di:
Jean-Claude Maire Vigueur
1230-1303.
Giugno 1267-22 agosto 1268.
Senatore di Roma, Enrico di Castiglia porta avanti una politica molto energica o aggressiva di ristabilimento dei diritti del comune sul suo territorio e su numerosi centri e città del Lazio che solo nominalmente avevano, in un momento o nell’altro del passato, riconosciuto l’autorità di Roma. I risultati di tale politica sono difficili da valutare ma non c’è dubbio che Enrico abbia effettivamente realizzato vari interventi militari per ottenere il riconoscimento della supremazia romana.
Enrico. era il quarto figlio del re di Castiglia Ferdinando III (1215-1252). Dotato di qualità fisiche e intellettuali fuori dal comune, partecipa con il padre alla conquista della parte occidentale dell’Andalusia dove ricevette vari feudi. Entra rapidamente in contrasto con il fratello maggiore Alfonso e poi si ribellerà apertamente contro di lui dopo la sua ascesa al trono nel 1252. Nel 1255, lascia la Castiglia per l’Inghilterra dove cercherà, senza successo, di essere associato a progetti, come quello della conquista della corona di Sicilia da parte di un principe inglese, che gli darebbero l’occasione di mettersi in risalto. Nel 1259 decide di recarsi a Tunisi dove gli emiri Hafsidi utilizzano cavalieri cristiani nelle operazione militari volte a riaffermare o estendere la loro autorità su varie parti dell’Africa del Nord. Con i suoi cavalieri spagnoli, Enrico riporta una serie di successi militari e accumula guadagni che investe in imprese commerciali presso mercanti genovesi operanti a Tunisi. Quando Carlo si lancia nella conquista del regno di Sicilia, Enrico gli propose il suo aiuto e gli prestò ingenti somme di denaro, con la speranza di essere ricompensato in un modo o nell’altro. Dopo la morte di Manfredi a Benevento, gli fu addirittura fatto balenare la possibilità di sposare la sua vedova che gli avrebbe portato in dote Corfù ed altre zone dell’Adriatico meridionale. Quando Enrico capì di essere stato abbindolato da Carlo, ne concepì per lui un odio inestinguibile e ripiegò allora sulla carica di senatore di Roma che, nel 1267, gli fu offerta da Angelo Capocci, esponente del partito popolare appena nominato capitano del popolo in seguito a una rivolta contro i due senatori nobili. Sarebbe azzardato attribuire a Enrico il progetto di procedere ad una trasformazione radicale del regime politico in vigore a Roma in modo da diventare il padrone assoluto della città ma pare verosimile che abbia visto nella carica di senatore una base di partenza per la realizzazione di più vaste ambizioni, tutte comunque volte alla creazione di una vasta dominazione territoriale.
Senatore. Non conosciamo la durata del mandato conferito a Enrico né se ci fu un atto di rinnovo formale dopo il primo anno di esercizio della carica.
Nominato senatore di Roma su proposta del capitano del popolo, probabilmente dal consiglio generale del comune.
L’elezione di Enrico viene ratificata dal papa Clemente IV, probabilmente con la speranza che Enrico lo aiutasse a porre un freno alle usurpazioni di Carlo.
La totale scomparsa dell’archivio comunale non consente di sapere quali furono le eventuali modifiche portate da Enrico al sistema di governo allora in vigore a Roma. Non sappiamo neppure se Angelo Capocci conservò la sua carica di capitano e, nel caso l’avesse conservata, come si realizzò la ripartizione dei compiti tra le due principali cariche del comune. Di sicuro il senatore continuò a riunire il consiglio generale che fu allargato a rappresentanti degli artigiani e dei mercanti. Sappiamo anche che Enrico nominò un suo vicario, nella persona del conte ghibellino Guido da Montefeltro, in carica almeno dall’agosto 1267. Secondo Leicht (P.S. LEICHT, Arrigo di Castiglia senatore di Roma, in Studi romani, 1 (1953), pp. 376-394, a p. 363), Enrico avrebbe lasciato al capitano e al vicario la cura delle “cose interne”, riservandosi l’alta politica, cioè la cura dei rapporti con le potenze esterne.
Nemico personale di Carlo d’Angio’, Enrico diede quasi subito chiari segnali del suo schieramento a favore di Corradino e dei ghibellini. Tra l’11 e il 13 novembre, fece arrestare i principali rappresentanti delle grandi famiglie baronali guelfe. Il 18 novembre 1267, il suo vicario fece votare dal Consiglio l’adesione alla lega costituita dalle città ghibelline della Toscana e poco dopo Enrico fu nominato capitano generale della Tuscia per cinque anni con uno stipendio di 10 000 lire pisane. Il comune romano riservò accoglienze calorose agli inviati di Corradino poi a Corradino stesso (22 luglio 1268). Infine Enrico curò personalmente, insieme con Galvano Lancia, l’organizzazione militare della campagna che doveva portare alla battaglia decisiva contro Carlo.
Dopo aver cercato, con tutti i mezzi possibili, di evitare la rottura con Enrico, il papa dovette rendersi all’evidenza e inflisse la scomunica a Enrico il 5 aprile 1268.
Alcune delle iniziative prese da Enrico lasciano chiaramente intravedere un comportamento spregiudicato, per non dire provocatorio, nei confronti del papato e delle chiese romane: riceve il legato di Corradino nel palazzo del Laterano, lui stesso fissa la sua residenza nel palazzo di San Pietro, ordina il sequestro di tesori delle chiese e le somme date in custodia alle chiese da ricchi guelfi.
Nominato su proposta del capitano del popolo, Enrico gode sicuramente dell’appoggio del popolo. Porta avanti una politica di repressione della nobiltà baronale che conferma l’orientamento filo popolare del suo regime. Va inoltre tenuto conto del fatto che alcuni indizi, tra i quali un passo molto esplicito di Saba Malaspina, autorizzano ad attribuire ai ceti popolari sentimenti nettamente filo imperiali, i quali non potevano che giocare a favore di Enrico.
Enrico viene fatto prigioniero nella battaglia di Tagliacozzo (23 agosto 1268), nella quale svolse un ruolo determinante sia nel successo iniziale delle truppe ghibelline sia nella rotta finale.
P. S. LEICHT, Arrigo di Castiglia senatore di Roma, in Studi romani, 1 (1953), pp. 376-394. Niente o poco a aggiungere alla bibliografia allegata alla voce ENRICO di Castiglia, davvero ottima, di N. KAMP, in DBI, 42, Roma 1993, pp. . Per una più ampia contestualizzazione della breve dominazione di Enrico nella più lunga storia del comune di Roma, cfr. J.-C. MAIRE VIGUEUR, L’altra Roma. Una storia di Roma e dei romani all’epoca dei comune, Torino 2011, pp. 299-301.