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Dario Canzian
1264 ca.- 22 o 23 novembre 1324
1318-1324. Ma nel novembre del 1319 la città fu data dal Consiglio al conte Enrico II di Gorizia, e nel settembre del 1321 a Enrico di Carinzia, a nome di Federico d’Absburgo, re dei Romani, pur mantenendo il Carrarese un ruolo predominante in città, tanto da poter designare il suo successore, Marsilio.
Padova e il suo territorio (vedi scheda famiglia)
vedi scheda famiglia. Era figlio di Marsilio di Giacomo.
capitano generale in perpetuo.
Viene eletto il 25 luglio 1318 sotto la minaccia dell’assedio portato alla città di Padova da Cangrande della Scala. Secondo il Cortusi, comunque, all’elezione «etiam consenserunt omnes de parte imperii de mandato domini Canis de la Scala» (Cortusi, p. 27; Colle, pp. 29-33).
la sua elezione avviene «in pleno et generali arengo comunis et populi Paduani» e gli atti relativi vengono riprotati nel volumen statutorum del comune. È insomma il comune a delegare a G. il ruolo di signore cittadino.
nell’atto di conferimento del potere G. viene autorizzato dal consiglio ad esercitare pienamente i poteri giudiziari, normativi e fiscali; G. era inoltre titolare del diritto di nomina del podestà e degli ufficiali del comune, che gli prestavano giuramento di fedeltà. Aveva la suprema responsabilità militare e gli competeva la tutela dei cittadini e dello Studio di Padova. Si avvaleva di una familia di collaboratori (giudici e armati) scelti da lui; infine, gli spettava un salario annuo.
ad una prima analisi, G. si colloca nel solco della tradizione guelfa di Padova, soprattutto perché si trova ad affrontare l’espansionismo veronese di Cangrande. In realtà, l’orizzonte degli schieramenti a Padova nella prima parte del XIV secolo è in gran parte determinato dalle rivalità interne al mondo signorile, di cui si possono riconoscere le linee di frattura solo a partire dal secondo decennio del Trecento, quando emergono con maggiore nettezza anche la contrapposizione guelfi-ghibellini e il fenomeno del fuoruscitismo. Va rilevato comunque come i fuorusciti ghibellini, appartenenti in numero significativo a stirpi di antico lignaggio, si allearono solo occasionalmente a Cangrande, che in qualche caso, peraltro, non risparmiò i loro castelli. Per contro, G. arrivò a concordare con Cangrande un patto matrimoniale riguardante i rampolli delle due famiglie. Nel contempo G. fu anche promotore dell’allenza militare con il conte di Gorizia, prima, e di Enrico di Carinzia-Tirolo, dopo, in qualità di vicari del duca d’Austria, Federico, sedicente re dei Romani.
Sposò Elisabetta Gradenigo, figlia del doge Pietro, e il matrimonio gli valse la cittadinanza veneziana intus e extra.
I Carraresi erano legati almeno dal 1027 al monastero di S. Stefano da Carrara, nel contado padovano, nella loro area di radicamento patrimoniale. In corrispondenza con l’inizio della signoria il soglio episcopale patavino venne assunto (1318/19) dal nobile romano Ildebrandino Conti, che legò la sua lunga vicenda patavina (morì nel 1353) anche alle strette relazioni con la signoria.
nell’atto di conferimento del potere si stabiliva che G. avrebbe dovuto avere una residenza ufficiale da costruirsi a spese del comune. Ma l’iniziativa venne intrapresa solo in seguito. Nel 1323 venne avviata la costruzione del convento domenicano di S. Agostino, destinato ad ospitare alcune tombe di famiglia carraresi.
non abbiamo notizie precise al riguardo, ma l’atto con cui il Consiglio conferiva i poteri a G. prevedeva anche che egli si adoperasse per la crescita dello Studio e considerasse i docenti e gli studenti «tamquam filios recommendatos». Peraltro, risale al 1321 la seconda migrazione di studenti da Bologna a Padova, evento considerato come conclusivo della prima fase della vita dell’ateneo patavino (Gallo, p. 23).
La crisi militare del secondo decennio del Trecento nella Marca Trevigiana innesca un processo di schieramento e selezione interno al raggruppamento aristocratico padovano: i Carraresi aggregano soprattutto famiglie di origine recente, come i Bibi, i Capodivacca, i da Lendinara. Gli estrinseci contano al loro interno soprattutto famiglie della vecchia aristocrazia, come i da Lozzo, i Maltraversi, i Forzatè, Gaboardo Scrovegni, i Maccaruffi, i Capodilista. Ma la geografia di questi schieramenti risente di una certa variabilità ed appare motivata più da ragioni di competizione socio-familiari (faide, vendette, inimicitie) che da una consapevole adesione di parte. Il racconto del Cortusi rende con efficacia questa concitata incertezza (p. 26): nel 1318 con Cangrande alle porte G., non ancora signore, si pronuncia in consiglio per la ricerca di un accordo con lo Scaligero. A queste parole Maccaruffo Maccaruffi insorge sostenendo che il Carrarese parteggia per l’impero. Il Consiglio adotta la delibera proposta da G. («quasi omnibus annuentibus»), e di conseguenza Maccaruffo con i suoi seguaci attacca e depreda le case dei tractatores pacis (Enrico Scrovegni e Belcaro, dottore in leggi), minacciando anche le case dei Carraresi. G. allora, fatti impiccare alcuni sediziosi e riportato l’ordine, si reca da Cangrande e chiude un accordo che prevede il rientro dei fuorusciti, ovvero Nicola da Lozzo, Marco Forzaté, Rinaldo e Gaboardo Scrovegni, Trailusio Dalesmanini, Gregolo e Odorico di Poiana. Il rientro dei fuorusciti, che il cronista definisce gebellini, provoca la fuga di Maccaruffo, che si rifugia presso Rinaldo d’Este, di cui era parente. Sebbene accolti con tutti gli onori, comunque, i gebellini pensano subito a vendicarsi sui beni e sulle persone di coloro che li avevano costretti ad abbandonare la città, dichiarando di farlo con il consenso di G. Segue una nuova ondata di fuoruscitismo, questa volta di un gruppo nutrito «de parte ecclesie» («illi de Polafrisana, de Terradura, de Maliciis, Ioannes de Campo Sancti Petri, dominus Conradus de Vigontia, abbas Sancte Iustine cum Mussato poeta, eius fratre, et alii»). I superstiti de parte ecclesie a questo punto decidono di eleggere «in dominum civitatis» G., e su questa decisione convergono anche «omnes de parte imperii de mandato domini Canis de la Scala».
: per il cronista vicentino Ferreto Ferreti il carrarese fu «primus Paduanorum monarca» e in quanto tale, col favore della «plebs», ben dispose gli affari cittadini (Ferreti Historia, II, p. 256). Non ostile fu il principale cronista di quei fatti, ovvero il giudice padovano Guglielmo Cortusi, che non esprime mai però un giudizio diretto su Giacomo o sulla signoria, mostrando di accettare questa svolta come una sorta di evoluzione naturale. Naturalmente, l’ampia storiografia tardo trecentesca di matrice carrarese (vedi scheda famiglia da Carrara) è encomiastica.
morte di G.
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