Boccanegra, Simone


di:
Estremi anagrafici:

inizio XIV sec. (forse 1301) - 14 marzo 1363



Durata cronologica della dominazione:

Genova: 24 settembre 1339 - 23 dicembre 1344; 14 novembre 1356 - 14 marzo 1363



Espansione territoriale della dominazione:
Origine e profilo della famiglia:
Titoli formali:

Dux ianuensium et populi defensor. Ottenne da Carlo IV i titoli di Vicario e Ammiraglio dell’Impero.


Modalità di accesso al potere:

La prima volta fu acclamato dalla folla subito dopo che egli stesso aveva rifiutato la carica di Abate del popolo, alla quale era stato designato dai popolari, con la motivazione che non proveniva da famiglia plebea.

La seconda volta fu imposto dai suoi stessi uomini in armi, dopo che aveva preso parte alla rivolta per cacciare i milanesi da tre anni signori di Genova.


Legittimazioni:

La prima volta la carica di doge fu ratificata dal parlamento il giorno successivo all’acclamazione (24 settembre 1339).


Caratteristiche del sistema di governo:

Benché di ispirazione veneziana, il nuovo sistema istituzionale poggiava su una cultura politica e su equilibri sociali del tutto differenti rispetto alla situazione lagunare, tanto da rendere privo di significato qualsiasi confronto tra le due realtà.

Il governo creato dal B. era espressione del ceto mercantile filoimperiale (i guelfi furono esclusi dalle cariche pubbliche, i nobili dall’accesso al dogato). Fin da subito vi presero parte, ai più alti livelli, i mercatores e gli artifices, ossia gli esponenti di quel gruppo di popolari eminenti che aveva sostenuto il nuovo rettore assieme ai nobili ghibellini. Gli artefici, tuttavia, non avevano sufficiente esperienza politica per stare al passo coi mercatores e per questo motivo la loro presenza ai vertici del potere fu poco incisiva.

L’istituzione del dogato genovese rappresentò un momento di svolta istituzionale e di ristrutturazione dell’apparato di governo, con la creazione di nuove magistrature che non soppiantarono del tutto le precedenti ma in alcuni casi le sostituirono parzialmente o le assorbirono. Il supremo rettore assunse i poteri che fino a quel momento erano stati dei Capitani, mentre le funzioni dell’Abate del popolo vennero inglobate fra le sue prerogative in quanto populi defensor. Egli era affiancato da un Consiglio degli Anziani composto da quindici membri (poi scesi a dodici) scelti fra i popolari, mentre il podestà forestiero continuava ad amministrare la giustizia civile e penale.

Furono creati Vicari per la città, le Riviere e l’Oltregiogo, scelti inizialmente fra esperti di legge forestieri, che tuttavia durante il secondo dogato sembrano essere diventati quasi figure di rappresentanza nominate fra coloro che stavano più vicini al doge. Furono istituiti anche i Vicedogi, preposti alla risoluzione di varie questioni fra le quali quelle relative alle Arti e alla sicurezza del doge e della Repubblica e, forse fin dall’inizio, dotati di attribuzioni in ambito fiscale.

Il doge si avvaleva dell’aiuto di diversi Cancellieri, uomini di fiducia che talvolta rappresentavano il Comune nelle missioni diplomatiche. Furono inoltre inseriti nella pubblica amministrazione notai e professionisti del diritto, di provenienza locale, che prestavano i loro servizi in pianta stabile al fianco di altri funzionari forestieri, dando vita ad una sorta di apparato burocratico che doveva soddisfare l’esigenza di una forma di organizzazione statale.

Al momento del giuramento del nuovo rettore venne istituita una commissione di venti sapienti popolari che avrebbe dovuto rimanere in carica fino al successivo febbraio per legiferare in merito alla nuova situazione istituzionale. Fra i compiti della commissione rientrava anche quello di decidere in merito alla familia dogale e al suo stipendio annuo. Nel corso del primo dogato B. fece inoltre comporre il primo corpus legislativo - che non è giunto fino a noi e che conosciamo da riferimenti contenuti nelle fonti più tarde - che riuniva nel Novum parvum volumen la materia civile e quella criminale, e nel Liber novus la normativa in ambito amministrativo.


