di:
Valentina Dell'Aprovitola
figlio di Giberto e della sua seconda moglie, appartenente alla famiglia dei da Camino, nacque intorno al 1303 – morì probabilmente negli anni tra il 1362 e il 1364.
informalmente dal 1335, formalmente dal 1341 al 1344
Parma, con alcune incursioni nei territori compresi tra la Tagliata e il Po.
vd. scheda famiglia Correggio
nel 1337 fu investito da Mastino della Scala di Colorno, Berceto e Guardasone. Nel 1341 proclamato signore di Parma. Nel 1350 venne nuovamente infeudato dal comune di Parma di Guardasone, con le sue pertinenze e con l’esercizio del mero e misto imperio, e l’anno seguente ne ottenne l’investitura imperiale.
nonostante fosse stato avviato alla carriera ecclesiastica fin dall’adolescenza – nel 1318 divenne preposto di Borgo S. Donnino, assicurandosi sia una ricca prebenda che una posizione di rilevo nel mondo ecclesiastico parmense – rimase sempre strettamente legato alle vicende politiche della sua famiglia. In modo particolare A., dopo la morte del padre Giberto, nel 1321, dovette impegnarsi insieme ai suoi tre fratelli, designati dal padre come eredi di tutti i beni, nella dura impresa di rientrare a Parma. I Correggio poterono farvi rientro nel 1325, quando i Rossi, facendo atto di sottomissione alla Chiesa, dovettero richiamarli in città. L’iniziativa fu fortemente voluta da Bertrando del Poggetto, nelle cui fila militava Simone, fratello di A. Una volta rientrati in città, i Correggio garantirono il loro appoggio a Bertrando nelle sue operazioni in Lombardia, in particolare nella lotta contro gli Estensi e i Bonacolsi, divenendo padroni del territorio tra il Po e la Tagliata, territorio sul quale il legato concesse loro pieni poteri, ai quali però i Correggio preferirono rinunciare dopo aver subito una violenta incursione da parte di Passerino Bonacolsi. Fu dunque grazie all’appoggio al legato papale che A. e la sua famiglia poterono tornare prepotentemente sulla scena politica parmense.
il suo dominio sulla città di Parma inizialmente non ottenne una legittimazione formale; nonostante la città fosse formalmente sotto il dominio di Alberto e Mastino della Scala, A. e i suoi fratelli ressero la città ufficiosamente come veri signori fino al 1341: “domini de Corigia fuerunt domini civitatis Parmae absque alia solemnitate vel reformatione” (Chronicon, p. 248). Nel 1341, dopo accordi presi con Luchino Visconti, A., dopo una violenta battaglia cittadina, entrò in Parma come signore, acclamato dalla popolazione.
inizialmente la velata signoria di A. assunse le forme di una sorta di condominio con i veri titolari della città, Mastino e Alberto della Scala. Durante questo periodo A. non si interessò attivamente alla politica cittadina, ma si preoccupò soprattutto di estendere i suoi domini nel contado, per garantirsi una base patrimoniale più stabile. Quando, nel 1341, A. ottenne formalmente la signoria della città, inizialmente venne visto come un pacificatore, colui che avrebbe ristabilito l’ordine e la giustizia dopo i turbolenti anni di governo degli Scaligeri. Con il passare del tempo la signoria di A. si avvicinò sempre di più alla precedente politica scaligera, caratterizzata da forti tassazioni – in un periodo già fortemente segnato da difficoltà economiche dovute a carestie – e di uno stato di continua emergenza bellica e di controllo armato.
