Colle, Bonaccorso detto “Coscetto” dal


di:
Estremi anagrafici:

?-1322.



Durata cronologica della dominazione:

1316-1320.



Espansione territoriale della dominazione:
Origine e profilo della famiglia:

I fratelli Bonaccorso e Cellino, figli del fu Bergo da Colle – Collesalvetti, località oggi in provincia di Livorno dalla quale la famiglia doveva essersi inurbata nella seconda metà del Duecento –, gestivano a Pisa una bottega in cui vendevano lana e pannilana. Essi appartenevano all’Ordine dei mercanti, la corporazione che riuniva i cosiddetti «mercanti di terra», quelli cioè che possedevano una bottega e svolgevano attività di compravendita all’interno della città. I due fratelli avevano presumibilmente ereditato l’attività dal padre Bergo, sul quale non sappiamo nulla, tranne che all’interno della corporazione doveva godere di una certa visibilità, poiché fu console dei mercanti nel 1304. Cellino, fratello di Coscetto, ricoprì la stessa carica nel 1316 e nel 1318. I da Colle, insomma, erano bottegai benestanti, parte di quel ceto medio, piuttosto ampio in una città come Pisa, costituito sostanzialmente da piccoli mercanti e dall’élite del mondo delle Arti. La loro agiatezza e la posizione all’interno dell’Ordine dei Mercanti consentì anche alla famiglia di avere una certa consuetudine con l’anzianato, la magistratura di vertice del comune popolare pisano: il padre Bergo fu anziano nel 1289 e nel 1293, e tra il 1300 e l’avvento di Uguccione della Faggiola – prima quindi dell’affermazione di Coscetto – i due figli giunsero all’anzianato cinque volte, quattro Coscetto e una Cellino.


Titoli formali:

Nessuno.


Modalità di accesso al potere:

Il cronista fiorentino Giovanni Villani attribuisce a Coscetto un ruolo determinante nella guida della sollevazione popolare che il 10 aprile del 1316 pose fine alla signoria di Uguccione della Faggiola su Pisa. Le parole di Villani sembrano confermate dal fatto che il da Colle compare tra gli anziani proprio nel primo collegio nominato dallo schieramento vincitore all’indomani della rivolta, con la partecipazione del conte Gherardo di Donoratico, in quel momento capitano del «popolo». Negli anni successivi il conte esercitò un potere di fatto signorile sulla città, anche se la formalizzazione giunse solo con l’assunzione del titolo di capitano generale nel 1319. Le capacità di aggregazione del consenso dimostrate nella rivolta antiuguccioniana garantirono a Coscetto una posizione di grande visibilità negli anni di Gherardo. Nella cronaca in versi del pisano Ranieri Granchi, testimone oculare degli eventi, quella di Coscetto e del Donoratico è descritta come una vera e propria diarchia, con i due sullo stesso piano, ognuno impegnato a limitare e arginare l’influenza dell’altro, procedendo tuttavia di comune accordo sulla strada della ricomposizione politica e del recupero del consenso, dopo la grave rottura rappresentata dalla signoria di Uguccione della Faggiola.


Legittimazioni:

L’influenza di Coscetto non ebbe alcun riconoscimento formale.


Caratteristiche del sistema di governo:

Dal 1254 il comune di Pisa era un comune di «popolo». L’organo di vertice del comune erano gli anziani del «popolo», che erano dodici, tre per ogni quartiere della città, e rimanevano in carica due mesi. Il sistema istituzionale prevedeva l’articolazione in un consiglio del senato e della credenza, presieduto dal podestà, e un consiglio del «popolo», presieduto dal capitano del «popolo». Tutti i consiglieri, ad eccezione delle rappresentanze delle società popolari e delle corporazioni mercantili e professionali, venivano nominati direttamente dagli anziani.

L’evoluzione istituzionale che caratterizzò gli anni successivi all’allontanamento di Uguccione della Faggiola fu la stabilizzazione delle commissioni di savi, che persero ogni carattere di eccezionalità. Esse venivano ormai convocate con frequenza e regolarità, quasi quotidianamente, si occupavano pressoché di tutte le materie, non più solo di quelle più delicate, e avevano una composizione praticamente stabile. Anche i sapientes, come i consiglieri, erano scelti dagli anziani. Tra il 1316 e il 1319, prima dell’assunzione del titolo di capitano generale, il potere di Gherardo si espresse proprio attraverso la costante partecipazione alle commissioni di savi. Tra i sapientes, accanto al Donoratico – e per lo stesso quartiere, quello di Kinzica –, o in alcuni casi anche in sua assenza, quasi a sostituirlo, compare anche Coscetto.  Fu dunque attraverso le commissioni che anche l’influenza del da Colle trovò una dimensione istituzionale.


