di:
Francesco Bianchi
1254-1309
1303-1309
Vedi scheda famiglia d’Angiò. La città capitale è Napoli.
Vedi scheda famiglia d’Angiò. Carlo II – detto lo Zoppo − era figlio di Carlo I, fratello di re Luigi IX di Francia, e di Beatrice contessa di Provenza.
Nominato più volte vicario generale del Regno di Sicilia, nel 1272 il padre lo fece principe di Salerno e conte di Lesina. Nel 1285 ereditò anche i titoli del defunto Carlo I e, nel 1289, fu riconosciuto dal papa come re di Sicilia e di Gerusalemme. Nel 1305 assunse il titolo di conte del Piemonte.
Carlo II succedette naturalmente al padre dopo la morte di quest’ultimo (1285), pur non essendo figlio primogenito, ma avvantaggiato dalla scomparsa prematura del fratello maggiore Ludovico (1248), prima ancora della sua nascita.
Nel 1289 Carlo II fu incoronato re di Sicilia e di Gerusalemme da papa Niccolò IV.
Carlo II ereditò dal padre una struttura amministrativa dei domini subalpini che presentava già significativi elementi di centralizzazione, cui conferì formale riconoscimento con la creazione di un organismo statuale unitario, la Contea del Piemonte, attribuendone il titolo al figlio Raimondo Berengario (1304) e assumendolo di persona dopo la morte di quest’ultimo (1305), ufficialmente a partire dal 14 febbraio 1306, quando la Contea del Piemonte fu unita in un unico corpo politico insieme a quelle della Provenza e del Forcalquier, pur mantenendo un’amministrazione autonoma, che però si rifaceva effettivamente al modello provenzale.
La creazione della nuova contea non alterò, tuttavia, l’organigramma delle alte funzioni di governo, convergenti nella figura del siniscalco e capitano generale (alternativamente detto del Piemonte o della Lombardia), dotato di mero e misto imperio e della suprema giurisdizione, anche penale. Egli governava in nome del conte, con il compito di tutelare gli interessi angioini in quella regione, trattare con i poteri locali, nominare o rimuovere gran parte degli ufficiali pubblici (vicari, capitani, giudici, clavari, notai, castellani ecc.), amministrare la giustizia e difendere il territorio. Non dipendeva dal siniscalco, bensì dal conte, la nomina di altri tre grandi ufficiali: un giudice maggiore, un procuratore del fisco (o avvocato) e un tesoriere, che collaboravano con il siniscalco stesso per la gestione degli affari giustiziari, giurisdizionali e fiscali, e si riunivano in consiglio con lui, a volte insieme ad altri ufficiali locali o giuristi, per trattare materie particolarmente delicate. Le principali cariche del comitatus piemontese erano perlopiù affidate a persone provenienti da altre regioni e scelte tra i migliori funzionari del Regno di Sicilia o della Contea di Provenza; gli ufficiali di grado minore, invece, erano reclutati a livello locale o in ambito padano.
In sintonia con la prima dominazione angioina, i patti di dedizione stipulati dalle comunità locali con Carlo II dovettero ricalcarono grosso modo le sottomissioni offerte a Carlo I, ma, almeno in alcuni casi, furono approvate nuove clausole a tutela degli interessi locali. L’amministrazione del territorio era sempre affidata a vicari di nomina centrale o locale (in sostituzione dei podestà cittadini), a castellani, oppure delegata a signori alleati tramite infeudazioni, che potevano prevedere parziali scorporazioni dei contadi rispetto ai loro centri di riferimento, in virtù del principio che equiparava i beni comunali e i castelli a regalia. Anche la confisca dei beni ai ribelli per trasferirli ai fedeli e il riconoscimento di particolari esenzioni fiscali agli alleati costituirono fattori di continuità tra la politica di Carlo II e quella del padre. Più coerente, invece, fu l’azione di appoggio alle società di Popolo come interlocutori politici privilegiati
Particolare attenzione venne dedicata ad Alba, capitale virtuale (ma non di diritto) della nuova contea angioina e sede abituale dei vertici amministrativi. Il suo ritorno nei domini angioini fu presentato come una restitutio al re della signoria sulla città e del suo distretto: furono confermati i privilegi concessi a suo tempo da Carlo I, approvati nuovi statuti comunali, tutelati diritti fiscali e commerciali.
Gran parte dell’attività diplomatica e militare di Carlo II fu assorbita dalla delicata gestione dei rapporti con la corona aragonese, quella francese e il papato, per questioni inerenti il controllo del Regno di Sicilia. Dopo la pace di Caltabellotta (1302), che pose fine alla lunga guerra del Vespro e definì in maniera stabile i nuovi equilibri politici dell’Italia meridionale, Carlo II poté dedicare maggiore attenzione ai domini nell’Italia nord-occidentale, ormai ridotti alla sola alta Valle Stura, anche se rimasero sempre una componente secondaria dei ben più ampi possedimenti angioini, che si estendevano tra la Francia, l’Italia e la penisola balcanica.
Tra il 1303 e il 1305 Carlo II recuperò buona parte delle terre piemontesi prima conquistate e poi perse da Carlo I, a partire da Alba (1303) e Cuneo (1305). La riconquista, che proseguì anche dopo il 1305, poté avvalersi sia delle truppe angioine di stanza in Provenza sia di eserciti mercenari (soprattutto come strumento di pressione diplomatica), e faceva leva su una rete di alleanze, invero non troppo solide, che comprendeva centri come Asti e signori come Filippo d’Acaia. A farne le spese fu, tra gli altri, il marchese Manfredi di Saluzzo, costretto a stipulare un oneroso trattato di pace, ratificato nel 1306, e a consegnare Fossano e parte del Monferrato nel 1307. Alle conquiste piemontesi di Carlo II seguì una politica di pacificazione interna, consolidata da una serie di accordi e vincoli di vassallaggio, siglati con i poteri signorili ed ecclesiastici di quell’area, ma anche con città e comuni rurali.
La centralità di Alba nei possedimenti subalpini di Carlo II trova conferma anche nella designazione dei vescovi locali, scelti tra prelati di provata fedeltà angioina, provenienti da ordini mendicanti (in sintonia con gli orientamenti devozionali degli Angiò) e pienamente integrati nel sistema di governo dei domini angioini.
Le testimonianze di matrice filoangioina e quelle più legate al papato ricordano Carlo II come sovrano sinceramente devoto e di pace, perché preferiva l’azione diplomatica a quella militare. Meno compiacenti i giudizi di autori filoimperiali e laici, che interpretarono il fervore religioso e il comportamento irenico del sovrano angioino come segno di viltà e stoltezza; Dante Alighieri, in più luoghi della Divina Commedia, si espresse con durezza nei suoi confronti, anche per imputargli una sostanziale inadeguatezza rispetto alla figura più grandiosa e guerriera (ma non meno odiata) del padre Carlo I. La letteratura toscana, tuttavia, esaltò anche la generosità di Carlo II, forse per enfatizzare polemicamente la supposta avarizia del figlio Roberto.
In 17 febbraio 1309, tre mesi prima di morire e già malato, Carlo II cedette la Contea del Piemonte al figlio Roberto, erede al trono angioino.
Vedi scheda famiglia d’Angiò.
Per un primo approccio si rimanda a di G. M. Monti, La dominazione angioina in Piemonte, Torino 1930, ad Indicem. Vedi anche: la voce d’Angiò, Carlo II, a cura di A. Nitschke, in DBI, 20 (1977), pp. 227-235 (con dettagliato elenco delle fonti e della bibliografia di riferimento); A. Barbero, Il mito angioino nella cultura italiana e provenzale fra Duecento e Trecento, Torino 1983, pp. 121-127; Gli Angiò nell’Italia nord-occidentale (1259-1382), a cura di R. Comba, Milano 2006, passim. Vedi poi la bibliografia generale sotto la scheda dedicata alla famiglia d’Angiò.