interessato soprattutto al governo della città, A. non seguì mai una linea unitaria di alleanze, ma si appoggiò di volta in volta ai personaggi più influenti e che meglio potevano garantirgli l’ascesa al potere, abbandonandoli o tradendoli quando scorgeva un’alternativa migliore. Per questo l’iniziale militanza tra le fila del legato papale Bertrando del Poggetto e della pars ecclesiae fu accantonata per lasciare spazio ad una alleanza con i Visconti, gli Scaligeri e i Gonzaga non appena A. ebbe chiaro che l’unico modo per conquistare il potere in città era schierarsi contro i nemici di Giovanni di Boemia, al quale si erano legati i Rossi,la famiglia rivale dei Correggio. Fu l’alleanza con i della Scala a permettere ai Correggio di governare la città di Parma quando questa fu ceduta dai Rossi agli Scaligeri. Trovarsi all’ombra degli Scaligeri era un vincolo troppo stringente per A, che tentò quindi, con un ulteriore cambio di allenze, di strappare la città a Mastino e Alberto per poterla governare direttamente. Per questo, nel 1341 A. si recò a Napoli per ottenere da re Roberto e dagli ambasciatori di Luchino Visconti la garanzia di appoggio e di aiuti. Nel viaggio di ritorno da Napoli riuscì a garantirsi anche l’appoggio dei fiorentini, che avevano così la possibilità di prendere Lucca, ancora in mano ai signori di Verona, e dei Gonzaga, parenti di A. – egli sposò nel 1340 una figlia di Luigi Gonzaga, in quel periodo signore di Mantova – signori di Mantova e Reggio, pronti ad assecondarlo in questa sua impresa. Dopo aver fatto recapitare ai suoi fratelli le disposizioni per la resistenza in città, A. si recò a Milano da Luchino Visconti per mettere a punto gli accordi: Luchino avrebbe aiutato A. nella sua impresa contro Verona ma, dopo quattro anni di dominio su Parma i Correggio avrebbero dovuto cedere proprio a Luchino la signoria sulla città.
Al termine dei quattro anni A. non rispettò i patti e, dopo essersi avvicinato alla famiglia estense, vendette la città ad Obizzo d’Este per 60.000 fiorini circa. La decisione di A. non piacque al fratello Guido, che avrebbe preferito mantenere l’accordo con i Visconti ma che fu ben presto scacciato dalla città. Proprio le inimicizie tra i fratelli, resesi più aspre dopo la morte di Simone, furono la causa, secondo Petrarca, amico intimo della famiglia, della rovina dei Correggio. La città di Parma si trovò quindi al centro di una dura lotta guidata da un lato da Guido da Correggio, insieme ai Visconti e ai Gonzaga, dall’altra da A., insieme a Obizzo d’Este, Mastino della Scala, con il quale aveva precedentemente riallacciato i rapporti, e Taddeo Pepoli. La guerra si protrasse fino al 1346 quando Obizzo, non più sostenuto dai bolognesi e dagli Scaligeri, trattò la vendita della signoria di Parma a Luchino Visconti. A. rimase dunque privo della signoria della città e, scacciato, si rifugiò a Verona dagli Scaligeri.
: 1337: vicario di Mastino della Scala nella città di Lucca. 1354: luogotenente di Cangrande della Scala a Verona.
iniziato fin da adolescente alla carriera ecclesiastica, questo non gli impedì di partecipare attivamente alla vita politica. Divenne preposto di Borgo S. Donnino nel 1318, assicurandosi così una ricca prebenda e pochi problemi gestionali, in quanto la prepositura era retta da un suo vicario, Guido Castaldi.
Si recò tre volte ad Avignone: la prima per difendersi dall’accusa di essersi ribellato al suo vescovo Ugolino Rossi – bandito dalla città nel 1336 e al quale furono confiscati tutti i beni da Mastino della Scala e da A. – occasione nella quale probabilmente conobbe Petrarca; la seconda nel 1339 quando dovette invocare la clemenza papale su Mastino della Scala, che l’anno precedente aveva ucciso il vescovo di Verona Bartolomeo della Scala, accusato di tradimento e di intesa con i nemici della famiglia. In occasione di quell’udienza A. dimostrò la sua abilità diplomatica ed ottenne sia il perdono papale per Mastino sia il vicariato di quest’ultimo su Parma, in cambio di un versamento di 5.000 fiorini d’oro e il mantenimento di 310 soldati in armi a difesa degli interessi della Chiesa in Romagna e nel territorio anconetano. A. curò anche i propri interessi, e si fece concedere in feudo il monte di Castrignano, precedentemente feudo del vescovo di Parma, su quale fece erigere un castello. Grazie al matrimonio con Tommasina Gonzaga e alla concessione papale, A. consolidava la sua posizione patrimoniale, sulla quale avrebbe voluto basare la futura ascesa al potere. L’ultimo viaggio ad Avignone avvenne non appena Mastino della Scala non rispettò i termini della pace firmata con il papa, che A. aveva giurato a suo nome. A. intravide quindi la possibilità di impossessarsi della città e si recò in tutta fretta ad Avignone a condannare il comportamento del suo signore, ottenendo l’approvazione e l’aiuto della Chiesa.
