Brienne, Gualtieri di (VI)


di:
Estremi anagrafici:

1304 circa – 19 settembre 1356.



Durata cronologica della dominazione:

8 settembre 1342- 26 luglio 1343.



Espansione territoriale della dominazione:
Origine e profilo della famiglia:

La famiglia di Gualtieri VI apparteneva alla media nobiltà francese ed era originaria della Champagne, regione nella quale si trovava il feudo di Brienne (dipendente dai conti di Champagne). Nel XII secolo Gualtieri II ed Erardo II parteciparono rispettivamente alla seconda ed alla terza crociata, trovandovi la morte (con sicurezza nel caso di Erardo II), ma anche affermando e consolidando la dimensione internazionale del lignaggio. Nel 1200 Gualtieri III sposò Elvira d’Altavilla, figlia ed erede del defunto re Tancredi di Sicilia, e collegò in tal modo il destino familiare all’Italia. Dopo aver ricevuto una promessa verbale dell’imperatore Enrico VI, ottenne quindi da papa Innocenzo III (che lo incaricò anche di combattere alcuni baroni ribelli che pretendevano per sé il tutoraggio del giovanissimo Federico II) l’investitura formale del principato di Taranto e della contea di Lecce. Alla sua morte, tuttavia, sopraggiunta proprio nel corso delle operazioni belliche condotte contro tali baroni, questi feudi vennero confiscati, di modo che il figlio Gualtieri IV – che ebbe come tutore lo zio Giovanni I, Re di Gerusalemme, e Imperatore latino di Costantinopoli – ereditò soltanto il feudo avito di Brienne. Suo figlio Ugo, che pure rivendicò i feudi italiani e lo stesso regno di Gerusalemme, preferì trasferirsi in Italia alla corte di Carlo I d’ Angiò, di fatto legando i destini familiari alla dinastia angioina. Il figlio Gualtieri V (padre di Gualtieri VI), cresciuto a Napoli, nel 1308 acquisì per via ereditaria il titolo di Duca d’Atene e si spostò quindi in Grecia, ma venne sconfitto due anni dopo dagli almogavari della Compagnia Catalana nella battaglia del Cefiso, perdendovi la terra e la vita. Lo stesso Gualtieri VI, cresciuto dalla madre alla corte di Napoli e già in giovane età pressato dai debiti contratti da questa nella vana speranza di riconquistare il ducato d’Atene, cercò nel corso della vita di recuperare un effettivo controllo sui domini in terra ellenica, ma senza mai riuscirvi. Ottenuto in seguito il titolo di gran connestabile di Francia, morì nel corso della battaglia di Poitiers nel 1356.


Titoli formali:

Dominus generalis.


Modalità di accesso al potere:

Il rapporto di Gualtieri con Firenze conobbe un prologo significativo negli anni venti del Trecento, all’ombra della signoria angioina allora vigente. Egli (che era imparentato con Roberto d’Angiò, avendone sposato la nipote) giunse infatti per la prima volta in città nel 1326 quale vicario di Carlo di Calabria, rimanendo in carica per poco più di due mesi, e tuttavia a quanto sembra lasciando un’immagine sufficientemente positiva presso i fiorentini. Quasi quindici anni dopo, agli inizi del 1342, nel pieno della guerra condotta da Firenze contro Pisa per il controllo di Lucca, quando il governo cittadino andò in cerca di un condottiero, possibilmente legato alla casa d’Angiò, da porre alla testa delle proprie truppe, finì con l’ingaggiare proprio Gualtieri. Egli giunse in città già nel maggio con poche centinaia di armati al proprio seguito, ed operò con essi agli ordini del Capitano generale di guerra allora in carica, Malatesta da Rimini. Nei mesi successivi, a partire dalla fine di maggio, si susseguirono quindi alcuni provvedimenti (per i quali a quanto sembra fu maggiore la volontà della classe dirigente cittadina piuttosto che la pressione dello stesso Gualtieri) che ampliarono gradualmente le sue attribuzioni fino alla concessione della signoria vera e propria. Fra il 31 maggio e il 1 giugno i Consigli opportuni lo nominarono Difensore e Conservatore della città – con decorrenza dal 26 maggio appena trascorso al 13 aprile dell’anno successivo – e Capitano generale delle truppe fiorentine – a partire dal 1 agosto e per i sei mesi successivi –, affidandogli quindi di fatto, anche se con scadenze sfalsate, la gestione dell’ordine pubblico e dell’intero comparto militare. Nel luglio si provvide poi a estendere la sua giurisdizione anche nei confronti dei ribelli e banditi del Comune, rafforzandone in tal modo il profilo fra gli ufficiali forestieri del Comune. Assunta quindi la nuova carica, il 17 agosto un’ulteriore provvisione ne equiparò i poteri a quelli dei priori, la magistratura di vertice del Comune, ponendo di fatto l’intera gestione delle finanze comunali nelle mani del collegio così rinnovato. L’8 settembre, infine, a conclusione di una fitta serie di trattative condotte con il governo cittadino, e grazie anche a un’abile forzatura della piazza, il Duca ottenne, a vita, la piena signoria sulla città e sul suo territorio.