Sistemi di alleanza:

Cariche politiche ricoperte in altre citt?:

Legami e controllo degli enti ecclesiastici, devozioni, culti religiosi:

Politica urbanistica e monumentale:

Politica culturale:

Consenso e dissensi:

L’influenza politica di Coscetto derivava dalla sua capacità di farsi portatore delle istanze di quello che proprio in quegli anni anche i cronisti pisani, come quelli fiorentini, cominciano a indicare come il «popolo minuto», cioè il fronte composito formato dagli artigiani, dai piccoli mercanti e dai ceti medio-bassi della città. Il da Colle, grazie al suo carisma, era in grado di mobilitare ampi settori della cittadinanza a sostegno del regime signorile del conte Gherardo di Donoratico, appoggiato anche dalle maggiori famiglie dell’élite popolare. Proprio queste famiglie, tuttavia, guardavano con una certa preoccupazione a una figura come quella di Coscetto, e dopo la morte di Gherardo gli fecero del tutto mancare il loro supporto.

Coscetto diede un contributo fondamentale a sventare due congiure organizzate contro Gherardo, entrambe finalizzate a consentire il ritorno al potere di Uguccione della Faggiola: la prima, nell’estate del 1317, ordita da alcuni membri della famiglia nobile dei Lanfranchi; la seconda, nell’estate del 1319, assai più pericolosa, sempre organizzata dai Lanfranchi, ma con il sostegno esterno di Cangrande della Scala e Spinetto Malaspina. In questa seconda occasione Coscetto provocò una sollevazione popolare a sostegno del Donoratico, che si concluse con l’uccisione dei quattro più autorevoli esponenti dei Lanfranchi.


Giudizi dei contemporanei:

Le cronache pisane trecentesche giunte fino a noi tacciono completamente sulla figura di Coscetto da Colle, che provocava forse loro un certo imbarazzo. Fa eccezione la cronaca in versi del domenicano Ranieri Granchi – appartenente a una famiglia pisana di «popolo», e testimone oculare degli eventi –, della quale il da Colle è grande protagonista.

- Coscetto è figura centrale addirittura nell’epistola prefatoria: «….videlicet nostre civitatis Pisane multa dispendia, casus arduos et periculosus eventus propter civium pisanorum discordias, divisiones, dissentiones et emulationes civium et Coscepti» (R. Granchi, De preliis Tuscie, p. 167).

- Il Granchi descive con chiarezza una situazione di condivisione del potere tra Gherardo (Gaddo) di Donoratico e il da Colle, che in alcuni versi è lapidariamente esplicitata: «Tunc Cosceptus ei [cioè a Gaddo]: “Totum Comune tenemus”» (Ibidem, p. 221); «Hii quoque regnabant: Gaddus, Cosceptus et ipse [Castruccio Castracani, che aveva aiutato i due a sventare la congiura del 1319 attaccando Spinetta Malaspina, che sosteneva i congiurati dall’esterno]» (Ibidem, p. 225).

- Ranieri sottolinea il legame tra Coscetto e il “popolo minuto”. Commentando la fine della fortuna del da Colle dopo la morte di Gherardo: «Urbs bene comunis regitur sine peste minorum [Coscetto, altrove definito anche «ruvida pestis»]» (Ibidem, p. 220).

 

Dedica ampio spazio a Coscetto da Colle il cronista fiorentino Giovanni Villani, che doveva disporre di una fonte pisana andata perduta:

- (Narrando della cacciata di Uguccione della Faggiola nel 1316): «Sì tosto come fu in sul Monte San Giuliano, il popolo di Pisa si levò a romore per soperchi ricevuti … onde fu capo Coscetto da Colle franco popolare » (Villani, Nuova Cronica, X, 78).

-(Raccontando di una congiura ordita nel 1317 da Uguccione della Faggiola per riconquistare il potere): «Il quale trattato fue scoperto, e a grido di popolo, onde Coscetto dal Colle di Pisa si fece capo: col consiglio del conte Gaddo corsono a furore a casa i Lanfranchi che s’intendeano con Uguiccione, e uccisonne quattro de’ maggiori de la casa, e più di loro mandaro a’ confini, e di loro séguito» (Ibidem, X, 86).

- (A proposito dei fatti del 1322): «Istando i Pisani sotto l’arme e in grande sospetto più giorni per le dette divisioni e sette, Coscetto dal Colle popolano, uomo di grande valore e ardire, il quale era stato capo di popolo in Pisa a cacciare Uguiccione dalla Faggiuola, e poi a uccidere quelli della casa de’ Lanfranchi, come adietro ha fatta menzione, e alora era fuori di Pisa per ribello, sentendo le dette divisioni in Pisa per certi trattati di suoi amici d’entro, venia in Pisa per mutare stato a la città…; essendo fuori di Pisa assai presso a la città…, un suo compare e confidente il tradì e l’apostò al conte, il quale a grande furore fu menato preso in Pisa, e sanza altro giudicio fatto, il fé tranare, e tranando tagliato a pezzi, e gittato in Arno. E fatto ciò, la terra si racquetò, e feciono grande festa e processione, e mandaro a’ confini più nobili e popolani de la setta del detto Coscetto» (Ibidem, X, 153).


