di:
Alma Poloni
?-1314.
1289-1314.
Pisa.
Banduccio e i fratelli Tuccio e Francesco erano figli di un bancherius di nome Bonconte – Bonconti, quindi, era un patronimico – immigrato a Pisa da Poggibonsi negli anni ’30 del Duecento. Bonconte gestiva, insieme ad altri soci, un banco nel quale esercitava attività di cambio, deposito e credito al servizio soprattutto dei mercanti forestieri che frequentavano la piazza pisana. Il vero artefice della fortuna della famiglia fu però Banduccio, che negli anni ’60 fondò con un altro mercante pisano, Guiscardo Cinquina, quella che può essere considerata la prima società commerciale “alla fiorentina” attiva a Pisa. La compagnia svolgeva soprattutto attività finanziarie di prestito, deposito e trasferimento capitali, al servizio di mercanti, ecclesiastici, enti religiosi, personaggi di spicco e lo stesso comune di Pisa, e aveva agenti e fattori in varie piazze internazionali.
I Bonconti giunsero all’anzianato soltanto nel 1289, dopo la sollevazione che portò alla fine della signoria di Ugolino della Gherardesca e Nino Visconti. In precedenza, i fratelli di Banduccio avevano fatto qualche sporadica comparsa nei consigli cittadini, e Tuccio aveva ricoperto nel 1269 l’incarico di collettore di una data imposta dal comune al clero pisano. A quanto pare, invece, Banduccio era rimasto del tutto estraneo alla politica.
Nessuno.
Banduccio compare improvvisamente sulla scena politica, ma già con un ruolo di primissimo piano, nel 1289, in coincidenza con l’arrivo a Pisa del conte Guido da Montefeltro, chiamato a risollevare le sorti della città, minacciata da ogni lato dalla pressione militare delle forze guelfe. Al conte Guido furono attribuiti, con mandato triennale, poteri quasi illimitati, derivanti dalla somma delle cariche di podestà, capitano del popolo e capitano di guerra. Negli anni in cui rimase in città egli fu affiancato, nella definizione della linea politica, da un vero e proprio quadrumvirato composto dai mercanti Banduccio Bonconti e Iacopo da Fauglia e dagli esperti di diritto Ranieri Sampante e Gherardo Fagioli, tutti populares. I quattro si erano probabilmente messi in luce in occasione della difficile ricostruzione di un nuovo equilibrio politico e della ristrutturazione del comune popolare dopo la drammatica cesura costituita dalla signoria di Ugolino della Gherardesca e Nino Visconti e dalla sua conclusione violenta nell’estate del 1288. Ai quattro leaders popolari fu informalmente attribuito il compito di sostenere ma allo stesso tempo arginare il potere di Guido, imponendo le istanze del nuovo gruppo dirigente popolare in formazione. Il credito politico conquistato in questi anni consentì ai quattro di continuare a esercitare lo stesso ruolo di incontrastata leadership dell’élite popolare, e dunque di forte indirizzo della politica cittadina, anche dopo il congedo del Montefeltro, per più di vent’anni, fino alla signoria di Uguccione della Faggiola. Banduccio fu dal primo momento il più in vista dei quattro.
Il potere di Banduccio e degli altri tre popolari non ebbe mai alcuna legittimazione formale.
Dal 1254 il comune di Pisa era un comune di «popolo». L’organo di vertice del comune erano gli anziani del «popolo», che erano dodici, tre per ogni quartiere della città, e rimanevano in carica due mesi. Il sistema istituzionale prevedeva l’articolazione in un consiglio del senato e della credenza, presieduto dal podestà, e un consiglio del «popolo», presieduto dal capitano del «popolo». Tutti i consiglieri, ad eccezione delle rappresentanze delle società popolari e delle corporazioni mercantili e professionali, venivano nominati direttamente dagli anziani.