pur non potendosi parlare propriamente di una politica urbanistica, tuttavia durante gli anni di governo di A. assistiamo ad alcuni guasti programmatici e alla riappropriazione di aree cittadine. Nel 1331 la pacificazione imposta da Giovanni di Boemia permise il rientro dei Correggio in città, ma l’atmosfera conciliante durò ben poco. All’uscita dell’imperatore dalla città le rivalità familiari tornarono alla ribalta e i Correggio, dopo aver ricostruito le case che erano state loro distrutte, ne acquistarono di contigue, costruendo qualcosa di simile ad una fortezza tra la piazza della cattedrale e quella del Comune. Ancora, nel 1336 A. fece abbattere il palazzo del vescovo, ed il materiale di risulta fu trasportato a Colorno, dove venne utilizzato per la costruzione di una rocca.
intimamente legato da un rapporto di amicizia con Francesco Petrarca, ospitò più volte il poeta in città. Ad A. Petrarca dedicò la sua opera De remediis utriusque fortunae, e sempre ad A. fece frequenti riferimenti all’interno dei suoi componimenti (ad A. è ispirato il personaggio di Gillias dell’ottava egloga del Bucolicon Carmen).
negli anni di governo dei Rossi, non mancarono episodi di dissenso che videro direttamente coinvolto A.; il più evidente fu la congiura ordita dal Correggio, coadiuvato da alcuni cittadini contro i Rossi, pianificata dei minimi dettagli, che però fu smascherata da Marsilio, che suppliziò i cittadini coinvolti e che venne subito dopo nominato vicario imperiale da Ludovico il Bavaro. Ancora, nel 1336, quando ormai A. reggeva la città a nome dei nipoti Alberto e Mastino, il Correggio accusò i Rossi di tentato omicidio nei confronti di Mastino. Per questo, l’8 maggio i Rossi furono allontanati dalla città e furono loro confiscati tutti i beni.
Petrarca, al quale A. era legato da profonda amicizia, lo presentò come l’emblema dell’uomo colpito dalla buona e dalla cattiva sorte, immagine certamente dettata dai sentimenti fraterni che legavano i due personaggi. Nella Cronica di Giovanni da Cornazzano A. viene presentato, al suo ingresso in città dopo aver cacciato gli Scaligeri, come il liberatore dalla tirannide dei signori di Verona. I Correggio infatti: “cominciarono di reggere non come Signori, ma come Padri, la città senza parzialità o gravezza alcuna”. Questo atteggiamento non durò a lungo, se, come il cronista ricorda: “se avessero continuato tal Signoria e governo, senza dubbio sarebbero stati perseveranti, e per modo di dire eterni nel dominio; ma passato l'anno, mutarono Signoria, e loro costumi".
come riportato da Petrarca nella sua epistola Ad posteritatem, la fine della signoria correggesca va cercata nell’incapacità dei figli di Giberto di coalizzarsi intorno ad un progetto comune, preferendo perseguire ciascuno un diverso disegno politico. Alla morte di Simone, A. preferì rompere i patti con il Visconti e tentare la strada dell’alleanza con gli Estensi e gli Scaligeri, mentre il fratello Guido rimase fedele al Visconti e si alleò con i Gonzaga. Proprio questo frazionamento familiare si sarebbe dimostrato fatale per la signoria dei Correggio.
vd. scheda fam. Correggio
vd. scheda fam. Correggio