Legittimazioni:

A compimento di un processo costante di acquisizione di attribuzioni istituzionali iniziato con la concessione di un semplice incarico militare, l’8 settembre del 1342 il Parlamento appositamente convocato approvò la delibera dei priori che prevedeva il conferimento al Duca della signoria a vita sulla città, senza eccezioni o restrizioni di sorta. Subito dopo tre sindaci appositamente nominati presentarono la nomina al Duca, che accettò. Due giorni dopo, la conferma dei Consigli opportuni sancì il definitivo passaggio di consegne.


Caratteristiche del sistema di governo:

Il testo della provvisione che assegnava al Duca il ‘mero e misto imperio’ sulla città e sul territorio faceva esplicito riferimento, nel definire le eventuali zone d’ombra del mandato, al provvedimento che aveva a suo tempo concesso (1326) la signoria sulla città a Carlo di Calabria, in questa ottica inserendo esplicitamente l’esperienza del Duca all’interno della ricca tradizione signorile angioina. Rispetto a tale tradizione, tuttavia, la signoria di Gualtieri si caratterizzò (oltre che ovviamente per la minore pregnanza del legame con la realtà angioina) per una diversa gestione dei meccanismi istituzionali. Dal punto di vista formale, il Duca mantenne in essere buona parte della struttura di governo cittadino, conservando da un lato la figura del Podestà (che assunse le funzioni di suo vicario cittadino) e dall’altro il collegio dei priori, vertice del governo comunale. Questi ultimi, tuttavia, relegati fisicamente in un’abitazione privata fuori dal loro Palazzo, furono di fatto privati di qualsiasi concreta possibilità di intervento nella gestione della cosa pubblica. Dal momento dell’insediamento di Gualtieri, inoltre, i Consigli non vennero più convocati, e venne dunque azzerata in tal modo quella dimensione consiliare che rappresentava uno degli elementi centrali della tradizione politica comunale. Nella concreta gestione del governo, più che il mantenimento formale di singole figure istituzionali contò dunque la volontà del Duca di accentrare nelle proprie mani la gestione diretta delle operazioni. In tale compito, egli ebbe l’appoggio di un consiglio ristretto, con funzioni consultive, formato per la maggior parte da esponenti del mondo feudale del Regno e da importanti prelati (fra cui i vescovi dei vari centri toscani a lui sottomessi), e da alcuni esponenti di punta dei ceti dirigenti di quegli stessi centri, laddove quasi nulla fu invece la presenza di cittadini fiorentini. Tale scarsa rappresentanza dei maggiorenti fiorentini nelle stanze del potere trovò una diretta corresponsione nella frattura operata a livello politico dal Duca nei confronti del ceto (in sostanza i popolani grassi) che aveva retto le sorti del governo cittadino nei decenni precedenti. Nonostante la rapida concessione di una moratoria per i debiti, il rapporto di Gualtieri con la precedente classe dirigente fu caratterizzato infatti da una significativa distanza (se non da una vera e propria ostilità). Egli non esitò ad esempio a cassare l’ufficio dei gonfalonieri delle compagnie del popolo, indebolendo fortemente la struttura istituzionale (e l’organizzazione militare) popolare, e ad imporre un estimo sulla città che andò a gravare principalmente proprio sui popolani grassi. Di segno diverso fu invece il legame che il Duca instaurò con i magnati e i popolani minuti. I primi vennero solo marginalmente coinvolti nelle dinamiche istituzionali del governo, ma ottennero come sembra un’applicazione più lasca degli ordinamenti di giustizia. I secondi rappresentarono invece il principale referente politico per il Duca, che ne ricercò il consenso e ne favorì la partecipazione alle attività del governo. In questa ottica, la concessione ai tintori – che presentarono apposita petizione nel novembre del 1342 – del diritto di costituire una propria arte, a detrimento diretto della potente arte della lana, costituì una sorta di manifesto della linea politica di Gualtieri. Ugualmente, la rapidità con cui chiuse il conflitto con Pisa, l’enfasi assegnata al suo ruolo di pacificatore dei conflitti interni (fra ottobre e novembre furono quasi duecento le paci ratificate sotto la sua egida), e l’applicazione di un nuovo estimo per la città, sono da intendersi come elementi volti ad accreditare la sua immagine di attento (e imparziale) gestore dell’ordine e delle finanze pubbliche, e qualificanti la sua attività di governo. Con i primi mesi del 1343 tale attività venne tuttavia gradualmente e progressivamente scemando, sia a livello quantitativo che qualitativo, quasi che la realizzazione di quegli atti appena menzionati avesse esaurito l’agenda politica del Duca. Se dal punto di vista esterno egli si mantenne attivo, contraendo alleanze con signori padani, nell’ambito interno sembrò concentrarsi su una ferrea amministrazione della giustizia. Le convocazioni del consiglio, i decreti del Duca, così come più in generale l’attività del governo, toccarono i minimi all’inizio dell’estate, quando ormai stavano per prendere forma definitiva quei fermenti che da tempo agitavano il clima politico fiorentino.

Con il dominio su Firenze Gualtieri acquisì anche il dominio sulle città (Arezzo e Pistoia) che in quegli anni erano direttamente sottomesse a Firenze, ottenendo in entrambi i casi la concessione di signorie a vita. Ad esse si aggiunsero quindi nei primi mesi del 1343 ColleSan Gimignano,  e Volterra, centri che pur non essendo formalmente dipendenti da Firenze, a quest’ultima risultavano politicamente collegate – con modalità e intensità diverse caso per caso – ormai da alcuni decenni. In tutte queste realtà egli governò attraverso propri vicari, scelti sia fra i personaggi del proprio seguito che all’interno dei tradizionali circuiti di reclutamento del personale forestiero comunale. A prescindere dalle differenze locali, legate anche alle singole personalità dei diversi vicari, il governo di Gualtieri sulle altre città sottomesse si caratterizzò in ogni caso per una presa meno incisiva sulle istituzioni (che mantennero margini di intervento nettamente maggiori rispetto a quelle fiorentine), e per una forte attenzione all’ambito finanziario. Successivamente nel corso dell’anno egli cercò del resto di accrescere ulteriormente la propria sfera di influenza, rivolgendo ad Avignone la richiesta – tramite i Consigli fiorentini – di venire investito della provincia di Romagna.


Sistemi di alleanza:

Imparentato con Roberto d’Angiò, e cresciuto alla sua corte, il Duca mantenne inalterata la collocazione guelfa di Firenze all’interno dello scacchiere politico del tempo, anche se il rapporto con la corona di Napoli conobbe qualche leggera frizione (prima di morire, nel gennaio del 1343, Roberto gli avrebbe inviato una lettera con consigli e qualche rimprovero). Teso a consolidare la propria posizione, Gualtieri non avrebbe esitato in ogni caso, come riportano i cronisti del tempo, a contrarre alleanza nel luglio del 1343 con Mastino della Scala, con gli Este e con Taddeo Pepoli, col quale avrebbe addirittura contratto un legame di parentela. Tale alleanza non lo salvò comunque dalla rivolta dei fiorentini.


