di:
Gian Paolo G. Scharf
1310 circa –1363 luglio 12
Vedi scheda famigliare.
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Signore a vita, con mero e misto imperio.
Alla morte del padre Ranieri, Bartolommeo gli successe senza alcuna difficoltà.
Nel marzo 1355 il C. ottenne dall’imperatore Carlo IV, di passaggio in Toscana, la nomina a vicario imperiale, probabilmente dietro un esborso di denaro.
In confronto al padre, Bartolommeo intervenne piuttosto poco nel regime di governo, sia perché esso era ormai già ampiamente rodato da un venticinquennio di signoria, sia perché il C. fu costantemente impegnato in imprese militari, sia pure a corto raggio. Il Cardini ipotizza che, come già nel caso del padre e dello zio, i primi anni di governo fossero in realtà connotati da un condominio nella signoria del C. con il fratello Jacopo, poi emarginato.
Fin dai suoi primi anni di governo Bartolommeo si distinse da suo padre per aver completamente rovesciato il sistema di alleanze faticosamente creato da quest’ultimo (anche se può darsi che tale rovesciamento fosse già stato nei progetti di Ranieri). Presto intesosi coi Tarlati di Arezzo, entrò nello schieramento ghibellino egemonizzato da questi in Toscana e diretto da lontano dall’arcivescovo di Milano, Giovanni Visconti. In questo quadro rientra anche il richiamo dall’esilio di molti dei congiurati espulsi dal padre. Il grosso delle campagne condotte dal C. fu diretto contro Perugia, ormai predominante nella zona, mentre con Firenze il rapporto fu tiepido, ma senza formali ostilità. Con la pace di Sarzana e la scomparsa dei Visconti dalla scena, Bartolommeo dovette cercare altri protettori e li trovò nei senesi, che vedevano come il fumo negli occhi l’espansionismo perugino, soprattutto ai danni di Montepulciano. Non ostanti ricorrenti tregue e paci con la città umbra, il C. fu per tutto il periodo la sentinella dei senesi nelle guerre che essi condussero contro Perugia. Nel 1360 concluse poi un’accomandigia trentacinquennale con la città della Balzana, che nelle intenzioni doveva mettere la signoria familiare al riparo dalle mire perugine.
Non risulta che il C. abbia esercitato cariche in altre città, per quanto i buoni rapporti con Siena gli fruttassero molti doni e l’investitura cavalleresca.
Dato il carattere del suo governo Bartolommeo fu attivo soprattutto nella cura delle fortificazioni della propria città, continuando tuttavia le iniziative del padre.
Come il padre, Bartolommeo godette di un largo consenso interno, non ostanti alcune misure fiscali dovute alle necessità militari, ma ciò non impedì che il fratello Jacopo cospirasse contro di lui. Anche in questo caso la repressione della rivolta fu abbastanza sanguinosa, ma efficace, dato che non si registrano ulteriori episodi di ribellione.
Dopo dodici anni di signoria Bartolommeo contrasse la peste all’inizio dell’estate del 1363 e morì dopo poco, lasciando la signoria al figlio di primo letto Francesco.
BCC [Biblioteca Comunale di Cortona], Codice Cortonese, mss. 415 (= Imbreviaturae autographae s. Rainaldi Toti nempe filii Christophori notarii Cortonensis, I), 540 (= F. Angellieri Alticozzi, Vite dei Casali); Accademia Etrusca di Cortona, Pergamene.
Fonti: Cronache cortonesi di Boncitolo e d'altri cronisti, a cura di G. Mancini, Cortona, Bimbi, 1896.
Studi: G. Mancini, Cortona nel Medio Evo, Firenze, Carnesecchi, 1897, rist. anast. Roma, Multigrafica, 1969, pp. 195-212; F. Cardini, Casali, Bartolomeo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 21, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1978, pp. 72-5.