di:
Giovanni Ciccaglioni
1316-1378
Pisa, Lucca: 1355-1362
Pisa, Lucca.
Carlo era figlio di Giovanni, conte di Lussemburgo, re di Boemia dal 1311 al 1346.
Carlo divenne signore di Pisa nell’ambito delle lotte di fazione che segnarono gli ultimi mesi del regime di Francesco Gambacorta. Francesco era divenuto leader della pars dei Bergolini nel 1351, quando aveva raccolto l’eredità politica dello zio Andrea. Ai Bergolini si contrapponevano i Raspanti (cfr. scheda Della Rocca, Tinuccio). Il semplice annuncio di una possibile discesa in Italia di Carlo, ipotesi che iniziò a circolare nel 1354, riaccese le lotte tra le due fazioni. Quando tale possibilità si concretizzò, sul finire dell’anno, gli uomini vicini al Gambacorta tentarono un abboccamento con il futuro imperatore per ottenere garanzie per la stabilità del proprio regime. Le ripetute elargizioni di danaro, attinto alle casse comunali, non ottennero, però, lo scopo desiderato, o meglio, Carlo, una volta fatto il suo ingresso in città, il 18 gennaio 1355, disattese le aspettative dei Bergolini e inaugurò una politica ora a favore di una pars ora dell’altra. In tale contesto, per garantirsi il favore del re dei Romani, entrambe le fazioni, separatamente l’una dall’altra, gli offrirono la signoria sulla città, con la – non tanto – segreta speranza di vedere i propri uomini insigniti del titolo di vicari del dominus. Tra il 20 e il 22 di gennaio, Carlo ottenne il governo di Pisa, ma, anche questa volta, deluse le speranze dei Pisani, poiché di lì a poco nominò propri luogotenenti e vicari due aristocratici tedeschi.
Di fatto Carlo non governò mai in prima persona Pisa, ma già poche settimane dopo essere stato insignito del titolo di signore, partì alla volta di Roma per cingere la corona imperiale, lasciando in città un vicario. Tra marzo e maggio del 1355 ebbe luogo la prima luogotenenza di Marquardo di Randeck. Questi, dopo una breve permanenza in città del neo imperatore, riprese il suo posto, dalla fine di quello stesso mese di maggio a quello dell’anno seguente. Dal 1356 in poi, Marquardo fu sostituito dal nipote Gualtieri di Hochschlitz, che rimase in carica, con brevi intervalli, fino al 1362. I numerosi strumenti di elezione giunti fino a noi - in genere la carica di vicario durava dodici mesi -, consentono di conoscere quali prerogative furono attribuite ai rappresentanti del signore. Forniti del plenum et liberum et merum et mixtum imperium et gladii potestatem, i vicari avevano in primo luogo il controllo sulle truppe mercenarie al servizio del Comune; potevano nominare un proprio vicario che svolgeva le funzioni del conservator boni et pacifici status; potevano assistere ai giuramenti degli ufficiali forestieri nonché ad alcune fasi del meccanismo di elezione degli Anziani stessi. Se queste sono le principali prerogative che, quasi sempre, venivano concesse e rinnovate ai vicari – balie ad hoc potevano essere conferite loro in qualunque momento - , non bisogna pensare che il loro ruolo, il loro margine di azione nella vita politica pisana rimase inalterato per tutto il tempo in cui, Marquardo prima e Gualtieri poi, furono in carica. Al contrario, ciò che emerge dall’analisi dei numerosi documenti pubblici sopravvissuti consente di affermare che vi fu una progressiva costituzionalizzazione, un assorbimento da parte delle magistrature di «popolo» della sfera di azione dei vicari, e dunque dell’imperatore. In altre parole, se all’inizio della signoria di Carlo, il potere imperial-signorile incarnato dai vicari aveva cercato di porsi al di sopra degli organi costituzionali del Comune, col passare degli anni i cives eminenti di Pisa spostarono l’ago della bilancia e la gerarchia dei rapporti di potere in favore delle magistrature comunali. Aumentarono, infatti, le limitazioni all’azione dei vicari, così come gli obblighi per i luogotenenti imperiali e di mandare ad esecuzione i provvedimenti emanati dagli Anziani e dai Savi in ambiti che prima erano autonomamente gestiti dai vicari dell’imperatore. Per un breve momento, sul finire degli anni cinquanta, Gualtieri sembrò reagire a tale inversione di rotta – le cronache parlano di un suo maggiore attivismo nella vita politica locale -, ma si trattò di tentativi che non portarono a mutamenti strutturali, che non riuscirono a limitare il potere delle magistrature locali.
Come ha notato Roland Pauler, autore dell’ultimo importante studio sull’esperienza di potere di Carlo IV a Pisa, il suo ingresso nella città tirrenica sembrò quasi far rinascere tra i Pisani il mito del «re taumaturgo». Secondo l’anonimo autore della Cronica di Pisa, infatti, p. 217, l’arrivo di Carlo colpì a tal punto la popolazione che una parte di essa si spinse fino ad affermare che questi era l’: «agnello di dDio, ch’era venuto nel mondo per metter li cristiani in pace. La sua aparensa era buona, e quello verno fue molto asciutto pió che mmai fusse per nessuno tenpo. E del mese di giennaio a la ’ntrata ghiacciò l’Arno tutto che lle persone v’andavano suso chome per le vie e per tutto, e févisi suso li fuochi e giocovisi a le braccia e a massaschudo. Li artefici per una ricordanssa vi andonno a fare li loro mistieri: chie vi chucitte scharpette, chie calse, chie capucci, chie vi fecie una cosa, chie un’altra. E ognuno diciea: “Questo tenpo non è senssa grande chagione, questa è cosa fatturata divina ed è fuor di natura”, parea a ognuno fusse uno grande segno che llo ditto inperadore dovesse fare ogni bene. E ogni persona li dava buono nome e buona fama e assai bene isperavano di lui, diciendo che elli era uno santo homo e che lla sua vita era santa e di molta virtude, e che elli digiunava tr dì della settimana, elli diciea | ogni dì l’ore divine come uno relegioso e per divotione in letto quazi non volea dormire, e che elli era lealissimo, santissimo, fortissimo, potentissimo e richissimo e che a llui molto dispiaciea li mali».
La signoria di Carlo IV sulla città di Pisa, esercitata tramite i suoi vicari, ebbe fine nel 1362, quando Gualtieri di Hoschsclitz tornò in Germania. Da quel momento in poi i Pisani ripresero a governarsi autonomamente. Dopo la breve parentesi del governo raspante, 1363, si consumò il quadriennio dogale di Giovanni Dell’Agnello. Nel 1368, nel durante la sua seconda discesa in Italia, Carlo sottopose per pochi mesi Pisa all’autorità di Marquardo di Randeck e Lucca a quella di Gualtieri di Hochschlitz, senza però che vi fosse alcuna devoluzione da parte delle civitates soggette di poteri signorili all’imperatore.
Archivio di Stato di Pisa, Comune, Divisione A, 35-36, 59-65, 74, 123, 126-139, 197, 206; Archivio di Stato di Lucca, Anziani avanti la libertà, 44-46.
Fonti: J. Böhmer, Regesta Imperii VIII. Die Regesten des Kaiserreiches unter Kaiser Karl IV, 1346-1378, a cura di A. Huber, Innsbruck 1877; Ranieri Sardo, Cronaca di Pisa, a c. di O. Banti, Roma 1963; Cronica di Pisa. Dal ms. Roncioni 338 dell’Archivio di Stato di Pisa. Edizione e commento, a cura di C. Iannella, Roma 2005 (Fonti per la storia dell’Italia medievale, Antiquitates, 22).
Studi:
Studi: G. Mancinelli, Carlo IV di Lussemburgo e la repubblica di Pisa, in Studi Storici, 15 (1906), pp. 313-353, 445-502; N. Caturegli, La signoria di Giovanni Dell’Agnello in Pisa e in Lucca e le sue relazioni con Firenze e Milano, Pisa 1921; C. E. Meek, The Commune of Lucca under Pisan rule, 1342-1369, Cambridge Mass. 1980; W. Hölscher, Kirchenschutz als Herrschaftsunstrument. Personelle und funktionale Aspekte der Bistumspolitik Karls IV, Warendorf 1985; M. Tangheroni, Dell’Agnello, Giovanni, in Dizionario Biografico degli italiani, vol. XXXVII; R. Pauler, La signoria dell’ Imperatore. Pisa e l’impero al tempo di Carlo IV (1354-1369), Pisa 1995; M. Tangheroni, Politica, commercio e agricoltura a Pisa nel Trecento, Pisa 2002, (1ª ed. 1973; A. Poloni, Trasformazioni della società e mutamenti delle forme politiche in un Comune italiano: il Popolo a Pisa (1220-1330), Pisa 2004.