Cariche politiche ricoperte in altre citt?:

Legami e controllo degli enti ecclesiastici, devozioni, culti religiosi:

Politica urbanistica e monumentale:

Politica culturale:

Consenso e dissensi:

Salito al potere in una fase critica della storia di Firenze, impegnata in quegli anni in uno sforzo bellico (ed ancor più economico enorme) per la conquista di Lucca, e percorsa da profonde inquietudini finanziarie per lo stato critico di alcune delle sue principali compagnie commerciali, Gualtieri ebbe in un primo momento l’appoggio di quelle fasce della popolazione cittadina che, per motivi diversi, apparivano scontente della gestione del governo da parte delle famiglie del popolo grasso. I magnati videro nel Duca un possibile alleato/strumento da utilizzare nel loro annoso tentativo di modifica (se non di sovvertimento vero e proprio) degli ordinamenti di giustizia e dell’organizzazione del popolo in genere. Anche alcune famiglie del popolo grasso spinsero per il conferimento della signoria al Duca, sperando in tal modo di evitare le conseguenze più pesanti della crisi finanziaria in atto (e segnatamente dell’ondata di fallimenti per debiti che investì tutto il mondo commerciale fiorentino). Il popolo minuto appoggiò invece Gualtieri nella convinzione che questi avrebbe punito i responsabili della sconfitta con Lucca e del conseguente sperpero di denaro pubblico, e assicurato una migliore gestione delle finanze comunali. In questo senso le esecuzioni di alcuni membri del ceto dirigente a vario titolo implicati nella conduzione del conflitto, cui venne dato particolare risalto anche dal punto di vista per così dire ‘scenografico’, sembrarono confermare tale intenzione, e contribuirono in una prima fase a rinsaldare ulteriormente il consenso del Duca. Proprio la tendenza a privilegiare il popolo minuto, unita a una gestione dell’ordine pubblico e delle finanze comunali poco attenta ai vecchi equilibri di potere, contribuì tuttavia a rinsaldare la vecchia classe dirigente (popolani grassi, ma anche magnati) contro di lui, tanto che negli ultimi mesi di governo di Gualtieri si vennero formando addirittura tre distinte congiure a lui avverse.

Molto meno sappiamo sulla situazione relativa alle diverse città sottomesse, e sulle condizioni interne che portarono alla concessione della signoria. Se per Arezzo e Pistoia la nomina avvenne in dirette connessione con la sottomissione formale di queste a Firenze (ma si noti come numerose comunità delle Cortine aretine si sottomisero personalmente al Duca), per San GimignanoColle e Volterra essa giunse al termine di una qualche forma di trattativa, che coinvolse tanto la classe dirigente fiorentina quanto le élites locali. Del particolare rapporto fra Gualtieri e le classi dirigenti locali (che nel complesso attende ancora di essere precisato) è testimonianza diretta la presenza di Ottaviano Belforti, esponente di punta del lignaggio che a più riprese fu signore di Volterra, fra i membri del consiglio ristretto.


Giudizi dei contemporanei:

La signoria di Gualtieri ha rappresentato un vero e proprio spartiacque per la storia del pensiero politico fiorentino. Sarà proprio a partire dal Duca, infatti, dalla sua persona e dalla sua azione politica, che si verrà formando quell’immagine del tiranno e della tirannide che tanta parte avrà nella costruzione del mito della Firenze repubblicana. I giudizi dei contemporanei, a partire da Giovanni Villani (che pure ne aveva valutato positivamente l’operato quale vicario di Carlo di Calabria), si concentrarono dunque sulla qualificazione in senso tirannico della sua signoria, condizionando in tal senso anche la storiografia moderna. Se dal punto di vista personale la caratterizzazione principale fu quella della crudeltà (episodio della condanna di tal Bettone di Cino da Campi, cui venne strappata la lingua per un commento poco lusinghiero nei suoi confronti), nella ricostruzione degli avvenimenti lo spazio principale venne dato alla sete di denaro del Duca (il Villani: “essendo cupido di moneta, che·nn'avea bisogno siccome viandante e pellegrino, e ben ch'avesse il titolo del ducato d'Atene no·llo possedea, e per suduzione di certi grandi di Firenze”; le Storie Pistoresi: “molto trattava male tutta gente, pognendo loro grandissimi carichi di moneta, sì per via di gabelle, come per altre imposte e prestanze, ed erano sì grandi che non si poteano sostenere”), che ne avrebbe condizionato in maniera indelebile il “tirannico reggimento” (ancora il Villani).


