di:
Tomaso Perani
1275ca. - 16 marzo 1312
1305/6 - aprile 1311 e 10 gennaio 1312 - 16 marzo 1312
Cremona
Vd. Cavalcabò, Famiglia
Sebbene alcuni studiosi lo abbiano indicato come primo della sua famiglia ad avere assunto ufficialmente il titolo di Signore della città, il titolo non sembra si possa ritrovare esplicitamente nella documentazione. Giovanni da Cermenate si riferì al Cavalcabò con l’espressione: «cuius Cremonae pollebat auctoritas, nobilitate gentis divitiarum et armorum copia». Come nel caso del padre Cavalcabò, sembra quindi da escludere l’utilizzo di una titolazione formale.
Guglielmo ereditò la posizione supremazia sul comune Cremonese direttamente dal padre alla morte di questi. Egli entrò infatti in possesso delle enormi ricchezze possedute dal genitore che gli permisero di esercitare il suo dominio sulla città.
Dal punto di vista istituzionale si trattò di una signoria informale. Non vennero create magistrature straordinarie né vennero concessi al signore particolari poteri: l’enorme disponibilità economica del Cavalcabò e il costante bisogno di liquidità da parte del comune erano le condizioni sufficienti perché si attuasse un completo condizionamento da parte di Guglielmo dell’istituzione comunale, che ne cancellava di fatto l’autonomia. Il Cavalcabò non sembrava però interessato ad ottenere un’identificazione tra sé e il comune di Cremona, ma piuttosto preferiva servirsi di quest’ultimo come strumento per ottenere dei vantaggi dal punto di vista personale e dinastico. Emblematica di questo atteggiamento fu la fortificazione di Guastalla del 1310: il signore si impegnò in prima persona nell’impresa militare della conquista del borgo e prestò una grossa cifra al comune di Cremona per procedere alla fortificazione di Guastalla, richiedendo però cospicue garanzie. Il solo scopo dell’operazione era di garantire un saldo controllo sull’area intorno a Viadana, rifugio del Cavalcabò in caso di un rovescio politico, ottenendo anche un ritorno economico grazie agli interessi sulla cifra versata.
Come suo padre, anche Guglielmo fu uno dei principali esponenti della fazione guelfa e come tale partecipò agli incontri promossi da Guido della Torre per preparare una strategia comune alla vigilia della discesa in Italia dell’imperatore. Proprio in queste assemblee il Cavalcabò fu tra i maggiori esponenti della linea che spingeva per la creazione di un fronte comune contro Enrico VII come unico modo per resistere alle aspirazioni di pacificazione dell’imperatore. Nonostante il fallimento della sua strategia e l’allontanamento da altri capi guelfi come Filippone Langosco e Antonio Fissiraga, il Cavalcabò rimase alleato di Guido della Torre con il quale decise di inviare un’ambasceria composta da due frati predicatori ad Enrico nel tentativo di convincerlo delle buone intenzioni della parte guelfa.
Nel periodo confuso della presenza dell’imperatore in Italia, Guglielmo riuscì a rinsaldare la propria alleanza con la lega guelfa e con Bologna e Firenze, a cui si aggiunse per un certo periodo anche Gilberto da Correggio. Fu proprio grazie all’alleanza con i principali centri del guelfismo che il Cavalcabò riuscì a raccogliere forze sufficienti per rientrare in città nel gennaio del 1312 e scacciare i ghibellini locali appoggiati dal vicario imperiale Galeazzo Visconti.
Grazie ad una accorta strategia matrimoniale Guglielmo riuscì inoltre ad imparentarsi, sposandone una figlia, con Supramonte Amati, capo della fazione guelfa alternativa alla sua e cognato del signore di Parma Gilberto da Correggio.
Sul fronte interno il Cavalcabò dovette affrontare l’opposizione del suocero Supramonte Amati, contrario alla linea duramente anti-imperiale del genero. Tuttavia, la sproporzione delle risorse economiche tra i due rendeva velleitario ogni tentativo dell’Amati di far prevalere la propria posizione che infatti rimase minoritaria fino all’arrivo dell’imperatore in città. Fautore di una linea maggiormente improntata al dialogo e svincolato dall’alleanza con i Torriani, Supramonte Amati, insieme ad altri suoi concittadini, si era infatti recato da Enrico VII con le vesti da penitente chiedendone invano il perdono.
Durante il periodo del dominio del Cavalcabò la fazione ghibellina cremonese si trovava in uno stato di irrimediabilmente subordinato. Solo in occasione dell’entrata in città dell’imperatore e del governo dei suoi vicari i ghibellini, guidati da Manfredino Pelavicino e Niccolò da Dovara, ottennero la supremazia sulla città praticando anche epurazioni ai danni delle più importanti famiglie guelfe.
La prima dominazione terminò a causa dell’arrivo in Italia di Enrico VII. Il 4 gennaio 1311 il comune di Cremona prestò giuramento di fedeltà all’imperatore e accettò l’invio di ufficiali in città, ma la cosa durò solo poche settimane. Nel febbraio del 1311 il Cavalcabò fomentò una ribellione contro il vicario imperiale, ma già ad aprile si vide costretto ad una ritirata verso Brescia insieme agli altri capi guelfi che avevano cercato riparo in città, come Guido della Torre. Dopo la capitolazione di Brescia il Cavalcabò si ritirò nei possedimenti feudali della famiglia in quel di Viadana da dove l’anno successivo ripartì il suo tentativo di riprendere Cremona.
Dopo essere tornato in città nel gennaio del 1312, una volta allontanatosi l’esercito dell’imperatore dall’Italia settentrionale, il Cavalcabò venne definitivamente sconfitto a Soncino mentre cercava di debellare la fazione ghibellina al sicuro nel borgo. Fu nel corso di questa spedizione che trovò la morte per mano delle milizie inviate da Matteo Visconti.
Vd. Cavalcabò, Famiglia
Cfr. voce Cavalcabò, Guglielmo sul DBI e vd. Cavalcabò, Famiglia