di:
Maria Pia Contessa
anni Settanta del ’300 - febbraio 1453
Genova: 4 luglio 1415 - 3 novembre 1421; 3 aprile 1436 - 18 dicembre 1442
Sarzana: novembre 1421 - 18 luglio 1448 (ma di fatto fino alla morte)
Vedi scheda famigliare.
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Dux ianuensium et populi defensor, sostituito in un secondo tempo nei documenti ufficiali con dux ianuensium et defensor libertatis. Nei documenti di cancelleria sarzanese viene definito dominus.
A Genova, la prima volta ottenne il dogato dopo che Giorgio Adorno aveva presentato le dimissioni e la città era stata retta per un breve periodo da due Priori. Si era poi giunti all’elezione di Barnaba Guano, che il C. depose (con l’aiuto di Giorgio Adorno) per prendere il suo posto. Fu eletto all’unanimità.
La seconda volta, dopo che una rivolta aveva cacciato i Visconti dalla città, vi entrò col suo esercito, si impadronì del governo e si fece eleggere doge.
Ricevette la signoria di Sarzana e altri territori della Lunigiana, già genovesi, al momento della resa al duca di Milano nel 1421 assieme a 30.000 fiorini.
Formalmente investito doge dalla volontà popolare, cercò la legittimazione dall’Imperatore Sigismondo ma non riuscì ad ottenerla.
Come già Simone Boccanegra e Antoniotto Adorno, anche il C. trasformò il suo dogato in un regime personale effettivo, adottando caratteristici comportamenti signorili: l’accentramento dei poteri; l’inserimento di parenti e sostenitori nelle più alte cariche di governo e nei posti chiave dell’apparato amministrativo; la ricerca di alleanze personali sul piano internazionale; il perseguimento della legittimazione formale da parte dell’imperatore; uno stile di vita modellato su quello delle grandi corti italiane, comprendente la promozione di lettere e arti, il mecenatismo e altre forme di politica culturale finalizzata alla creazione di consenso; l’acquisizione di feudi; l’intenzione di costruirsi un casato e di creare una successione dinastica. Tommaso, tuttavia, non modificò l’assetto istituzionale, consapevole che i tempi non erano maturi per fare accettare ai genovesi un regime apertamente signorile.
Riguardo a Sarzana, il vuoto documentario relativo al periodo 1422-1435 non consente di ricostruire l’organizzazione del governo instaurato dal C. Alcuni indizi fanno pensare che controllasse direttamente le entrate di natura fiscale, inoltre mantenne per un certo periodo la carica di Visconte di Sarzana ma non se ne conoscono di preciso le attribuzioni. Concesse alla popolazione costituzioni che non si sono conservate.
Dal 1436, quando riottenne il dogato, lasciò ad occuparsi di Sarzana la moglie Marzia col nipote Pietro Fregoso, il Visconte e il canonico lunense Lazzaro del Molinello (già suo consigliere). Alla fine del 1436 il C. inviò in Lunigiana il fratello Giovanni per sistemare le cose dopo che la zona era stata invasa dal Piccinino al servizio dei milanesi. Nel febbraio successivo vi mandò il nipote Spinetta con il titolo di Capitano oltre la Magra ma non smise di seguire in prima persona, da Genova, le vicende lunigianesi. Il 1 giugno 1437, rientrato in possesso di Sarzana dopo la breve parentesi dell’occupazione milanese, il C. rinnovò le convenzioni con gli abitanti della città e nominò Visconte Andrea Gambino. Nel 1447, dopo avere riscattato il feudo dal Piccinino, concesse ai sarzanesi nuovi capitoli accogliendo parzialmente le richieste da essi stessi avanzate.
Nella ricerca di alleanze con famiglie, sovrani e potenze straniere non è sempre possibile distinguere le scelte messe in atto dal C. in veste di doge e di signore di Sarzana poiché nei due casi i suoi interessi coincidevano.
Instaurò un legame coi Fieschi che gli tornò utile sia per il controllo degli equilibri interni a Genova (soprattutto in riferimento alle posizioni della Chiesa nella quale i Fieschi erano capillarmente inseriti), sia nella sua politica di penetrazione in Lunigiana. Sollecitò presso il papa, con successo, il cardinalato dell’arcivescovo genovese Giorgio Fieschi.
Fu sempre in conflitto con i signori di Milano, particolarmente minacciosi perché interessati a conquistare lo sbocco al mare. All’inizio del 1417 stipulò una tregua di sette anni con Filippo Maria Visconti per impedire che appoggiasse i suoi oppositori nell’Oltregiogo e nelle Riviere, ma il duca non rispettò l’accordo. Il C. cercò pertanto alleanze fra i suoi nemici e attuò una politica filoangioina per contrastare l’appoggio milanese alle pretese di Alfonso d’Aragona sul trono di Napoli. I rapporti fra i Campofregoso e i signori di Milano migliorarono quando Tommaso, che oramai era stato privato del secondo dogato, rientrò in possesso del feudo riscattandolo dal Piccinino che lo aveva occupato per conto dei Visconti.