Fine della dominazione:

Gherardo di Donoratico morì improvvisamente nel maggio del 1320. La sua scomparsa segnò di fatto la fine della fortuna di Coscetto. Subentrò al Donoratico lo zio Ranieri, che assunse il titolo di capitano delle masnade. Da alcuni documenti del settembre dello stesso anno sappiamo che Coscetto e il fratello Cellino, con altri dei quali non si fa il nome, erano stati banditi come proditores et rebelles pisani comunis, avevano abbandonato la città e i loro beni erano stati confiscati. Essi erano stati probabilmente accusati di avere organizzato qualche congiura o sollevazione contro il nuovo signore, ed è possibile che in effetti i due, con alcuni seguaci, avessero cercato di uscire dall’angolo nel quale la morte di Gherardo li aveva costretti. In ogni caso, la loro condanna era chiaramente legata all’ostilità del nuovo signore per una figura molto scomoda come era stata quella di Coscetto. Il da Colle fu abbandonato al suo destino dalle più influenti famiglie dell’élite popolare, che sostennero Ranieri così come avevano già sostenuto Gherardo.

Nel maggio del 1322 la città fu sconvolta da gravi tumulti popolari che misero in serio pericolo il dominio del Donoratico. Alle rivolte interne si aggiunsero le pressioni esterne di Castruccio Castracani, giunto quasi alle porte della città. Coscetto tentò di approfittare della difficile situazione per rientrare in città e recuperare la sua posizione. Egli fu però catturato e, secondo il racconto di Villani, fatto a pezzi e gettato in Arno. Il rito crudele sancì la riconciliazione cittadina, festeggiata con una solenne processione, e il consolidamento della signoria di Ranieri.


Principali risorse documentarie:

Per gli anni di Coscetto da Colle si sono conservati presso l’Archivio di Stato di Pisa due registri contenenti le Provvisioni degli anziani e le deliberazioni del consiglio del «popolo»: Comune A 86, novembre-dicembre 1316, Comune A 87, marzo-aprile 1319. A questi si aggiunge, fondamentale per comprendere il ruolo assunto con Gherardo di Donoratico dalle commissioni di savi, un registro di Provvisioni dei savi e deliberazioni del consiglio del senato e della credenza: Comune A 48, primo semestre del 1318. Resta fondamentale anche per questa fase il Breve Vetus (vedi bibliografia), l’elenco dei componenti di tutti i collegi anzianali dal 1288 alla conquista fiorentina. Notizie sulle attività economiche dei da Colle si trovano invece nelle pergamene dei fondi diplomatici dell’Archivio di Stato di Pisa.


Bibliografia delle edizioni di fonti e degli studi:

Fonti: Breve Vetus seu Chronica Antianorum civitatis Pisarum, a cura di F. Bonaini, in «Archivio storico italiano», VI/2 (1848), pp. 647-779; H. Finke, Acta Aragonensia. Quellen zur deutschen, italienischen, französischen, spanischen, zur Kirchund Kulturgeschichte, aus der diplomatischen Korrespondenz Jaymes II. 1291-1327, 3 voll., Berlin-Leipzig 1908-1922; Cronaca di Pisa di Ranieri Sardo, a cura di O. Banti, Roma 1963; G. Villani, Nuova cronica, edizione critica a cura di G. Porta, 3 voll., Prma 1990-1991; Cronica di Pisa, a cura di C. Iannella, Roma 2005; R. Granchi, De preliis Tuscie, a cura di M. Diana, Firenze 2008.

Studi: G. Rossi Sabatini, Pisa al tempo dei Donoratico. 1316-1347, Firenze 1938; E. Cristiani, Nobiltà e popolo nel Comune di Pisa. Dalle origini del podestariato alla signoria dei Donoratico, Napoli 1962; M. Ronzani, “Figli del Comune” o fuoriusciti? Gli arcivescovi di Pisa di fronte alla città stato tra la fine del Duecento e il 1406, in Vescovi e diocesi in Italia dal XIV alla metà del XVI secolo, Atti del VII convegno di storia della Chiesa in Italia, a cura di G. Desandre, A. Rigon, F. Trolese, G. M. Varanini, Roma 1990; A. Poloni, Trasformazioni della società e mutamenti delle forme politiche in un Comune italiano: il Popolo a Pisa (1220-1330), Pisa 2004.


Apporti nuovi di conoscenza:

Note eventuali: