di:
Gabriele Taddei
…- estate 1381.
Vedi scheda famigliare.
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Nessun titolo formale.
Rientrati dopo circa venticinque anni d’esilio, i Bostoli si trovarono, al termine della guerra degli Otto Santi, nel 1378, in un contesto cittadino dagli equilibri fortemente mutati rispetto al recente passato. Se il governo della media gente era infatti uscito umiliato dal conflitto con il papato, le casate magnatizie riammesse -soprattutto quelle di più ortodossa fedeltà guelfa, tra cui appunto i Bostoli e gli Albergotti- poterono recuperare importanti posizioni nelle magistrature cittadine. Il sollevamento popolare dell’8 aprile 1379, che sotto la guida dei Sessanta avrebbe dovuto invertire tale tendenza e portare ad una nuova espulsione dei grandi, fallì miseramente. I Bostoli ed i loro partigiani, ormai padroni della città, promossero così un rinnovamento del governo in senso arciguelfo che si concretizzò nella diretta assunzione di tutte le principale cariche, nel totale rifacimento delle borse, in un ancor più stretto legame con Firenze. A guidare il mutamento politico, che i Bostoli poterono attuare con il sostegno del popolo minuto, fu Bostolo de’ Bostoli detto Bostolino. Se il cronista senese Donato di Neri non esita a definire B. «signore della città», l’aretino ser Bartolomeo di ser Gorello non attribuisce invero a questa figura alcun rilievo particolare dimostrandosi più propenso a valutare il regime instauratosi sul finire degli anni ’70 come un predominio collettivo delle principali famiglie arciguelfe.
Il predominio personale presumibilmente instaurato da B. in qualità di leader del suo gruppo familiare non ebbe, nella sua totale informalità, necessità di ricercare alcuna legittimazione giuridica realizzandosi nell’apparente rispetto degli assetti comunali. Anzi il governo entro la cui cornice esso si espletò continuò, come il precedente, a definirsi, oltre che guelfo, anche popolare.
Il governo arciguelfo egemonizzato dalla famiglia Bostoli e dal suo leader B. non comportò mutamenti sostanziali negli assetti istituzionali del Comune. Nonostante la pressoché totale mancanza di documenti d’archivio è nondimeno possibile affermare che esso si concretizzò esclusivamente attraverso il controllo delle pratiche d’imborsazione, il conseguente pervasivo inserimento di propri congiunti e partigiani entro le assemblee cittadine nonché la sistematica discriminazione politica e fiscale degli oppositori. A tal riguardo il cronista ser Bartolomeo di ser Gorello impiega ben 10 terzine per nominare, in lungo elenco, gli esponenti delle principali famiglie aretine espulsi o comunque costretti all’esilio dal nuovo regime.
B. poté avvalersi della solidarietà dello schieramento guelfo di Toscana entro il quale la famiglia tradizionalmente aveva militato.
Nel corso del lungo esilio che aveva preceduto, attorno agli anni 70 del secolo, la riammissione ad Arezzo, B. ebbe più volte modo di partecipare attivamente alle iniziative militari intraprese dalle principali città guelfe della Tuscia. Nel 1351 militò nel contingente perugino inviato a sostegno della terra nuova fiorentina di Scarperia assediata dai Visconti. Il reparto non arrivò a destinazione venendo disfatto presso Arezzo da Pier Saccone Tarlati alleato dei Milanesi.
Il regime di cui B. fu l’anima si dimostrò presto incapace di risolvere le dilacerazioni interne alla sempre più magmatica società aretina. Già a partire dal 1379 i Fiorentini tentarono di promuovere un riavvicinamento tra gli Arciguelfi, i Sessanta e la famiglia ghibellina degli Ubertini. Ma se tale intesa fallì, la vera minaccia fu rappresentata dai Tarlati che, dopo la morte di Pier Saccone e nonostante la generale pacificazione del 1345, erano tornati a stringere d’appresso la città. Chiusi entro le sue mura, privi di risorse umane ed economiche, i Bostoli e gli arciguelfi si rassegnarono, come già prima di loro gli stessi Tarlati, a cedere Arezzo a chi fosse in grado di difenderla: il 14 settembre 1380, dopo intensi negoziati, furono gli stessi membri della famiglia a consegnare a Carlo di Durazzo le chiavi della città.
Proprio tentando di contrastare la politica del rappresentante di quel sovrano che egli stesso aveva contribuito ad invitare ad Arezzo, B. avrebbe trovato la morte. Nell’aprile 1381, osteggiando la riammissione in città degli uomini del vecchio regime dei Sessanta, degli Ubertini e dei Tarlati, gli Arciguelfi organizzarono infatti una sommossa contro il vicario Guglielmo di Gyor. B., tra i principali promotori del rumore, fu imprigionato decedendo in carcere secondo alcune testimonianze, venendo decapitato secondo altre.
La distruzione degli archivi cittadini in conseguenza delle vicende che nel 1384 portarono all’assoggettamento fiorentino ha drasticamente ridotto il novero delle fonti per lo studio della storia medievale aretina. Il più ed il meglio di quanto si è conservato è stato pubblicato nella raccolta del Pasqui.
Fonti:
L. Bruni, Istoria fiorentina, II, Le Monnier, Firenze, 1861; Donato di Neri, Cronaca senese di Donato di Neri e di suo figlio Neri, in Cronache senesi, a cura di A. Lisini e F. Iacomennti, in Ris, XV, p. VI, Bologna, 1931-39, p. 679; Ser Bartolomeo di ser Gorello, Cronica dei fatti di Arezzo, a cura di A. Bini e G. Grazzini, Rer. Italic. Scrip.2, t. XV, p. I, Bologna 1917, p. 93n.; U. Pasqui, Documenti per la storia della città di Arezzo nel medio evo, Firenze, 1916-20; M Villani, Cronica, Multigrafica, Roma, 1980.
Studi:
A. Barlucchi, Palazzo Bostoli. Attività mercantili e vicende familiari nell’Arezzo medievale, Montepulciano, Le Balze, 1998; L. Berti, Arezzo nel tardo medioevo (1222-1440). Storia politico-istituzionale, Società storica aretina, Arezzo, 2005.