Nel rivolgere i suoi interessi verso la Lunigiana cercò l’alleanza con il signore di Lucca Paolo Guinigi, al quale potrebbe essersi ispirato per elaborare quel modello di signoria che non poté attuare apertamente a Genova e che avrebbe invece realizzato a Sarzana. Il legame con Lucca, suggellato dai matrimoni fra due figlie del signore locale e altrettanti Campofregoso (uno dei quali era il fratello del doge, Battista), rimase saldo per tutto il periodo della dominazione del Guinigi, ed anche dopo che questi fu cacciato i rapporti fra Tommaso e la città toscana rimasero buoni.
Ottenuta la signoria sarzanese, cercò il sostegno della vicina Firenze con cui erano in corso relazioni amichevoli fin dai tempi del dogato poiché anche i fiorentini avevano interesse a contrastare Milano. Nel 1422 il C. e il fratello Spinetta furono ricevuti in accomandigia da Firenze con le terre lunigianesi per cinque anni, poi, dopo avere ottenuto il secondo dogato, Tommaso si alleò con i toscani e con Venezia in una lega contro i Visconti. Il sostegno dei fiorentini fu determinante quando il Piccinino al soldo dei signori di Milano occupò buona parte della Lunigiana, compresa Sarzana (1436-’37). A Firenze il C. guardava anche come modello culturale: fu lì, infatti, che mandò i nipoti perché ricevessero un’educazione di stampo umanistico. Infine, investì diverse migliaia di fiorini nel locale debito pubblico.
Si legò ai signori di Faenza per via matrimoniale: il fratello Spinetta sposò Ginevra di Giangaleazzo Manfredi, lui stesso prese in moglie un’altra figlia di Giangaleazzo, Marzia; un altro fratello, Bartolomeo, sposò Caterina Ordelaffi dei signori di Forlì.
Podestà di Pera (agosto 1410 - febbraio 1411).
Fu in buoni rapporti con la Chiesa genovese, anche in conseguenza della vicinanza alla famiglia Fieschi. Dimostrò particolare benevolenza verso i francescani, che nel 1440 celebrarono a Genova il loro capitolo generale.
A Sarzana si adoperò per fare ricostruire il convento di San Francesco fuori le mura, che si trovava in rovina per i danni riportati in seguito all’occupazione milanese. A questo proposito chiese al papa di poterlo trasferire in città nella sede del monastero delle Clarisse occupata oramai da una sola e anziana monaca. La richiesta, ostacolata nella stessa Sarzana, verrà accolta dalla Santa Sede nel 1462 grazie ai buoni uffici del cardinale Calandrini.
A Genova fece ampliare le mura cittadine e fortificare il porto (manutenzione e accrescimento all’arsenale, 1416) poiché la situazione di continua tensione bellica lo consigliava.
A Sarzana si insediò nel forte di Sarzanello, appositamente ristrutturato e adattato alle esigenze del nuovo signore. Finanziò la costruzione di un palazzo in città e di un orologio per il campanile della cattedrale di Santa Maria. Fece risistemare le strutture difensive della città nel 1437, dopo l’occupazione dei milanesi.
Il C. condusse un tenore di vita adeguato alle ambizioni signorili che coltivava, circondandosi di mobili, suppellettili, abiti, gioielli e altri manufatti pregiati. Ricevette un’educazione umanistica e curò sempre l’amore per le arti entrando in contatto con dotti e letterati di varia provenienza geografica. Fu particolarmente sollecito in questo senso nel periodo tra i due dogati, che trascorse in buona parte a Sarzana . Qui si impegnò per dar vita a una corte ispirata ai coevi modelli toscani, dotata di una ricca biblioteca e frequentata da uomini colti e amanti delle lettere, negli stessi anni in cui era attivo l’umanista sarzanese Tommaso Parentucelli (1397-1455). Sappiamo molto poco sui rapporti fra il futuro Niccolò V, peraltro spesso lontano dalla sua città natale per motivi di studio e di lavoro, e i signori locali ma dovettero essere quantomeno buoni se dobbiamo dar credito alle parole con le quali nel marzo 1447 il doge genovese Giano Campofregoso, nipote del Nostro e suo successore di lì a poco nel feudo lunigianese, ricordava con affetto gli stretti rapporti che da tempo univano lui e la sua famiglia al pontefice appena eletto in una lettera gratulatoria a lui indirizzata.
Scelse il letterato e oratore Bartolomeo Guasco come bibliotecario personale e precettore dei figli dello scomparso fratello Spinetta. Mandò almeno due dei suoi nipoti (Nicolò e Pietro di Battista, con un altro giovane parente) a Firenze per ricevere un’educazione di carattere umanistico dal Toscanella.
Anche a Genova, dove conferì l’incarico di Cancelliere all’umanista Iacopo Bracelli, trasformò la sua residenza in una corte presso la quale venivano ospitati con munificenza pontefici e sovrani. Fece decorare l’esterno del palazzo che era stato donato al padre Pietro, come riconoscimento per l’importante vittoria riportata contro i veneziani a Cipro nel 1383, con affreschi che celebravano l’impresa del genitore. Alla morte del fratello Battista volle per lui esequie solenni e particolarmente pompose (1442) con lo scopo di esaltare il casato (o meglio il ramo a cui lui apparteneva, che ai fini della sua politica propagandistica prendeva avvio dal padre eroe di Cipro) attraverso l’allestimento di un apparato scenografico destinato ad impressionare i contemporanei. Infine, fu probabilmente Tommaso a volere la costruzione di un mausoleo di famiglia nella chiesa di San Francesco, emulando il Boccanegra e trascurando la chiesa di San Domenico dove fino ad allora i Campofregoso avevano trovato spazio.
Nel 1418 Teramo Adorno, figlio del doge Giorgio, organizzò una rivolta contro di lui. Pur essendo legato al C. (aveva sposato una sorella di sua moglie), l’Adorno si alleò con i Guarco e i Montaldo, col sostegno del marchese del Monferrato e di Filippo Maria Visconti. In conseguenza dell’attacco congiunto il C. perse alcuni territori della Valle Scrivia.
Nel marzo 1437 Tommaso fu oggetto di una congiura da parte del fratello Battista appoggiato da Filippo Maria Visconti. Il tentativo fu sventato e il C. rinunciò a perseguire Battista, che invece non smise di tramare contro di lui. Anche i nipoti Pietro di Battista e Spinetta di Spinetta si dimostrarono poco fidati: il primo, una volta scomparso il padre, ne prese il posto a capo del ramo filomilanese; il secondo si fece signore di Sarzana approfittando della prigionia dello zio spodestato dal dogato per la seconda volta, e a questo titolo trattò con il nuovo doge Raffaele Adorno.
In generale, la sua politica dispendiosa (sia per allestire imprese di guerra che per motivi privati, come gli sfarzosi funerali celebrati per Battista) provocò malumori diffusi facilmente strumentalizzati da coloro che volevano estrometterlo dal potere.
Secondo Giovanni Stella, che ne dà un giudizio globalmente positivo, governò come un signore al di sopra delle leggi. L’ambasciatore fiorentino a Genova Giannozzo Manetti lo celebrò retoricamente come un rettore magnanimo, illuminato, colto, campione della libertà repubblicana che avrebbe liberato Genova dalla tirannide milanese. Il cancelliere Iacopo Bracelli dimostrò di apprezzare l’operato del doge, sulla scia delle opinioni del Manetti e di altri umanisti filo-repubblicani, salvo poi prenderne le distanze in un secondo momento, deluso soprattutto dalla creazione della signoria sarzanese sottratta al territorio della Repubblica. L’annalista Agostino Giustiniani riporta che il reggimento del C. era ritenuto «bono et commendabile», ma riteneva che le spese prodigate per i solenni funerali del fratello Battista avessero contribuito a metterlo in cattiva luce accelerandone la caduta.
Il primo dogato del C. terminò quando la Repubblica fu attaccata da Filippo Maria Visconti. Siccome Genova non era in grado di resistere perché indebolita da un lungo periodo di scontri, Tommaso si arrese per evitare l’assalto della città e propose al Consiglio di cederla al duca di Milano.
La seconda volta fu cacciato da Giovanni Antonio Fieschi e Raffaele Adorno, che assaltarono in armi il palazzo ducale.
Durante la dominazione del C. sul feudo sarzanese questo fu occupato due volte, per brevi periodi, dai milanesi. Una volta rientratone definitivamente in possesso Tommaso lo vendette al nipote Giano che essendo il doge in carica controllava, di fatto, anche la Lunigiana. Poco dopo Giano associò lo zio nel governo di Sarzana, questi però si era nel frattempo trasferito a Savona lasciando la moglie Marzia ad occuparsi della gestione degli affari lunigianesi sotto la supervisione dello stesso doge. In realtà, la signoria di Tommaso su Sarzana cessò con la sua morte, nel 1453, infatti anche dopo la scomparsa di Giano continuò ad interessarsi attivamente della politica sarzanese assieme ai nuovi governanti (Ludovico e la madre Caterina Ordelaffi come tutrice del figlioletto di Giano).
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Tentò più volte di impadronirsi di Genova, sia quando era retta dai francesi (con l’appoggio degli Adorno, 1400), sia durante il governo dei marchesi del Monferrato (1411; due anni dopo lui e altri della sua famiglia parteciparono alla rivolta che costrinse il marchese a lasciare la città, poi sostenero l’elezione di Giorgio Adorno), sia nel periodo intercorso fra i suoi due dogati, durante il dominio milanese, col sostegno dei fiorentini che perseguivano una politica antiviscontea.
Rifiutò l’offerta del dogato nel 1450.