Fine della dominazione:

Il 26 luglio 1343, una congiura ordita da alcuni dei principali esponenti del mondo magnatizio e del popolo grasso (si erano formate, sembra, tre distinte congiure) provocò uno scontro di strada con i soldati del Duca, innescando la rivolta vera e propria che chiamò in piazza la popolazione. Il Duca, nonostante l’iniziale appoggio di alcuni sostenitori, si trovò quindi circondato all’interno del palazzo dei priori, dove risiedeva. Così assediato dai rivoltosi, il 1 agosto rinunciò formalmente alla signoria, ma solo la notte fra il 5 e il 6 riuscì, scortato, ad abbandonare definitivamente la città.


Principali risorse documentarie:

La documentazione relativa alla signoria di Gualtieri è andata in buona parte perduta, a seguito della distruzione della camera del Comune (luogo al tempo preposto per la conservazione delle scritture comunali) operata dai rivoltosi. Sono scampati alle fiamme solo pochi registri (per lo più copie), relativi principalmente alla gestione della camera ducale. Sono conservati presso l’Archivio di Stato di Firenze.


Bibliografia delle edizioni di fonti e degli studi:

Fonti: C. Paoli, Nuovi documenti intorno a Gualtieri VI di B. duca d'Atene e signore di Firenze, in «Archivio storico italiano», s. 3, XVI (1872), pp. 22-62; L. Leoni, Breve di Clemente VI in favore di Gualtieri di Brienne duca d'Atene, ibid., XXII (1875), pp. 181 ss.; G. Guerrieri, Nuovi documenti intorno a Gualtieri VI di Brienne duca d'Atene, ibid., 5, XXI (1898), pp. 297-309; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, in Rerum Italicarum Scriptores, 2 ed., XXX, 1, a cura di N. Rodolico; Storie Pistoresi. MCCC-MCCCXLVIII, a cura di S.A. Barbi, Lapi, Città di Castello, 1907-1927; G.A. Brucker-M.B. Becker, Una lettera in difesa della dittatura della Firenze del Trecento, in «Archivio storico italiano», CXIII (1955), pp. 251-259; G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, Guanda, Parma, 1990-1991.

Studi: C. Paoli, Della signoria di Gualtieri duca d’Atene in Firenze. Memoria compilata sui documenti, Firenze, 1862 (estratto dal «Giornale storico degli archivi toscani» 6); A. Mercati, Tentativo del duca d'Atene di ottenere l'investitura della Romagna (1343), in «Rivista storica degli archivi toscani», IV (1932), pp. 153-163; E. Sestan, Di Brienne, Gualtieri di, in DBI; G.A. Brucker, Florentine Politics and Society 1343-1378, Princeton University Press, Princeton, 1962; M. B. Becker, Florence in Transition. The decline of the Commune, The Johns Hopkins Press, Baltimore, 1967; J.M. Najemy, Corporatism and Consensus in florentine electoral politics, The University of North Carolina press, Chapel Hill, 1982, pp. 126-129; A. De Vincentiis, Le signorie angioine a Firenze. Storiografia e prospettive, in «RM Rivista», http://www.storia.unifi.it/_RM/rivista/default.htm, 2001 (2); Idem, Politica, memoria e oblio a Firenze nel XIV secolo. La tradizione documentaria della signoria del Duca d’Atene, in «Archivio storico italiano», CLXI (2003), pp. 209-248; J.M. Najemy, A History of Florenze, 1200-1575, Blackwell, Oxford, 2006, pp. 124 e segg.; A. De Vincentiis, Storia e stile, 1343/1861. L’immagine del tiranno di Firenze, in Condannare all’oblio. Pratiche della damnatio memoriae nel medioevo, Istituto storico italiano per il medioevo, 2010, pp. 159-177.


Apporti nuovi di conoscenza:

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Note eventuali: