di:
Alma Poloni
?-1325.
1310-1313.
Bonturo proveniva da una famiglia di livello sociale basso, che non ha lasciato alcuna traccia nella pur ricca documentazione lucchese. A conferma delle umili origini del mercante c’è anche il fatto che egli fosse privo di un vero e proprio cognome: Dati era infatti soltanto un patronimico. Del suo ambito familiare sappiamo solo che aveva un fratello, di nome Vanni, suo socio in affari.
Nonostante la sua provenienza sociale, Bonturo fece fortuna sfruttando le molte opportunità offerte dal contesto economico dei decenni a cavallo tra Due e Trecento. Egli infatti, contrariamente a quanto tramandato dalla tradizione, non era un bottegaio o un piccolo mercante locale, ma un mercante internazionale di alto livello, tra gli operatori più brillanti di Lucca. La sua attività è attestata dagli anni ’80 del Duecento, prima all’interno di una società commerciale nella quale erano impegnati altri vivaci imprenditori lucchesi, poi, dal 1304, in una nuova compagnia, che egli fondò insieme al fratello Vanni e a due soci dell’azienda precedente. L’attività principale di entrambe le società era l’importazione da Genova di seta greggia, materia prima indispensabile per l’industria serica, settore nel quale Lucca era leader in Europa. Le due compagnie esportavano inoltre in area francese, in particolare a Parigi e alle fiere della Champagne, grandi quantità di tessuti di seta prodotti nella città natale. Completava il quadro degli affari di Bonturo e dei suoi soci un’intensa attività di cambio sulle fiere della Champagne, che a Lucca costituiva la principale forma di finanziamento dell’industria della seta.
Nessuno.
Bonturo fu uno dei principali esponenti di uno schieramento politico composto da numerose famiglie mercantili, in prevalenza di origine recente ma in forte ascesa economica, che, attraverso l’alleanza con gli artigiani e i ceti medio-bassi – quello che a Firenze si sarebbe detto il «popolo minuto» - tentarono dai primi anni ’90 del Duecento di ridimensionare il potere delle famiglie che avevano egemonizzato l’anzianato nei decenni precedenti. Bonturo e il fratello Vanni, infatti, ricoprirono in più occasioni la carica di priori delle società delle armi, magistratura creata da questo schieramento nel 1292 per ridurre il ruolo istituzionale degli anziani. L’ascendente del D. andò ulteriormente aumentando dopo il 1301, quando l’allontanamento dalla città della fazione avversa – in genere identificata, con terminologia importata da Firenze e Pistoia, con i «guelfi bianchi» - lasciò il potere nelle mani delle famiglie che avevano promosso la fondazione del priorato. La parte vittoriosa, anche per la sua vicinanza e il sostegno ai guelfi neri fiorentini, è comunemente identificata con i neri, anche se le due etichette, bianchi e neri, non si trovano né nella documentazione né nella cronachistica lucchese.
Secondo il racconto di Giovanni Sercambi, nel 1310 Bonturo, insieme ad altri due personaggi, Cecco dell’Erro e Picchio caciaiolo – entrambi attestati tra i priori degli anni precedenti –, promosse l’affermazione di un regime popolare radicale portando al potere il «popolo minuto». Secondo il cronista, il colpo di mano sarebbe avvenuto attraverso l’espulsione dalle società armate popolari di varie famiglie mercantili di «popolani grassi», le stesse che negli anni precedenti avevano condiviso l’avventura politica del D. L’esclusione dalle società comportava di fatto l’impossibilità di accedere al priorato, che in questo modo sarebbe stato egemonizzato da Bonturo, dai suoi sodali e dal «popolo minuto».
La posizione di Bonturo non fu riconosciuta da alcuna legittimazione formale. Tuttavia, oltre al racconto di Giovanni Sercambi, altre fonti narrative, in particolare di ambiente pisano, confermano l’ascendente determinante che il D. esercitò sulla politica lucchese tra il 1310 e il 1313.
Dagli anni ’60 del Duecento Lucca era un comune di «popolo». Il vertice istituzionale era rappresentato dagli anziani del «popolo», che erano nove, presumibilmente due per ognuna delle quattro circoscrizioni nelle quali era divisa la città – le porte – più uno per il Borgo di San Frediano. Al consiglio generale del comune, convocato dal podestà, si affiancò un consiglio del «popolo», convocato dal capitano del «popolo» e formato dagli anziani, dai capitani e consiglieri delle Arti e dal consiglio generale del popolo, i cui membri, dei quali non conosciamo il numero, erano probabilmente scelti dagli anziani.
Nel 1292 fu creata una nuova magistratura popolare, i priori delle società delle armi, che erano diciassette, uno per ogni societas, e a quanto pare venivano eletti dagli iscritti alle società stesse. I priori furono ammessi a partecipare ai consigli cittadini nel 1295. Nel 1300 avvenne un mutamento istituzionale di importanza cruciale. I priori ottennero di affiancare gli anziani, sullo stesso piano, in tutti gli affari politici, e di condividerne tutti i poteri. Tutte le funzioni che fino a quel momento erano riservate agli anziani furono da allora svolte dai «collegia anthianorum et priorum». Quando i due organi si riunivano in sessione congiunta i priori, per ragioni numeriche, avevano assicurata la maggioranza. I priori erano l’espressione di un fronte politico fondato sull’alleanza tra il «popolo minuto» e un gruppo di famiglie mercantili che si stavano imponendo in quegli anni, e che pochi mesi dopo, nel gennaio del 1301, avrebbero espulso lo schieramento avverso dei bianchi rimanendo alla guida del comune. L’ascesa politica di Bonturo è strettamente legata a queste vicende e in particolare all’imposizione istituzionale dei priori.
La parte politica che prese il potere a Lucca nel 1301 – alla quale si fa in genere riferimento, con terminologia non lucchese, come alla parte nera – era cementata da una fitta trama di legami matrimoniali, nella quale anche Bonturo era ben integrato. Una delle figlie, Bartolomea, sposò Dino Opizi, esponente della più potente famiglia aristocratica di parte nera. Come è noto, la reazione popolare che all’inizio del 1301 portò all’allontanamento della fazione avversaria fu scatenata dall’uccisione, da parte di alcuni esponenti dei bianchi, del giudice Opizo Opizi. Un’altra figlia del D., Chiara, sposò Vanni Asquini, membro di una delle principali famiglie popolari nere che si esprimevano nel priorato.
Nel 1304 il comune di Firenze chiese ai lucchesi di aiutare le autorità cittadine a sedare i gravi disordini scoppiati in città a causa della insubordinazione di alcune famiglie magnatizie. Il podestà, il capitano del «popolo», gli anziani e i priori di Lucca nominarono una commissione di sedici cittadini che fu inviata nella città alleata per cercare di risolvere la situazione. I lucchesi ebbero una balìa generale dal comune di Firenze, e con i grandi poteri concessi loro riuscirono a porre fine alle violenze, anche se si trattò di una pace temporanea. Facevano parte della commissione gli esponenti più in vista dello schieramento al potere a Lucca, tra i quali anche Bonturo.
Bonturo fu, secondo il racconto dei cronisti pisani, il più influente degli ambasciatori lucchesi inviati a Quosa nel 1313 per partecipare alle trattative di pace tra Pisa e le città toscane della lega guelfa, e il vero responsabile della linea adottata in quell’occasione da Lucca (vedi voce fine della dominazione).
- Dante Alighieri nell’inferno riserva al D. una frecciata ironica, di non facile interpretazione per noi. Parlando di Lucca il poeta scrive: «ogn’uom v’è barattier, fuor che Bonturo; / del no per li denar vi si fa ita» (Inferno, XXI, 34 e sgg). È possibile che Dante alludesse proprio alla demagogia del D., il quale probabilmente cercava il consenso accusando la classe politica della sua città e sottolineando la propria diversità («fuor che Bonturo»).
- Giovanni Sercambi, che utilizza cronache lucchesi più antiche che non sono giunte fino a noi, scrive che «l’anno di MCCCX fun signori di Luccha lo populo minuto e tolseno la signoria a’ grandi», e specifica «di ciò si fenno chapi Bonturo Dati, Picchio chaciaiuolo e Ceccho dell’Erro» (Le croniche di Giovanni Sercambi, p. 57).