I membri del vero e proprio quadrumvirato che dominò la politica pisana dal 1289 al 1314 – Banduccio Bonconti, Iacopo da Fauglia, Ranieri Sampante e Gherardo Fagioli – ricoprirono spesso l’anzianato, alternandosi con i loro parenti, ma senza derogare alle regole di vacanza imposte dagli statuti cittadini. La loro influenza si esercitava attraverso la costante partecipazione di uno o, spesso, più di uno di loro alle ambasciate, alle missioni diplomatiche più importanti, alle trattative che precedevano la conclusione di trattati di pace e alleanze. Per quanto riguarda la politica interna, uno o più di loro era sempre presente nei ristretti comitati di sapientes nominati dagli anziani per affrontare le questioni politiche più complesse e delicate, o quelle più controverse. Nei primi anni del Trecento, a differenza di quanto avverrà in seguito (vedi voce Coscetto da Colle), le commissioni di savi non si erano ancora stabilizzate e istituzionalizzate, ma mantenevano uno spiccato carattere di eccezionalità. Il potere dei quattro si espresse insomma attraverso il monopolio degli incarichi straordinari, che venivano trasmessi direttamente dagli anziani, mancavano di qualsiasi definizione statutaria, non erano soggetti ad alcun obbligo di vacanza né a prescrizioni di incompatibilità, e lasciavano una grandissima libertà d’azione. In questo modo essi esercitarono un potere effettivo e molto intenso, evidente agli occhi dei contemporanei, ma sempre al di qua dei limiti normativi e dei confini istituzionali, che furono forse sottoposti a tensione, ma mai oltrepassati.
I quattro leaders popolari, guidati da Banduccio, ebbero un ruolo determinante nella definizione della linea che Pisa seguì in politica estera. Negli anni ’90 tale linea fu improntata alla pacificazione con le forze che nel decennio precedente, prima dell’intervento di Guido da Montefeltro, avevano messo a dura prova la città tirrenica e fortemente ridimensionato il suo contado. I momenti più significativi del programma di riconciliazione furono il trattato concluso con le città della lega guelfa nel 1293 e l’onerosa pace con Genova del 1299. Nei primi anni del Trecento questo atteggiamento conciliante fu abbandonato a favore del tentativo di tornare a svolgere un ruolo politico di primo piano in una dimensione non solo regionale. In particolare, Pisa si offrì come luogo di rifugio e centro di raccolta per i guelfi bianchi espulsi da Firenze, Lucca e Pistoia, che appoggiò anche con azioni militari, e si propose come punto di riferimento per le forze ghibelline non solo toscane. Infine, dal 1310 i quattro leaders popolari, e Banduccio in primo piano, spinsero la città ad aderire con entusiasmo al progetto di Enrico VII e a fornirgli appoggio per la sua campagna italiana. Pisa divenne il centro di coordinamento dell’azione dei sostenitori di Enrico, investendovi grandi energie e, soprattutto, enormi risorse finanziarie. Piero, il figlio di Banduccio, rimase a lungo presso il re, per il quale svolse anche incarichi ufficiali di rilievo.
Nel 1311 Ghecca, figlia proprio di Piero, che il padre aveva scelto come proprio erede politico, sposò Iacopo, figlio del giudice Ranieri Sampante, destinato a succedere al padre al vertice della politica cittadina. Il quadrumvirato che aveva guidato la città negli anni precedenti tentava di dare maggiore stabilità al proprio potere, e di assicurarne la continuazione anche dopo la scomparsa o il ritiro dei quattro leaders ormai avanti con gli anni.
Ugolino Bonconti, figlio di Francesco, fratello di Banduccio, fu avviato alla carriera ecclesiastica. Nel 1305 il Bonconti riuscì a entrare nel capitolo cittadino attraverso una manovra non proprio trasparente. Egli ebbe la meglio su un altro candidato nonostante questi potesse esibire una provvisione apostolica di Bonifacio VIII. Nel luglio del 1305 Banduccio e Francesco promisero ai canonici 5000 fiorini d’oro se il loro rampollo avesse ottenuto la prebenda. Anche Gherardo Fagioli, un altro dei quattro leaders popolari che in quegli anni dominavano la politica pisana, riuscì a inserire nel capitolo il figlio Guido, mentre Ranieri Sampante tentò di ottenere una prebenda per il figlio Gualterotto, ma i canonici gli preferirono un altro candidato. È evidente quindi che il quadrumvirato che guidava Pisa cercava di imporre la propria influenza anche al vertice della chiesa cittadina, che fino agli anni ’90 del Duecento era rimasto una vera e propria roccaforte della nobiltà.
- Così si esprime una cronaca trecentesca pisana narrando di un dibattito sorto nel 1293 in relazione alla riammissione in città di Nino Visconti: «E per cessare ognia scandalo di ciò erano contenti, e voleano quelli, che più savi erano tenuti a Pisa, cioè Messere Gherardo Fagiuolo, Banduccino Bonconte, Iacopo Favuglia, Messere Ranieri Sampante» (Fragmenta historiae pisanae, col. 666). Si tratta dell’esplicito riconoscimento del quadrumvirato che guidava la città su una base del tutto informale.
- L’ascendente di Banduccio era evidente agli occhi dei contemporanei. Così si esprimeva nel 1308 Cristiano Spinola, informatore di Giacomo II d’Aragona a Genova, comunicando al re l’arrivo nella sua città degli ambasciatori pisani. «Qui sunt Pelaygus Cagnacius de domo Lanfrancorum et Banducius Bonconte de populo, qui ducunt et regunt totum comune Pisarum ad eorum placibile atque velle» (V. Salavert Y Roca, Cerdeña y la expansión, n. 286, pp. 355-356). Pellaio Chiccoli dei Lanfranchi era il leader dei nobili pisani.
- Secondo la Cronica di Pisa Banduccio fu il protagonista dell’episodio di Quosa, che nel 1313 lo oppose a Bonturo Dati, ambasciatore di Lucca. Banduccio, «el quale era uno grande citadino di Pisa», avrebbe risposto per le rime al superbo Bonturo, ordinando poi a Uguccione della Faggiola di organizzare una spedizione punitiva nel contado lucchese e anticipando lui stesso 1000 fiorini d’oro per il pagamento delle truppe stipendiate (Cronica di Pisa, p. 63). L’aneddoto illustra con molta vivacità il ruolo di primissimo piano che Banduccio conservava anche dopo la chiamata del Faggiolano, che anzi sembra seguire le sue indicazioni politiche.
- Il racconto della morte di Banduccio è praticamente identico nell’anonima Cronica di Pisa e nella Cronaca di Ranieri Sardo. I due testi, entrambi scritti alla fine del Trecento, utilizzano evidentemente per questo episodio la stessa fonte, una cronaca pisana andata perduta. I cronisti narrano dunque della cattura di Banduccio, dopo che egli aveva pronunciato «dimolte parole superbe» nella piazza di Santa Cristina, e del figlio Piero priore degli anziani. E si soffermano anche sull’impressione suscitata nel gruppo dirigente popolare dalla brutta fine del loro leader: «Di che dalli buoni homini di Pisa sentito, ne fue grande duolo» (Cronica di Pisa, pp. 68-69; R. Sardo, Cronaca di Pisa, pp. 64-66).
- Anche Giovanni Villani dedica spazio all’uccisione di Banduccio, dipinto come un modello di quegli uomini «savi» che secondo il cronista fiorentino dovrebbero guidare il comune di «popolo»: «[Uguccione], volendo come tiranno al tutto dominare senza contasto, fece pigliare in Pisa Banduccio Bonconti e ‘l figliuolo, uomo di grande senno e autoritade, e molto creduto da’ suoi cittadini, perché per bene del suo Comune contrastava a la sua tirannia, gli fece subitamente dicapitare, opponendo loro falsamente che teneano trattato col re Ruberto; onde i Pisani forte s’indegnarono contra Uguiccione.» (Villani, Nuova Cronica, X, 75). Nella narrazione della rivolta antiuguccioniana, Villani identifica proprio nell’uccisione dei Bonconti uno dei principali motivi di risentimento dei pisani nei confronti del Faggiolano: «..il popolo di Pisa si levò a romore per soperchi ricevuti, e per la morte di Banduccio Bonconti e del figliuolo, onde forte s’erano gravati della signoria d’Uguiccione» (Ibidem, X, 78).
I quattro leaders popolari che da più di vent’anni guidavano Pisa ebbero un ruolo determinante nella decisione di chiamare Uguccione della Faggiola per una prova di forza militare che consentisse ai pisani di affrontare la minaccia costituita dalla ricomposizione della schieramento guelfo sotto la guida di Roberto d’Angiò. Uguccione entrò in carica nel settembre del 1313 con il titolo di podestà, capitano del “popolo” e capitano di guerra. Nei primi mesi dopo l’arrivo del Faggiolano l’ascendente di Banduccio sembra addirittura aumentato, ed è apertamente riconosciuto da tutte le cronache. La pace con Roberto d’Angiò e le forze guelfe fu firmata il 27 febbraio del 1314; ambasciatori pisani erano ancora una volta due dei quattro longevi leaders popolari, Gherardo Fagioli e Iacopo da Fauglia, che rientrarono in città il 22 marzo. Con una mossa a sorpresa, Uguccione si oppose alla pace in consiglio generale accusando i due delegati di avere cospirato con re Roberto per consegnargli la signoria sulla città. Il giorno dopo tentò di sollevare un tumulto popolare, facendo correre per la città i mercenari tedeschi sottoposti al suo comando. Banduccio provò a calmare le acque con la sua indiscussa autorevolezza tenendo un discorso nella piazza di Santa Cristina, mentre il figlio Piero, che era priore degli anziani, tentava di sottrarre a Uguccione la base del suo potere facendo giurare le truppe mercenarie nelle mani degli anziani. Il Faggiolano fece catturare Banduccio e Piero, li accusò di tradimento e il 24 marzo del 1314 li fece decapitare. Con l’eliminazione del suo esponente più influente Uguccione metteva a tacere il vertice del gruppo dirigente popolare e assumeva un potere signorile.
Per gli anni di Banduccio e degli altri tre leaders popolari si sono conservati presso l’Archivio di Stato di Pisa quattro registri contenenti le Provvisioni degli anziani e le deliberazioni del consiglio del «popolo»: Comune A 81, luglio-agosto 1297, Comune A 82, settembre-ottobre 1299, Comune A 83, settembre-ottobre 1304, Comune A 84, luglio-agosto 1310. Una fonte fondamentale è poi il Breve Vetus (vedi bibliografia), l’elenco dei componenti di tutti i collegi anzianali dal 1288 alla conquista fiorentina. Notizie sulle attività della società Bonconti-Cinquina si trovano nelle pergamene dei fondi diplomatici dell’Archivio di Stato di Pisa.
Fonti: Breve Vetus seu Chronica Antianorum civitatis Pisarum, a cura di F. Bonaini, in «Archivio storico italiano», VI/2 (1848), pp. 647-779; H. Finke, Acta Aragonensia. Quellen zur deutschen, italienischen, französischen, spanischen, zur Kirchund Kulturgeschichte, aus der diplomatischen Korrespondenz Jaymes II. 1291-1327, 3 voll., Berlin-Leipzig 1908-1922; V. Salavert Y Roca, Cerdeña y la expansión mediterranea de la Corona de Aragón, 1297-1314, Madrid 1956; Cronaca di Pisa di Ranieri Sardo, a cura di O. Banti, Roma 1963; G. Villani, Nuova cronica, edizione critica a cura di G. Porta, 3 voll., Prma 1990-1991; Cronica di Pisa, a cura di C. Iannella, Roma 2005; R. Granchi, De preliis Tuscie, a cura di M. Diana, Firenze 2008.
Studi: G. Rossi Sabatini, Pisa al tempo dei Donoratico. 1316-1347, Firenze 1938; E. Cristiani, Nobiltà e popolo nel Comune di Pisa. Dalle origini del podestariato alla signoria dei Donoratico, Napoli 1962; M. Ronzani, La chiesa cittadina pisana tra Due e Trecento, in Genova, Pisa e il Mediterraneo tra Due e Trecento. Per il VII centenario della battaglia della Meloria, Genova 1984, pp. 283-347; Id., “Figli del Comune” o fuoriusciti? Gli arcivescovi di Pisa di fronte alla città stato tra la fine del Duecento e il 1406, in Vescovi e diocesi in Italia dal XIV alla metà del XVI secolo, Atti del VII convegno di storia della Chiesa in Italia, a cura di G. Desandre, A. Rigon, F. Trolese, G. M. Varanini, Roma 1990; A. Poloni, Trasformazioni della società e mutamenti delle forme politiche in un Comune italiano: il Popolo a Pisa (1220-1330), Pisa 2004.