di:
Dario Canzian
inizio XIV sec.-19 dicembre 1350
6 maggio 1345 – 19 dicembre 1350
vedi scheda famiglia
vedi scheda famiglia
il titolo che gli si riconosce è quello di dominus civitatis
il successore designato da Ubertino, consigliato anche dal suo fattore Pietro da Campagnola, era stato Marsilio Papafava da Carrara (noto anche come Marsilietto), appartenente ad un ramo collaterale della famiglia. Marsilietto ricevette quindi il dominium civitatis il 27 marzo 1345. Ma G., nipote di Ubertino, si sentì defraudato del suo diritto, e quindi con l’aiuto di alcuni nobiles il 6 maggio dello stesso anno si introdusse di notte nella dimora di Marsilietto e lo uccise. Quindi, nella stessa notte, fece in modo da assumere il controllo delle piazzeforti del territorio e degli stipendiarii del suo predecessore. Il giorno dopo il Consiglio e i primates elessero G. signore di Padova.
con privilegio imperiale datato 9 giugno 1348 ottenne da Carlo IV di Lusseburgo il titolo di vicario imperiale. Il vicariato non comprendeva però la potestas condendi statuta; inoltre, l’investitura imperiale non fu ricordata negli statuti signorili del 1362 (Varanini, 1991, p. 36). Fu comunque il primo esponente della dinastia a potersi fregiare di questo riconoscimento.
mostrò di avere il pieno controllo del Consiglio, che avallò il suo ‘colpo di stato’ senza frapporre indugio. Intervenne nella vita dello Studio, insieme al vescovo Ildebrandino Conti, per arbitrare questioni interne. Intervenne anche nella composizione del Collegio dei giudici, imponendo nuovi membri in deroga alla consuetudine che attribuiva questa competenza ai gastaldi della corporazione. Trasformò il fondaco comunale del grano in fondaco del signore, assumendo così il controllo del settore economico primario, poiché il fondaco registrava le risorse di cereali, calcolava il fabbisogno, organizzava la produzione e la distribuzione nei mercati del prodotto (1347; Collodo, 1999, p. 61;anche Collodo, 2003, p. 11). Fu il primo della dinastia a tentare di consolidare la permanenza del proprio nucleo familiare alla guida della città, associando al dominio nel 1347 il fratello Giacomino. Testimonianza della forte coscienza dinastica di G. è anche l’iniziativa di coniare un grosso di buon argento, il carrarino, che per la prima volta nella storia della monetazione carrarese reca il simbolo della famiglia.
adottò una politica di buoni rapporti con i suoi vicini più potenti: Mastino della Scala, il marchese Obizzo d’Este e soprattutto la Repubblica Veneta, che lo accolse come suo cittadino con i suoi figli nel 1346. Sotto la signoria di G., infatti, Padova ebbe podestà veneziani; inoltre, G. sostenne militarmente Venezia nelle sue guerre adriatiche (Zara e Capodistria) e contro Genova. Parteggiò attivamente per Carlo IV di Boemia contro Ludovico il Bavaro, ricavandone numerosi vantaggi territoriali nel settore alpino: Feltre, Belluno, la Valsugana (v. scheda famiglia). Ebbe due mogli: la prima, Lieta di Marzio Forzatè, sposata nel 1318, era figlia di un aristocratico padovano; la seconda fu Costanza da Polenta, sposata nel 1341 per volontà del padre Ubertino. Da entrambe ebbe figli maschi e femmine.
la possibilità di disporre liberamente dei canonicati della cattedrale è provata dalla vicenda del Petrarca (v. ‘politica culturale’).
La tomba di G., così come quella del predecessore Ubertino, fu scolpita da Andriolo de’ Santi e collocata nel presbiterio della chiesa domenicana di S. Agostino; alla demolizione di questo edificio, nel 1819, la tomba venne traslata nella chiesa degli Eremitani, dove si trova ancora oggi.
: A G., unitamente al vescovo Ildebrandino Conti, si deve l’invito rivolto a Francesco Petrarca a stabilirsi in città accettando l’investitura di un canonicato (aprile 1349), già appartenuto ad un giovane esponente della famiglia a cui era stato tolto per l’occasione. Ciò valse a G. il giudizio del Vergerio più sotto riportato. È inoltre il primo dei Carraresi ad intervenire nelle questioni dello Studium in qualità di arbitro (1347, cfr. Gallo, p. 39). A G. si deve anche l’avvio della collezione di documenti di famiglia destinata a fornire nei decenni successivi i materiali per le compilazioni cronistiche oggi giunte sotto il titolo di Gesta magnifica domus Carrariensis (Collodo, 2005, p. 44).
tra la fine del del 1345 e l’inizio dell’anno successivo G. dovette fronteggiare una congiura potenzialmente molto seria, ordita da alcuni membri del casato dei da Lozzo, titolari di una signoria di castello sui colli Euganei, e da alcuni loro amici. Scoperti, i collegati vennero tutti pubblicamente giustiziati. G rimase comunque vittima di una congiura, messa in atto nel 1350 da un lontano parente, Guglielmo da Carrara, subito assassinato dai presenti. La sua morte, secondo il Cortusi, lasciò in città un grande compianto.
Pier Paolo Vergerio il Vecchio di lui disse: «modice litterarum doctus extitit, verum doctiores moagnopere dignabatur». Il Petrarca (Familiares, VIII, 5) ne parlava come di un «uomo illustre sotto il quale respira quella città, stanca di tante fatiche». Petrarca fu anche autore degli otto distici elegiaci di encomio che figurano come epitaffio sul sarcofago di G. (v. ‘politica urbanistica e monumentale’). La tragica morte di G. ispirò al Cortusi parole durissime contro il suo assassino, definito uccisore di un «pater et dominus totius civitatis» (Cortusi, p. 128).
nel 1350 viene assassinato
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