- Le cronache pisane ricordano Bonturo in relazione all’episodio di Quosa del 1313 (vedi voce fine della dominazione). Nella narrazione esse mettono bene in luce sia la notevole influenza politica del D., che di fatto guidava le negoziazioni per la sua città, sia, nella risposta insolente che spinse i pisani a vendicarsi, la sua grande arroganza. Secondo la Cronica di Pisa Uguccione della Faggiola, quando gli fu riferita la risposta di Bonturo, commentò: «or son ben li lucchesi montati in grande superbia!». Lo stesso cronista racconta la rivolta popolare contro Bonturo in seguito alle scorrerie dei pisani, che i lucchesi imputarono al comportamento poco assennato del capopopolo. La cronaca di Ranieri Sardo riporta anche le parole che i lucchesi avrebbero detto a Bonturo: «Bonturo ce ài lo chore feruto, / poi che [à] pisani mostra[s]ti lo specchio / ma lloro ce l’anno posto si presso, / che mai nel mondo tu non fossi venuto!».
Secondo il racconto dei cronisti pisani, Bonturo guidava la delegazione lucchese inviata a Quosa nel settembre del 1313 per partecipare alle trattative per la pace tra Pisa e le città toscane della lega guelfa. I pisani chiesero ai lucchesi la restituzione dei castelli di Avane, Asciano e Buti, che erano stati loro sottratti nel 1287. Il D. non solo non acconsentì alla richiesta, ma rispose in toni estremamente insolenti. Per ritorsione, nei due mesi seguenti l’esercito pisano devastò il contado lucchese, giungendo fino alle porte della città. La Cronica di Pisa narra che i lucchesi attribuirono a Bonturo, proprio a causa della sua grande visibilità politica, la responsabilità dell’umiliazione, gli si rivoltarono contro e si precipitarono a casa sua per farlo a pezzi; ma egli era riuscito a fuggire.
Al di là del gusto per l’aneddoto, il racconto allude a un mutamento del clima politico lucchese e al tramonto dell’ascendente del D. Di lì a qualche mese infatti, a maggio del 1314, Lucca siglò una pace con Pisa che comportava il rientro dei fuoriusciti di parte bianca. A giugno Uguccione della Faggiola signore di Pisa con l’appoggio di Castruccio Castracani, anch’egli rientrato a Lucca con gli altri bianchi, conquistò la città, costringendo all’esilio gli esponenti più in vista della parte nera, tra i quali anche Bonturo, che visse prima a Genova e poi, fino alla morte, a Firenze.
Per il periodo che ci interessa la documentazione pubblica lucchese è andata totalmente perduta, secondo la tradizione distrutta in occasione delle devastazioni delle truppe di Uguccione della Faggiola nel 1314. Molto ricca è invece la documentazione privata conservata presso l’Archivio di Stato di Lucca, nei fondi del diplomatico e soprattutto nelle imbreviature dell’Archivio notarile. Dettagliate informazioni sulle attività commerciali e finanziarie delle società in cui operò il D. vengono in particolare dai registri del notaio Rabbito Toringhelli, che nei primi decenni del Trecento rogò per le principali compagnie lucchesi. Il diplomatico è ora in gran parte consultabile on line dal sito dell’Archivio di Stato di Lucca.
Fonti: Le croniche di Giovanni Sercambi, lucchese, a cura di S. Bongi, 3 voll., Lucca 1892; Tholomei Lucensis Annales, a cura di B. Schmeidler, in MGH, SS, n. s, t. VIII, Berlin 1930; Cronaca di Pisa di Ranieri Sardo, a cura di O. Banti, Roma 1963; Cronica di Pisa, a cura di C. Iannella, Roma 2005, pp. 62-65.
Studi: F. P. Luiso, L’Anziano di S. Zita, in Miscellanea lucchese di studi storici e letterari in memoria di S. Bongi, Lucca 1931, pp. 61-91; R. Piattoli, I personaggi danteschi lucchesi Bonturo Dati e Alessio Antelminelli, in Miscellanea in memoria di G. Cencetti, Torino 1973, pp. 389-407; V. Tirelli, Sulla crisi istituzionale del Comune a Lucca (1308-1312), in Studi per E. Fiumi, Pisa 1979, pp. 317-360; M. A. Nigido, voce Bonturo Dati, in DBI,..; I. Del Punta, Mercanti e banchieri lucchesi nel Duecento, Pisa 2004; A. Poloni, Strutturazione del mondo corporativo e affermazione del Popolo a Lucca nel Duecento, in «Archivio storico italiano», CLXV (2007), pp. 449-486; Ead., Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale, Pisa 2009.