo aver in un primo momento (1 maggio) affidato a Roberto la nomina del futuro podestà, il 20 maggio 1313 i Consigli deliberarono la nomina di speciali ambasciatori per affidare all’angioino la signoria sulla città. Il 12 giugno successivo venne la sottomissione venne definitivamente approvata dalle assemblee cittadine. Nel febbraio del 1318, pochi mesi prima della scadenza del quinquennio previsto dagli accordi, il governo fiorentino rinegoziò un ulteriore prolungamento del dominio per l’angioino, che ottenne la signoria per altri quattro anni. A Prato, il 16 novembre 1313 i Consigli gli offrirono la signoria quinquennale sulla città. Anche a Lucca e a Pistoia la concessione della signoria (operata sicuramente prima della fine di settembre del 1313, ma dopo la ratifica fiorentina) avvenne con ogni probabilità a seguito di un’apposita delibera delle assemblee; non ne è rimasta tuttavia testimonianza diretta. Per quest’ultimo centro, per di più, si può legittimamente ipotizzare che essa sia stata rinnovata secondo quanto avvenuto a Firenze.
Pur essendo estesa a comprendere un’importante porzione dei centri urbani toscani, e dunque un gruppo consistente di realtà diverse, la signoria di Roberto si caratterizzò per una sostanziale uniformità di organizzazione istituzionale. In tutti i contesti egli infatti ottenne il potere a seguito di un’esplicita richiesta di intervento da parte dei governi cittadini, e di un apposito pronunciamento delle assemblee. In tutti i contesti, quindi, la sua signoria si realizzò sulla base di patti precisi stipulati con i singoli Comuni, che prevedevano la concessione di poteri e prerogative specifiche per una durata limitata nel tempo. Tali poteri erano ampi, e comprendevano la facoltà di nominare alcuni dei principali ufficiali cittadini, ma non giunsero mai a comprendere la gestione diretta del governo, o la possibilità di modificare statuti e ordinamenti del Comune. La principale trasformazione del quadro istituzionale operata da Roberto fu dunque la soppressione delle figure di Podestà e Capitano a vantaggio della nuova magistratura (da lui stesso nominata) del Vicario. Chiamato a gestire quel complesso di attributi che costituivano ormai il patrimonio istituzionale consolidato dei due ufficiali, il Vicario si configurò nei fatti quale sintesi e somma di entrambi, ad essi affine come profilo ed estrazione sociale ma espressione diretta del sovrano angioino. Nullo, o quasi, almeno in relazione alla concreta pratica istituzionale, fu invece il potere di intervento diretto di Roberto nei meccanismi di gestione del governo cittadino. Tanto i consigli, quanto le magistrature esecutive di vertice (priori e anziani), continuarono in questo senso a operare secondo i tradizionali meccanismi di funzionamento. Di quale fosse l’intendimento generale del re di Napoli circa i concreti compiti di governo della signoria (e le modalità di attuazione degli stessi) è del resto testimonianza preziosa – anche se tarda, e indiretta – la lettera che egli avrebbe scritto nel 1343 a Gualtieri di Brienne, duca d’Atene, suo congiunto allora signore di Firenze. Tramandataci (in volgare fiorentino) dal Villani nella sua Cronica, essa indicava fra le azioni del “bene governare”: “che·tti ritenghi col popolo che prima reggea, e reggiti per lo loro consiglio, non loro per lo tuo; fortifica giustizia e i loro ordini, e […] no·lli reggere per sette né divisi, ma a comune”. Indicava cioè come linee guida per l’azione politica del signore la collegialità e il superamento delle discordie interne. Ferme restando le distinzioni legate alle singole contingenze, proprio la gestione del potere condivisa con il ceto dirigente cittadino (cui spettava in concreto la conduzione dell’attività di governo), e la volontà di pacificazione (certo sempre all’interno di un orizzonte politico guelfo e filoangioino) dei conflitti presenti all’interno di quello stesso ceto, furono gli elementi caratterizzanti la signoria di Roberto. Essa si collocò, in prospettiva, sulla falsariga della tradizione avita, con evidenti e sostanziali punti di contatto con la coordinazione signorile che nel terzo quarto del Duecento aveva fatto capo al nonno Carlo I d’Angiò.
Tale modalità di conduzione del potere signorile incontrò il favore dei gruppi dirigenti locali e soprattutto di quello fiorentino, che confermò il dominio a Roberto anche oltre i termini inizialmente previsti dagli accordi. Le famiglie eminenti della città del giglio sfruttarono il prolungato periodo di sottomissione all’angioino per sopire i contrasti più accesi al proprio interno e per proseguire, in un contesto politicamente sicuro, quell’opera di ridefinizione degli assetti istituzionali che si veniva attuando ormai da alcuni decenni.
Per quanto riguarda invece la seconda fase di dominio su Prato, che pure si svolse all’interno di una cornice istituzionale in tutto similare alla prima, occorre notare come il peso e la partecipazione di Roberto alle vicende locali fu ancor meno significativo che in precedenza, limitandosi egli nei fatti a esigere il pagamento dei tributi previsti e di fatto avallando, col proprio disinteresse, l’instaurazione sulla città della informale signoria dei Guazzalotti.
Dal punto di vista politico, l’acquisizione della signoria su Firenze, Lucca, Pistoia, Prato, rappresentò un’ulteriore e significativo consolidamento del legame fra Roberto e il mondo guelfo toscano. Tale legame si tradusse concretamente nell’affermazione di una sorta di coordinazione politica (non identificabile tout court con la Lega guelfa toscana), attiva nei fatti ma priva di formalizzazione istituzionale, avente al centro il sovrano angioino. Roberto infatti assommò nella propria persona i diversi incarichi signorili, ma senza mai mettere in dubbio lo status o l’autonomia complessiva dei singoli Comuni. Proprio tale mancanza di una struttura consolidata di dominio, permise al sovrano angioino di agire in maniera più duttile, senza per di più perdere mai di vista gli interessi prioritari del Regno. Sull’azione di Roberto pesarono in ogni caso anche gli equilibri interni alla realtà toscana, caratterizzata dal ruolo – destinato ad accentuarsi ulteriormente – di Firenze quale centro di riferimento politico ed economico. Obiettivo primario della coordinazione fu l’opposizione ad Arrigo VII e al suo tentativo di ripristino della dignità imperiale in Italia. Morto l’imperatore, Roberto cercò di ricomporre i contrasti fra i vari Comuni toscani, a lui direttamente sottoposti, vicini o francamente avversi. Così, nel febbraio del 1314 promosse un accordo con Pisa assieme ai Comuni sottomessi di Firenze e Lucca, ma anche di Siena e Massa Marittima. Mentre nel settembre dello stesso anno appoggiò la ratifica della pace fra Firenze ed Arezzo. Tali tentativi furono comunque frustrati dall’irrompere sulla scena di nuovi antagonisti di matrice ghibellina (Uguccione e Castruccio Castracani), che, se vanificarono gli sforzi di Roberto per proporsi quale arbitro dello scacchiere politico toscano, ne rafforzarono ulteriormente la posizione di referente del mondo guelfo.
La decisione di concedere la signoria a Roberto venne presa, al netto delle distinzioni legate a ciascun contesto cittadino, dalla larga maggioranza dei vari gruppi dirigenti. La presenza di contrasti anche accesi all’interno dello schieramento guelfo dominante, ancora lacerato dal perdurante conflitto fra Bianchi e Neri, in questo senso non solo non ostacolò il cammino dell’angioino, ma anzi contribuì a rafforzarne la posizione nella misura in cui Roberto seppe proporsi quale concreto fautore di superamento delle divisioni esistenti. Durante la sua signoria furono dunque numerosi gli episodi di pacificazione fra famiglie e fazioni in lotta (a Firenze, in particolare, durante il biennio 1316-1317), che a prescindere dalle vicende successive (e dal caso di Lucca) valsero concretamente a rafforzarne il consenso.
La figura e l’opera di Roberto lasciarono una vasta eco nella cronachistica del tempo. Il giudizio complessivo fu senz’altro positivo. Oltre alla perfezione dei modi, alla saggezza e all’erudizione, se ne lodò (soprattutto da parte fiorentina) la benevolenza che egli dimostrò ai guelfi toscani (e a quelli fiorentini in particolare). Unico neo, il rapporto col denaro, declinato sempre più, con l’avanzare della vecchiaia, nel segno dell’avidità e dell’avarizia. Il ritratto più articolato è comunque ancora una volta quello compiuto da Giovanni Villani: “questo re Ruberto fu il più savio re che fosse tra' Cristiani già·ffa cinquecento anni, sì di senno naturale sì di scienzia, come grandissimo maestro in teologia e sommo filosofo. Dolce signore e amorevole fu, e amicissimo del nostro Comune, di tutte le virtù dotato, se non che poi che cominciò a 'nvecchiare l'avarizia il guastava in più guise; iscusavasene per la guerra ch'avea per raquistare la Cicilia, ma non bastava a tanto signore e così savio com'era in altre cose”.
A Lucca la signoria di Roberto venne bruscamente interrotta dalla conquista della città operata il 14 giugno 1314 da Uguccione della Faggiuola (col fattivo supporto di Castruccio Castracani). Tanto a Firenze, come a Prato, il dominio del sovrano di Napoli si esaurì invece ‘naturalmente’ allo scadere dei tempi previsti nei patti di sottomissione. Anche a Pistoia, nonostante le fonti cronachistiche appaiono un poco confuse a riguardo, la fine del dominio angioino pare essersi verificata al termine del periodo concordato.
La documentazione relativa alla signoria di Roberto (nulla o quasi per quanto riguarda Lucca e Pistoia) è rintracciabile principalmente negli archivi dei diversi Comuni che gli conferirono il dominio, conservati oggi presso i rispettivi Archivi di Stato.
Fonti: D. Compagni, Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi, a cura di I. Del Lungo, in Rerum Italicarum Scriptores, IX, parte II; Storie Pistoresi. MCCC-MCCCXLVIII, a cura di S.A. Barbi, Lapi, Città di Castello, 1907-1927; I consigli della repubblica fiorentina (1301-1315), a cura di B. Barbadoro, 2 voll., Zanichelli, Bologna 1921-1930 [rist. anast., Forni, Bologna 1970-1971]; A. Martini, La dedizione di Prato a Roberto d’Angiò, «Archivio Storico Pratese», XXVII, 1951, pp. 3-44, pp. 33-44; G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, Guanda, Parma, 1990-1991.
Studi: R. Davidsohn, Storia di Firenze [1896-1908], 8 voll., Sansoni, Firenze 1956-1965, ad indicem; A. Martini, La dedizione di Prato a Roberto d’Angiò, «Archivio Storico Pratese», XXVII, 1951, pp. 3-44; E. Cristiani, Il trattato del 27 febbr. 1314 tra Roberto d'Angiò e la lega guelfa toscana alla luce di nuovi documenti, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano», LXVIII (1956), pp. 259-280; R. Manselli, La Repubblica di Lucca, Torino, UTET, 1986, ad indicem; S. Raveggi, Protagonisti e antagonisti nel libero Comune, in Prato. Storia di una città, I, Dal Mille al 1494, Firenze, Le Monnier, 1991, I/2, pp. 613-736, pp. 621-622; G. Cherubini, Apogeo e declino del Comune libero, in Storia di Pistoia, II, L’età del libero Comune, a cura di Id., Le Monnier, Firenze, 1998, pp. 41-87, pp. 68-69; A. De Vincentiis, Le signorie angioine a Firenze. Storiografia e prospettive, in «RM Rivista», http://www.storia.unifi.it/_RM/rivista/default.htm, 2001 (2); P. Gualtieri, Il Comune di Firenze tra Due e Trecento. Partecipazione politica e assetto istituzionale, Olschki, Firenze, 2009, ad indicem.