di:
Dario Canzian
29 settembre 1325 – 6 ottobre 1393
19/22 dicembre 1350 - 29 giugno 1388
vedi scheda famiglia
vedi scheda famiglia
Viene investito dal Consiglio del titolo di «dominus civitatis».
dopo l’assassinio del padre, Giacomo II, avvenuta il 19 dicembre 1350, F. e lo zio Giacomino furono immediatamente eletti per acclamazione popolare alla signoria. Secondo il Cortusi (p. 128), infatti, in una «publica concione» venne loro affidato, «in signum dominii civitatis», il «vexillum populi». I due prestarono giuramento formale davanti al popolo di Padova il 22 dicembre. Sembra poi che, a causa della gelosia suscitata nello zio dai successi militari di F., nel 1355 Giacomino abbia ordito un piano per assassinare il nipote tramite un sicario. Ma F., venuto a conoscenza del complotto, il 18 luglio di quell’anno fece catturare Giacomino che finì i suoi giorni recluso nella rocca di Monselice. Da quel momento F. governò da solo.
non è chiaro se F. abbia potuto avvalersi del riconoscimento del titolo vicariale già concesso al suo predecessore (v. Giacomo II) o se abbia avuto una specifica investitura. Sappiamo che egli intrattenne ottimi rapporti con Carlo IV di Boemia, splendidamente ospitato da F. nei suoi passaggi in Lombardia (nel novembre 1354), e che conferì sia a Giacomino che a F. l’investitura cavalleresca, con l’impegno «esto bonus miles et fidelis imperii» (Cortusi, p. 138). Pur mancando l’attestazione di un rinnovo della nomina di vicario, il Cortusi definisce comunque F. «in Padua pro sacro imperio vicario generali». Anche in un privilegio concesso a F. dal re Ludovico d’Ungheria, nel 1358, il carrarese viene definito «pro Sacro Romano Imperio civitatis Padue et districtus vicarius generalis» (Cortusi, p. 145). Nel contesto locale, dopo l’acclamazione immediata, la legittimazione formale del potere di F. (Giacomino non viene menzionato) fu sancita da un apposito statuto del 1351 (v. “Principali caratteristiche del sistema di governo”).
Lo statuto di investitura, redatto dal podestà veneziano Marino Falier nel 1351, ma noto da una copia del 1357, assegna innanzitutto al signore il "merum et mixtum imperium et iurisdictionem et liberam bayliam et potestatem in omnibus". Ciò comportava che a F. spettasse la piena potestà di intervenire sugli statuti, e infatti nel1362 predispose un nuovo codice statutario che limitava le prerogative del podestà e dei suoi ufficiali; inoltre, gli competeva il diritto di decidere dei beni pubblici, delle imposizioni fiscali e del loro impiego, senza che le sue decisioni venissero sottoposte al tradizionale sindacato; al signore spettava anche l’esclusivo arbitrio di conferire la cittadinanza. F. poteva inoltre governare tramite mandato, ovvero per decreto a validità immediata in deroga a qualunque provvedimento preesistente (Collodo 2005, p. 26); gli spettavano poi pieni poteri di giustizia, di giurisdizione e di guerra. F. raccolse attorno a sé un gruppo di collaboratori (informal household, secondo la definizione di B.G. Kohl, per cui anche Varanini 1995, p. 46), officiales espressamente destinati all’amministrazione signorile: un referendarius, un protoscriba (e vari scriba), un vicarius domini e vari factores. Il quadro dei collaboratori del signore è ben definito soprattutto a partire dagli anni ’80, quando è attestata la presenza di un Magnificum consilium, o Consilium domini, dotato di una sede, di una sua identità diplomatistica e di un sigillo (Varanini 1995, pp. 46-48). Significativa anche l’attenzione riservata alla cancelleria, dove operarono, tra gli altri, personaggi di grande spessore, come l’istriano Nicoletto d’Alessio e il ravennate Giovanni Conversini (Gallo 1995, pp. 138-153). Anche il sistema fiscale subì importanti revisioni, perché F. mostra di poter disporre di cospicue risorse di liquidità, soprattutto in occasione delle guerre, quando il signore ricorse in misura massiccia al prestito forzoso; ma da non sottovalutare sono anche provvedimenti come l’istituzione della decima sull’eredità e l’elaborazione di nuovi parametri per la determinazione delle imposte dirette, il conio di una specifica moneta d’argento (Varanini 1995, p. 55; Collodo 2005, p. 28).
Le istituzioni comunali, comunque, non risultano del tutto obliterate, ma certo molto ridimensionate nella loro operatività. Le funzioni del podestà appaiano fortemente limitate sia dalle prerogative signorili, sia da quelle del vicarius domini, quest’ultimo coadiuvato da tecnici del diritto e dotato di prerogative formali come la disponibilità di un sigillo proprio. Le convocazioni dei consigli continuano, ma con funzione quasi esclusivamente consultiva o di ratifica (ma nel 1369 il plenum et generalem consilium si riunisce per l’elezione del podestà). Per quel che riguarda i Consigli ristretti, alcuni erano già scomparsi in precedenza (il Consiglio dei Sessanta era stato sciolto in età scaligera); altri, come il consiglio degli Anziani, dimostrano una maggiore vitalità fino alla fine della signoria (Varanini 1995, p. 50).
Sul piano socio-economico va messo in luce innanzitutto l’ intensissimo ricambio sociale che la politica signorile agevolò: il favore del dominus rendeva possibili infatti rapide ascese. Il dinamismo economico, legato alla promozione della manifattura tessile e dei commerci, all’esercizio delle professioni liberali e alla docenza nello Studium, pose le basi per la formazione di nuove fortune e la proiezione di famiglie emergenti di origine locale e straniera (come i marchesi di Soragna) nel firmamento dei grandi casati padovani (Collodo 1990, pp. 329-403). All’organizzazione della produzione e commercio dei panni nell’età di F. conviene riservare qualche attenzione supplementare, perché essa fu oggetto di diversi interventi. Nel 1360 le rendite dell’ufficio della senseria della lana e dei panni furono tolte al comune e concesse a un notaio della cerchia carrarese; nel 1384 poi l’ufficio venne affidato alla corporazione laniera, svincolandolo dal comune, e analogo destino seguì l’ufficio di bolla dei panni. La riforma venne completata mediante il trasferimento del tribunale e della sede dell’arte della lana direttamente nel fondaco dei panni del signore (Collodo 2003, p. 9). La manifattura tessile venne agevolata da F. anche mediante provvedimenti volti a favorire l’immigrazione in città di operatori del settore provenienti dall’esterno. Risale infatti al 1362 un provvedimento con cui si concedeva ai lanaioli (imprenditori e lavoratori) che intendessero trasferirsi a Padova specifici privilegi fiscali; e il conseguente flusso migratorio in città ha lasciato tracce molto significative (Collodo 1990, pp. 329-403). Rilevante anche l’introduzione in città della lavorazione della seta, tramite probabilmente operai specializzati provenienti da Lucca (Collodo 2006).
La prima fase della signoria di F. fu caratterizzata dalla continuità rispetto alla tradizionale alleanza con Venezia, perseguita dai suoi immediati predecessori (si pensi che per un ventennio, tra gli anni trenta e cinquanta, continuativamente i podestà di Padova furono sempre veneziani). In questa collocazione, F. capeggiò nel 1354 una lega militare antiviscontea, ispirata dalla città lagunare. Peraltro, come già detto, il carrarese era in questa fase vicino anche all’impero.
Nel 1356 si verificò il primo cambio di direzione nella politica delle alleanze carraresi. Nel contesto di un vasto conflitto che aveva per oggetto il controllo dell’Adriatico, F. strinse un sodalizio con Ludovico d’Ungheria, impegnato contro Venezia sia nella terraferma veneta, sia a Zara. Fu questo il momento di avvio dei contrasti con il dogado che segnarono l’intero arco della lunga signoria di F.
Dal combinato disposto del favore imperiale e dell’alleanza ungherese F. ricavò comunque nel 1360 il dominio su Feltre e Belluno. Nel contempo F. teneva comunque saldamente Padova all’interno della coordinazione guelfa: supportò il patriarca di Aquileia contro gli Asburgo e i conti di Gorizia, prestò importanti somme al comune di Firenze e a quello di Lucca impegnati nella guerra contro Pisa, e ne fu ricambiato con il conseguimento della cittadinanza fiorentina per sé e la moglie, Fina Buzzaccarini, nel 1370.
I rapporti con Venezia si guastarono del tutto per ragioni confinarie. Nel 1372 F. cercò una vittoria militare contro la potente vicina con l’aiuto del re d’Ungheria e di Genova (Guerra per i confini; Simonetti, pp. 166-193). Sconfitto, vide aprirsi anche un fronte interno, poiché i suoi fratellastri Marsilio e Nicolò, con altri nobili cittadini, cercarono di ordirgli contro una congiura, che venne però scoperta per tempo.
Ancora, pochi anni dopo, nel 1378, F. partecipò ad uno schieramento contro Venezia costituito per l’ennesima volta dal re d’Ungheria, dalla Repubblica di Genova e dal patriarca di Aquileia (Guerra di Chioggia). La pace stipulata tre anni dopo, a Torino, si risolse in una serie di piccoli aggiustamenti territoriali e fiscali. Il Carrarese cercò comunque negli anni successivi di perseguire un suo progetto di egemonia sulla terraferma veneto-friulana stipulando patti con il duca d’Austria (acquisto di Treviso, 1384) e con il patriarca di Aquielia (repressione della rivolta di Udine). Nel settore occidentale, al fine di ampliare lo stato carrarese ai danni della signoria scaligera, si legò a Gian Galeazzo Visconti (1385). La signoria scaligera fu abbattuta, ma F. non ottenne Vicenza, come gli era stato promesso. Era infatti intervenuto nel frattempo un nuovo patto tra il Visconti e la Repubblica di Venezia, che stabilirono di spartirsi il territorio di Padova. Di frone a questa minaccia, nell’impossibilità di ricevere gli aiuti sperati dal patriarca di Aquileia e da Firenze (che aveva optato per la neutralità), F. abdicò a favore del figlio, Francesco Novello. Ciò non valse a salvare la città dall’occupazione, facilitata forse anche dall’affievolimento del consenso interno ai Carraresi, a causa dei sacrifici e delle spoliazioni che il signore di Padova aveva inflitto a molti concittadini per procurarsi le risorse necessarie alle sue guerre.
nel 1359 F. interviene nella scelta del vescovo cittadino, propiziando la traslazione in città di Pileo da Prata (Gallo-Gaffuri, p. 945-946). In generale, la scelta dei vescovi padovani nell’età di F. sortì da scelte condivise tra il signore e la Curia pontificia. Il controllo signorile sulla chiesa locale è evidente nelle investiture operate nel 1371 dal vescovo Elia a favore di F. di molti feudi decimali, oppure nelle tassazioni straordinarie richieste dal vescovo (1363) per la realizzazione di opere pubbliche in città. Vescovi e signore operano poi insieme nell’azione di riforma di enti monastici, di recupero di feudi vescovili, di intervento nella congregazione cittadina del clero (Rigon 2005, pp. 69-81); F., infine, compensò molti suoi fedeli padovani e stranieri facendo loro conferire seggi canonicali con le relative prebende (Collodo 1990, pp. 277-296). Anche la moglie di F., Fina Buzzaccarini, si interessò delle istituzioni religiose cittadine. Fu lei a volere la chiesa dei Servi di Maria (Lorenzoni, p. 113); a Fina si deve anche il progetto di trasformare il battistero cittadino in mausoleo familiare.
Rilevante anche il fenomeno che è stato definito di «solidarietà burocratica» (Gallo-Gafuri, p. 949), che consisteva nell’interscambio continuo tra funzionari appartenenti alla cerchia del vescovo e a quella del signore.
Il controllo delle istituzioni ecclesiastiche da parte di F. si manifesta anche fuori di Padova: Antonio Naseri, vescovo di Feltre e Belluno (1370-1393), città controllate da F. dal 1362 al 1375, faceva parte infatti dell’entourage carrarese.
L’età di F. il Vecchio, e in particolare gli anni compresi tra il 1370 e il 1384, ha lasciato a Padova testimonianze artistiche di primissimo piano, che hanno fatto della città, come è stato scritto di recente, «per un certo periodo, la capitale artistica dell’Italia, forse dell’Europa occidentale» (Kohl 2003, p. 327). Per buona parte, il fervore artistico che si manifestò in città deve essere ricondotto alla committenza dei Carraresi o del loro entourage. Spicca in questo panorama la trasformazione del Battistero cittadino nel mausoleo della famiglia dominante, voluta da Fina Buzzacarini, moglie di F. il Vecchio. Per espressa volontà di Fina, Giusto de’ Menabuoi realizzò nell’edificio il celebre ciclo di affreschi e la grande decorazione della volta. A Fina deve inoltre essere ricondotta anche l’edificazione della chiesa di S. Maria dei Servi (1372). In quello stesso periodo le chiese degli ordini mendicanti ospitarono le sepolture monumentali dei principali collaboratori del signore. Agli Eremitani (dove oggi si trovano le tombe di Ubertino e Giacomo II qui trasferite dopo la distruzione della chiesa dei Domenicani nel 1819) Giusto de’ Menabuoi venne chiamato ad affrescare le cappelle funebri di Teobaldo Cortellieri, ufficiale e diplomatico dei Carraresi morto nel 1370, e del conestabile equestre Heinrich Spisser; Altichiero da Zevio fu invece chiamato ad affrescare la cappella Dotto, di pertinenza della famiglia che fornì ai signori fedeli servitori. Al Santo trovarono poi sepoltura in sarcofaghi esposti e talvolta abbelliti da sculture ed affreschi (anche di Altichiero) altri esponenti della cerchia carrarese, come il fiorentino Manno Donati, il podestà Federico da Lavellongo (morto nel 1373), Nicolò e Bolzanello da Vigonza (presso Padova), Simone Lupi, podestà di Padova e poi di Treviso ai tempi della dominazione carrarese (1385). Ma fu soprattutto la famiglia dei marchesi di Soragna, i Lupi, a finanziare le realizzazioni più spettacolari di questa fase della storia artistica cittadina. Bonifacio Lupi, infatti, commissionò nel 1372 ad Andriolo de’ Santi la realizzazione architettonica della cappella di S. Giacomo, al Santo, affrescata tra il 1377 e il 1379 da Altichiero da Zevio e Jacopo Avanzi. Il cugino di Bonifacio, Raimondino Lupi, fece costruire ed affrescare (sempre da Altichiero) secondo il modello della Cappella degli Scrovegni, l’oratorio di S. Giorgio, annesso al Santo. Le finalità (almeno in parte) celebrative dei committenti e dei signori di Padova sono rese palesi dalla presenza costante dei loro ritratti ‘nascosti’ in tutte queste opere pittoriche (Kohl 2003, pp. 325-327), ma anche nella glorificazione della figura di Carlo Magno e delle sue imprese (cappella di S. Giacomo) come antesignano di Luigi d’Ungheria, alleato carrarese e campione della lotta contro i Turchi (Valenzano, p. 343).
Risale infine all’epoca di F., e precisamente al 1374, l’iniziativa di ristrutturare completamente l’antico castello già ezzeliniano, ubicato nell’immediata prossimità del settore sud occidentale del perimetro murario. L’operazione dotò la città di una fortificazione urbana sul modello di quanto andavano realizzando i Visconti nelle città del loro dominio (a partire da Pavia). L’intervento produsse una netta polarizzazione urbanistica, per cui lo spazio urbano risultò diviso da quel momento in “castello” e “terra”. Il castello era collegato alla residenza carrarese (la cosiddetta “Reggia”, presso la cattedrale cittadina) da un percorso sopraelevato di ventotto arcate, il “traghetto delle mura”, abbattuto nel 1777 (Bortolami 2005, pp. 134-144).
Il più illustre degli intellettuali presenti a Padova durante la signoria di F. fu Francesco Petrarca, il quale, già invitato in città da Giacomo II, tornò a trascorrere gli ultimi anni della sua vita (1370-1374) nel Padovano, in una casa sui colli Euganei (Arquà Petrarca), edificata su un terreno donatogli dal Carrarese. I rapporti tra il signore e il letterato erano del resto molto solidi: a F. il Petrarca aveva indirizzato una lettera molto famosa sul profilo ideale del buon signore, e sempre al Carrarese era stato dedicato il De viris illustribus. Petrarca, infine, svolse anche incarichi diplomatici per conto del signore (Collodo 2006a, pp. 15-17).
Di politica culturale per l’età di F. il Vecchio si può parlare soprattutto a proposito dell’attività svolta dallo staff notarile che operava presso la cancelleria signorile. A questa struttura si deve infatti la messa a punto di un ricco corpus cronachistico, con funzioni di encomio della stirpe dei signori di Padova, peraltro senza che sia mai stata rinvenuta traccia di una vera e propria committenza signorile. Il riferimento è alla raccolta nota come Gesta magnifica domus Carrarensis, composta negli anni compresi tra l’ultimo periodo della signoria di Francesco il Vecchio e la signoria del Giovane. Si tratta di quattro redazioni, due in volgare e due in latino, che forniscono dei ritratti degli esponenti del casato, elaborati sulla base di materiale preesistente composto a partire dal 1370 (due cronache, perdute, una anonima e l’altra compilata dal notaio Bernardo da Caselle). Nel quadro dei compilatori di cronache di età carrarese occupa poi un posto del tutto speciale la figura del notaio Nicoletto di Pietro d’Alessio, un immigrato da Capodistria, che a partire dal 1374 acquisì il titolo di protoscriba o protonotaro carrarese. Il d’Alessio fu autore della cronaca della Guerra per i Confini, guerra,come si è detto, combattuta tra il 1372 e il 1373 contro Venezia. Si tratta da un testo che, pur non nascondendo l’orientamento filo-padovano dell’autore, rifugge da qualunque intento encomiastico nei confronti di F., privilegiando il resoconto documentato e ‘obiettivo’ (Zabbia, pp. 277-317).
Sul piano delle relazioni intellettuali, significativi furono anche i rapporti intrattenuti da F. con il notaio-scrittore Giovanni Conversini, il medico-astrologo Giovanni Dondi dall’Orologio, il giurista Baldo degli Ubaldi, che fu invitato da lui ad insegnare allo Studio di Padova. Infine, non vanno dimenticate le ingerenze di F. e soprattutto dei suoi consiliarii di corte nella scelta dei docenti dello Studium (Gallo 1998, pp. 29-35). A proposito dei rapporti tra signoria e università, va segnalato anche che F. si adoperò per l’apertura del collegio universitario per studenti di diritto canonico e intitolato a Santa Maria de Tournay (Collegio Tornacense).
il consenso e il dissenso rispetto all’operato di F. non si coagulano in parti nettamente contrapposte. Il sistema del consenso si fondava su una rete strutturata secondo il principio della dipendenza patronale dagli uomini della corte di gruppi di amici. Gli episodi di più seria minaccia nei confronti del signore vennero invece dall’interno della famiglia stessa, così come per i suoi predecessori, sia pure con l’aggancio a qualche altro casato illustre e a un potenza straniera come Venezia. Il riferimento è alle congiure ordite rispettivamente nel 1355 dallo zio coreggente (con l’appoggio anche di qualche esponente dell’aristocrazia cittadina come Zambono Dotti), e nel 1373 dai fratellastri di F., Niccolò e Marsilio, in combutta con esponenti della famiglia Forzatè e con Venezia. Il Carrarese poteva comunque contare sul sostegno dei ceti imprenditoriali e intellettuali della città, che non corrispondevano affatto ad un raggruppamento dai confini sociali precisi, ma che aggregava esponenti di diversa provenienza, anche geografica, e uomini nuovi spesso cresciuti all’ombra della signoria. Diverse crepe rispetto a questo quadro si aprirono nell’ultima fase della signoria, a causa dell’intensificarsi della pressione fiscale determinata dalla necessità di finanziare le guerre carraresi. In corrispondenza dell’assedio visconteo sono testimoniate, infatti, ostilità familiari e rivolte.
costante è la condanna da parte delle fonti veneziane. In particolare, il cancelliere cronista Raffaino Caresini ne parla sistematicamente come di un perfido tiranno. Analogo il giudizio del cronista trevigiano primo quattrocentesco Andrea Redusio da Quero, che considerava F. e Antonio della Scala i due tiranni responsabili dell’oppressione in cui si trovava la “Marchia Tarvisina” (Redusio, col. 786). Più articolato, ovviamente, il giudizio del protoscriba di corte, Nicoletto d’Alessio, che nella sua cronaca della guerra per i confini, pur nell’intento di difendere la legittimità della posizione carrarese rispetto alle accuse veneziane, non risparmia critiche al signore, principalmente per la sua mancanza di realismo e l’eccessiva fiducia nella virtù degli uomini (Zabbia, p. 300; Arnaldi-Capo, p. 323); anche la Cronaca carrarese dei Gatari, composta sostanzialmente tra la fine del Trecento e i primi del Quattrocento, mantiene su F. un giudizio complesso: i Carraresi sono «la (...) più magnifica e potente cha tute le altre chaxade», ma le guerre di F. avevano reso tutti i cittadini «strachi di corpy e dela pechunia, sì che volontiera tuti desideravano di mudare signoria per stare in pacie» (Cronaca carrarese, pp. 10, 310, 311).
Il 29 giugno 1388, di fronte alla minaccia viscontea, F. rinunciò alla signoria a favore del figlio, Francesco Novello. Quindi si ritirò a Treviso, dove rimase fino al dicembre dello stesso anno, quando si consegnò al Visconti. Gian Galeazzo lo fece tradurre a Como, dove F. morì nel 1393.
si rimanda in questa sezione innanzitutto alla voce in DBI, XX, 1977, a cura di B.G. Kohl si segnalano inoltre i seguenti contributi: Andrea de Redusiis de Quero, Chronicon Tarvisinum ab anno MCCCLXVIII ad annum MCCCCXXVIII, Mediolani MDCCXXXI (RIS, 1 ed., tomus XIX); F. Ercole, Comuni e Signori nel Veneto (Scaligeri Caminesi Carraresi). Saggio storico-giuridico, in Id., Dal Comune al Principato. Saggi sulla storia del diritto pubblico del Rinascimento italiano, Firenze 1929, pp. 53-118; G. Arnaldi – L. Capo, I cronisti di Venezia e della Marca Trevigiana, in Storia della cultura veneta, 2, Il Trecento, Vicenza 1976, pp. 272-337; L. Lazzarini, La cultura delle signorie venete e i poeti di corte, in Storia della cultura veneta, pp. 477-516; S. Collodo, Una società in trasformazione. Padova tra XI e XV secolo, Padova 1990, parte III, Economia e istituzioni del periodo carrarese (Credito, movimento della proprietà fondiaria e selezione sociale; Lo sfruttamento dei benefici canonicali; La pratica del potere; Signore e mercanti: storia di un’alleanza), pp. 195-403; L. Gaffuri e D. Gallo, Signoria ed episcopato a Padova nel Trecento: spunti per una ricerca, in Vescovi e diocesi in Italia dal XIV alla metà del XVI secolo, a cura di G. De Sandre Gasparini, F.G.B. Trolese, G.M. Varanini, Roma 1990, II, pp. 923-957; G. M. Varanini, Istituzioni, politica e società nel Veneto (1329-1403), in Il Veneto nel medioevo. Le signorie trecentesche, a cura di A. Castagnetti e G. M. Varanini, Verona 1995, pp. 1-123; D. Gallo, Appunti per uno studio delle cancellerie signorili venete nel Trecento, in Il Veneto nel medioevo. Le signorie trecentesche, pp. 125-161; B. Kohl, Padua under the Carrara, 1318-1405, Baltimore-London 1998; D. Gallo, Università e signoria a Padova dal XIV al XV secolo, Trieste 1998; M. Zabbia, I notai e la cronachistica cittadina italiana nel Trecento, Roma 1999; S. Collodo, Padova nel Trecento, in Cultura, arte e committenza nella basilica di S. Antonio di Padova nel Trecento, a cura di L. Baggio, M. Benetazzo, Padova 2003, pp. 1-15; B. Kohl, La corte carrarese, i Lupi di Soragna e la committenza artistica al Santo, in Cultura, arte e committenza, pp. 317-327; G. Valenzano, Fonti iconografiche del ciclo giacobeo, in Cultura, arte e committenza, pp. 335-347; S. Collodo, I Carraresi a Padova: signoria e storia della civiltà cittadina, in Padova carrarese, a cura di O. Longo, Padova 2005, pp. 19-48; A. Rigon, Vescovi e signoria nella Padova del Trecento, in I Carraresi, pp. 69-81; G. Lorenzoni, Urbanistica ed emergenze architettoniche nella Padova carrarese, in Padova carrarese, pp. 95-117; S. Bortolami, Il Castello “carrarese” di Padova tra esigenze di difesa e rappresentazione simbolica del potere, in I Carraresi, pp. 119-144; S. Collodo, La manifattura della seta a Padova durante la signoria dei da Carrara, in “Nulla vita sine musica”. Studi in onore di Giulio Cattin, a cura di F.Bernabei e A. Lovato, Padova 2006, pp. 147171; S. Collodo, Padova al tempo di Francesco Petrarca, in Petrarca e il suo tempo, catalogo della mostra (8 maggio – 31 luglio 2004), Milano-Padova 2006a, pp. 15-26; S. Collodo, Ordine politico e civiltà cittadina a Padova nel Trecento, in Il secolo di Giotto nel Veneto, a cura di G. Valenzano e F. Toniolo, Venezia 2007, pp. 309-333; R. Simonetti, Da Padova a Venezia nel Medioevo. Terre mobili, confini, conflitti, Roma 2009; Guida alla Padova carrarese, supervisione storica di S. Collodo, testi di E. Antoniazzi, F. Businaro, S. Collodo, Vicenza 2011.