Sistemi di alleanza:

Il B. si adoperò per consolidare la posizione genovese nel Mediterraneo occidentale e, soprattutto durante la seconda esperienza di governo, accentuò gli sforzi per entrare nel gioco della politica internazionale cercando il sostegno di importanti famiglie e signori di fede ghibellina che gli permise di avvicinarsi infine all’Imperatore.

A questo proposito rivolse la sua attenzione fin dall’inizio alla vicina Toscana, terra di origine della madre (Ginevra di Egidio signore di Rezenasco) dove lui stesso nel 1360 prenderà in moglie Costanza di Andronico dei conti d’Elci, nobile stirpe vicina alle forze filoimperiali. Particolarmente importanti furono i rapporti che il B. ebbe con Pisa, che oramai non rappresentava più una seria minaccia per l’espansione marittima e i commerci genovesi, anche perché all’epoca impegnava buona parte delle sue forze per difendere i propri confini sulla terraferma. Le due potenze marinare condividevano, inoltre, l’esigenza di proteggere le coste liguri e toscane dall’attività dei pirati, così come la preoccupazione per la minaccia aragonese nel Mediterraneo.

Il nuovo corso delle relazioni fra le due città (instaurato alla fine del Duecento con una tregua più volte prorogata negli anni seguenti che anche il B. volle rinnovare) portò notevoli vantaggi ai genovesi sul piano economico-politico e al doge sul piano personale. Nella ghibellina Pisa, dove il fratello Nicolò ricoprì nel 1342 la carica di Capitano del Popolo e quella di Podestà nel 1357, Simone strinse amicizie con alcuni esponenti di famiglie del ceto mercantile in ascesa, come i dell’Agnello. I suoi legami con l’élite locale appaiono subito saldi: egli chiese aiuto armato ai rettori cittadini dopo la minaccia rappresentata dalle prime congiure (1340); fu scelto come arbitro nella lite fra i pisani e i Visconti a metà degli anni Quaranta; infine, trovò ospitalità nella città toscana dopo la rinuncia al dogato e fu probabilmente in quell’ambiente, vicino all’Imperatore, che maturò il progetto di riconquistare il potere. La reciproca solidarietà fra genovesi e pisani non venne meno durante il secondo governo del B., che riuscì a mantenersi neutrale nella guerra che opponeva i suoi alleati ai fiorentini anche quando questi ultimi gli chiesero navi e balestrieri con allettanti proposte.

Fu verosimilmente a Pisa, che nella primavera del 1355 si era data in signoria all’Imperatore, che il B. entrò in contatto con Giovanni II Paleologo marchese del Monferrato, fautore di Carlo IV e suo Vicario dal giugno dello stesso anno. Negli anni seguenti Simone si allineò sempre con la politica del Paleologo e con le iniziative imperiali. Grazie ai buoni uffici del marchese, che si rivelò un importante alleato anche nel controllo dell’Oltregiogo minacciato dai nobili genovesi fuoriusciti e dai Visconti, Carlo IV riconobbe a Genova i privilegi che le derivavano dai suoi predecessori (1358) e concesse al suo doge i titoli di Vicario, di Ammiraglio dell’Impero e di miles che rappresentavano l’agognato riconoscimento della posizione raggiunta.

Meno lineare fu l’andamento delle relazioni con i signori milanesi. Durante il primo dogato le due potenze cercarono di non urtarsi a vicenda: l’interesse di Luchino e Giovanni Visconti verso il Mediterraneo occidentale, dove avanzavano diritti sul giudicato di Gallura, consigliava di non mettere in allarme genovesi e pisani, mentre al B. conveniva adottare un atteggiamento prudente perché i milanesi non raccogliessero le richieste di aiuto di quei nobili genovesi fuoriusciti che dai loro feudi sull’Appennino controllavano gli accessi alla Lombardia. Peraltro, sia il territorio genovese che quello milanese costituivano zone di transito per le merci dirette oltre le Alpi, e i rispettivi governi avevano tutto l’interesse a non ostacolare i traffici rendendo insicure le vie di comunicazione.

L’equilibrio nei rapporti coi Visconti venne meno quando il B. tornò al potere. Non si conosce esattamente l’attività che egli svolse durante la lontananza da Genova, soprattutto riguardo al ruolo che il cronista milanese Azario gli attribuisce nel passaggio della città sotto il controllo visconteo nel 1353. In quegli anni Simone può essere stato vicino ai signori di Milano, che nel 1356 lo avrebbero mandato a Genova per consolidarvi il loro potere, ma non è chiaro lo svolgimento degli avvenimenti che in quella circostanza lo portarono al dogato per la seconda volta. Di certo appoggiò le pretese al trono di Luchinetto Visconti - che nell’ottobre del 1356 la madre Isabella Fieschi portò in salvo a Genova  per sottrarlo alla persecuzione dei cugini - dandogli in moglie la propria figlia Maddalenetta.


Cariche politiche ricoperte in altre citt?:

Legami e controllo degli enti ecclesiastici, devozioni, culti religiosi:

Nel 1342 fece portare a Genova la reliquia del capo di San Barnaba, che fu collocata nella chiesa di San Lorenzo.


Politica urbanistica e monumentale:

Fece fare lavori di ristrutturazione e abbellimento del palazzo ducale sotto la direzione di un suo parente.


Politica culturale:

Imitò i comportamenti caratteristici degli esponenti delle grandi casate nobiliari e, soprattutto durante il secondo dogato, adottò uno stile di vita tipicamente signorile. Disponeva di una familia di trentotto persone e di uno stipendio annuo iniziale (nel 1340) di 5.350 lire, che aumentarono progressivamente nel corso degli anni fino a diventare 12.000 nel 1358. Si circondò di una corte in cui trovarono ampio spazio i familiari, come i fratelli Anfreone, Bartolomeo e Giovanni insediati a palazzo ducale con le rispettive famiglie. Per la gestione corrente del palazzo fece spendere al Comune somme ingenti, in particolare per servitori e riscaldamento. Si circondò di mobili e oggetti di valore e ricorse regolarmente ai servigi di artigiani del lusso come sarti e pittori. Possedeva inoltre cavalli, falconi e un leopardo.

Fra le sue proprietà figuravano alcune residenze estive fuori dalle mura, fra le quali mostrò di preferire quelle situate nella zona del Bisagno, nella campagna orientale vicino alle terre degli Spinola e dei Grimaldi.

Ricercò titoli nobiliari e feudi, anche per i familiari: ottenne il titolo di miles per sé (v. sistemi di alleanza) e nel 1363 per il figlioletto; nel 1362 il fratello Anfreone e il cugino Andronico aquisirono dai Fieschi parte del feudo di Savignone.

Affidò a un maestro di scuola pisana il compito di erigergli il monumento funebre in marmo nella chiesa di San Francesco.


Consenso e dissensi:

La tendenza ad accentrare il potere nelle proprie mani, i favori accordati ai familiari, le spese per il mantenimento dello stile di vita signorile provocarono il malcontento anche fra i popolari che lo avevano sostenuto, tanto che le prime congiure furono ordite già nel 1340. Rimasero delusi dalla sua politica anche gli strati più bassi della popolazione, i piccoli artigiani e i salariati, che avevano sperato in un miglioramento delle loro condizioni economiche e sociali.

Durante il secondo dogato si alienò per gli stessi motivi il sostegno dei popolari, che tra ottobre e novembre del 1362 tramarono due volte per privarlo del potere.


Giudizi dei contemporanei:

Giovanni Villani, nel segnalare la novità istituzionale genovese, esprime nella sua cronaca un giudizio globalmente positivo sul B., e ne mette in evidenza il rigore nell’applicazione della giustizia e l’impegno nella difesa costiera (impegno preso congiuntamente con Pisa e che interessava da vicino anche i traffici commerciali dei fiorentini): «Questo dogio fu franco e valentre. E poi l’anno apresso [1340], per cospirazione di certi grandi fatta contro a·llui, fece prendere e tagliare il capo a due delli Spinoli e a più altri loro seguaci. E·ffu aspro in giustizia, e spense i corsali di Genova e della riviera, tuttora ritenendo la sua signoria a parte ghibellina, e tenendo in mare più galee armate per lo Comune a guardia della riviera».

Nel racconto del cronista genovese Giorgio Stella, benché condizionato dalla damnatio memoriae che dopo la scomparsa di Simone colpì tutta la famiglia, traspare la differente percezione dei contemporanei rispetto alle due esperienze di governo del primo doge. Magnanimo e attivo nel promuovere e affermare la potenza genovese durante il primo dogato, avrebbe poi suscitato un odio così diffuso fra i concittadini che non ne furono celebrate le esequie perché nessuno volle seguire il feretro. Tale affermazione è però smentita dalla registrazione nei libri contabili del Comune di oltre 55 lire spese per il funerale.

Il Giustiniani lo descrive (almeno riguardo al primo dogato) come uomo attento all’aspetto religioso, magnanimo e desideroso che la Repubblica e il doge stesso fossero adeguatamente onorati, e riporta che secondo alcuni la severità da lui manifestata nei confronti di chi veniva sospettato di tramare contro di lui era da attribuire piuttosto ai suoi consiglieri.


Fine della dominazione:

La prima volta si dimise spontanemente dopo avere constatato il fallimento della sua politica. L’ostilità diffusa fra vecchi e nuovi oppositori lo aveva spinto a cercare un’intesa coi nobili fuoriusciti per allargare le basi del suo consenso. Si giunse ad un accordo che però, di fatto, si rivelò irrealizzabile perché limitava eccessivamente il campo d’azione del doge. Di fronte all’impossibilità di ritrovare un equilibrio fra le forze politiche, e consapevole delle difficoltà insormontabili che impedivano oramai la prosecuzione del suo governo, il B. rinunciò alla carica e si ritirò a Pisa.

Morì inaspettatamente il giorno dopo aver preso parte ad un banchetto in onore del re di Cipro, destando fra i contemporanei il sospetto di avvelenamento.


Principali risorse documentarie:

Si veda l’elenco delle fonti manoscritte in calce al volume di G. Petti Balbi, Simon Boccanegra e la Genova del ’300, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1995, pp. 449-450


Bibliografia delle edizioni di fonti e degli studi:

Agosto, A., Nobili e popolari: l’origine del dogato, in La storia dei genovesi, Atti del I convegno (Genova 1980), Genova, Associazione nobiliare ligure, 1981, pp. 91-120; Azzara, C., Verso la genesi dello stato patrizio. Istituzioni politiche a Venezia e a Genova nel Trecento, in Ortalli, G., Puncuh, D. (a cura di), Genova, Venezia, il Levante nei secoli XII-XIV, Atti del convegno (Genova-Venezia 2000), «Atti della Società ligure di storia patria», XLI n. s. (2001), pp. 175-188: 182-186; Balbi, G., Boccanegra, Simone, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 11, 1969, pp. 37-40; Georgii et Iohannis Stellae Annales genuenses, a cura di G. Petti Balbi, Bologna, Zanichelli, 1975, pp. 129-158; Giustiniani, A., Castigatissimi Annali con la loro copiosa tavola della Eccelsa e Illustrissima Republica di Genoa, Bologna, Forni, 1981 (rist. dell’ed. Genova, 1537), car. CXXX/M-N; Petti Balbi, G., Simon Boccanegra e la Genova del ’300, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1995; Petti Balbi, G., Tra dogato e principato: il Tre e il Quattrocento, in Puncuh, D. (a cura di), Storia di Genova. Mediterraneo, Europa, Atlantico, Genova, Società ligure di storia patria, 2003, pp. 233-324: 247-250, 254-256; Villani, G., Nuova cronica, a cura di G. Porta, Parma, Guanda, 1991, 3 voll., III, p. 590.


Apporti nuovi di conoscenza:

Note eventuali:

Fu soprattutto durante il secondo dogato che B. rivelò la tendenza ad instaurare un governo dalla connotazione più marcatamente signorile, ma non si può escludere che ciò fosse nelle sue intenzioni fin dall’inizio. Ciò sembrano suggerire il rifiuto del titolo di Abate, rappresentante del Popolo, per una carica che lo poneva al di sopra delle parti, così come la pratica di collocare familiari e persone a lui vicine negli uffici più importanti. Tali attitudini furono ancora più marcate durante la seconda esperienza di governo, caratterizzata inoltre dal ricorso alle armi per la conquista del potere, dalla creazione di alleanze internazionali a sostegno della propria azione politica e dalla ricerca di riconoscimenti ufficiali a coronamento della posizione raggiunta.