di:
Dario Canzian
inizi XIV secolo - 29 marzo 1345
10-21 marzo 1338 – morte
vedi scheda famiglia
vedi scheda famiglia
viene investito dal Consiglio cittadino del dominium civitatis.
Designato successore del cugino Marsilio fin nel patto segreto del 14 luglio 1337 con cui i Carraresi si alleavano con Venezia e Firenze allo scopo di cacciare gli Scaligeri, e ancora indicato al Maggior Consiglio cittadino dallo stesso Marsilio come suo erede nella signoria sul letto di morte (10 marzo 1338), U. subentrò nel ruolo a partire dal 22 marzo 1338
ottenne l’approvazione del Consiglio cittadino, del doge di Venezia e del comune di Firenze (Cortusi p. 89). Ma non ebbe nessuna legittimazione imperiale o pontificia.
sotto il suo breve governo venne emanata un’ampia raccolta statutaria (1339), che ribadiva la concezione patrimoniale del posto in consiglio, dal quale il consigliere poteva essere destituito solo pro homicidio et falsitate; in questo caso la nomina del successore spettava ad un unico membro del consiglio estratto a sorte tra il raggruppamento del quartiere di appartenenza del decaduto. Il numero dei consiglieri viene ridotto a 100. U. Costituì inoltre un apparato di ufficiali, tra i quali è possibile individuare un giudice-vicario e un drappello di notai e mercanti addetti alla gestione della fattoria signorile (Collodo, 2005, p. 25 e 2007 p. 315 nota 17). Non trascurò il controllo del territorio, occupando piazzeforti già sottratte a Padova dagli Scaligeri e cominciò a promuovere la suddivisione amministrativa in podesterie e vicariati, sistemazione che trovò compimento a fine secolo. Avviò opere di arginatura e fortificazione (rocca di Este, 1339); estese poi la rete di navigazione interna facendo scavare un canale tra i centri murati di Este e Montagnana, e rinforzò gli argini del Brenta del Tergola, nel quale si immetteva quella derivazione dello stesso Brenta che consentiva la comunicazione via fiume con Venezia. Anche su consiglio di Pietro da Campagnola, suo vicario, designò come suo successore Marsilio Papafava da Carrara, appartenente ad un ramo collaterale del casato. Marsilio assunse poi il potere il 27 marzo 1345, ma fu assassinato il 6 maggio dello stesso anno da Giacomo II da Carrara.
U. cercò di restituire a Padova un ruolo politico e militare significativo nell’area veneta, approfittando delle difficoltà scaligere. Ottenne da Venezia nel 1339 i centri di Bassano e Castelbaldo, e strinse diverse alleanze con l’intento di acquisire Vicenza, peraltro senza riuscirvi. Non privi di ombre i rapporti con Venezia, che pure aveva agevolato l’insediamento di U. nella signoria padovana e che gli aveva concesso la cittadinanza fin dal marzo 1338. La riconciliazione di U. con Mastino della Scala del 1343 finì infatti per insospettire la Serenissima, che colse il pretesto del coinvolgimento di U. nel tentato assassinio a Venezia del padovano Lemizio Dente, perpetrato nel contesto di una aspra faida famigliare, per bandirlo dal territorio del Dogado. Nel 1340 guidò un drappello di mercenari tedeschi e ‘latini’ contro Malatesta da Rimini, che aveva imprigionato a Mondaino (oggi in provincia di Rimini) Ferrantino de Malatestinis, zio di Anna Malatesta, sposata da U. in seconde nozze. Su consiglio di Marsilio da Carrara, U. aveva sposato in precedenza Giacomina figlia di Simone da Correggio, imparentata con gli Scaligeri, ma il matrimonio era stato sciolto in quanto non sarebbe stato consumato (Cortusi, pp. 100-101).
era vassallo vescovile, ed inoltre inserì due membri della famiglia tra i canonici della cattedrale (Collodo 1990, p. 280). Anche il monastero benedettino urbano di S. Giustina rientrava nella sfera di controllo di U., poiché in quel torno di tempo fu abate il fratello di uno stretto collaboratore del signore (Collodo 2007, nota 18).
è questo uno degli aspetti più significativi della sua azione. U., infatti, completò il riassetto delle mura urbane e fece selciare le strade della città. Infine, portò a compimento il palazzo signorile in prossimità del Duomo, sulla cui torre d’ingresso campeggiava l’orologio di Iacopo Dondi, medico e astrologo. All’epoca di U. viene ricondotto l’unico lacerto conservatosi di quel palazzo (definito impropriamente in età moderna “reggia carrarese”), ovvero una parte del doppio loggiato e la saletta del Guariento. La residenza carrarese venne collegata al vecchio castello già ezzeliniano, ubicato ai bordi sud-occidentali della cinta muraria, da un percorso pensile detto “traghetto delle mura”, sostenuto da ventotto arcate, abbattuto nel 1777.La tomba di U., così come quella del successore Giacomo II, fu scolpita da Andriolo de’ Santi e collocata nel presbiterio della chiesa domenicana di S. Agostino; alla demolizione di questo edificio, nel 1819, la tomba venne traslata nella chiesa degli Eremitani, dove si trova ancora oggi.
ad U. si deve una significativa attenzione alla vita dello Studio. Le riformagioni statutarie del 1339 contengono le norme per l’elezione dei «tractatores», cioè di quella commissione scelta dal Consiglio cittadino che doveva provvedere con i rettori degli studenti all’elezione dei dottori leggenti, anche se non abbiamo notizie sul funzionamento della magistratura. Ma soprattutto ad U. si deve la chiamata presso lo studio di Padova del giurista Ranieri Arsendi da Forlì, poi chiamato alla corte carrarese come consigliere. U., infine, avrebbe mandato a sue spese a Parigi dodici giovani padovani perché si istruissero nelle artes, prima di essere avviati allo studio della medicina (Gallo, pp. 28-30).
subì il tentativo di congiura del padovano Vitaliano Dente (v. sistemi di alleanza). Allo scopo di ingraziarsi il marchese Azzo d’Este, «cuius optabat amicitiam super omnia» (Cortusi, p. 102), riaccolse nelle sue grazie Niccolò e Marsilio Maccaruffi, e Transelgardo de Malitiis, già nemici giurati di Marsilio il Grande. Numerosi erano comunque i nemici interni di U. (i de Flumicello, Odorico da San Lazzaro, Francesco da Vigonza), o comunque quelli che egli, considerandoli tali, punì con le pene più severe. Più che di vero e proprio dissenso politico, si trattava in questi casi di ruggini familiari.
Il Cortusi lo definisce secondo uno stereotipo ricorrente «Magnanimus Ubertinus, amicis fidelissimus, hostibusque durissimus», ma ne segnala anche la «immensa libido», che Dio avrebbe punito infliggendogli all’età di quarantaquattro anni un mortale «morbum virge». Inoltre, in diversi passi della cronaca citata si mette in evidenza la durezza ai limiti della crudeltà di U., come quando il signore ordinò di bruciare una donna e la figlia solo («sola causa») perché queste avevano nascosto nella loro domuncula un omicida (Cortusi, p. 107); o come quando fece uccidere la sorella monaca, sedotta da un religioso, anch’esso ucciso. Giudizi simili sono espressi da Pier Paolo Vergerio il Vecchio. Giovanni Villani lo qualifica come un tiranno, disconoscente ai suoi alleati fiorentini e veneziani che avevano aiutato il casato a reinsediarsi in città.
morte
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