di:
Giovanni Ciccaglioni
1284 circa-1320
Vedi scheda famigliare.
Vedi scheda famigliare. Gherardo era figlio di Bonifazio di Gherardo.
Capitaneus pisani populi. capitano della masnada di Pisa.
Gherardo di Donoratico ascese ai vertici della politica pisana sostenendo le principali famiglie del populus pisano – Bonconti, Scacceri, Cinquina, Agliata, Gambacorta - quando queste guidarono la congiura, presto tramutatasi in rivolta, che, nell’aprile del 1316, pose fine all’esperienza di dominio signorile sulla città di Uguccione Della Faggiola. Quest’ultima durava ormai dal marzo del 1313, e negli ultimi mesi aveva assunto un tono di sempre maggior asprezza nei confronti delle famiglie di mercatores pisani, il cuore e la guida del populus locale. La condanna e l’uccisione del leader Banduccio Bonconti e di suo figlio Vanni aveva definitivamente incrinato i rapporti tra il grande condottiero ghibellino e le famiglie eminenti del «popolo».
Per l’ascesa della famiglia ai vertici della vita politica pisana cfr. scheda famiglia Della Gherardesca.
Gherardo ricoprì la carica di capitano del «popolo» tra l’aprile e il giugno del 1316, subito dopo la cacciata di Uguccione della Faggiola. Alcune cronache affermano che egli, dal 1319, detenne anche la carica di capitano della masnada a cavallo del comune, quella di difensore del popolo e quella di gonfaloniere di giustizia. Di nessuno di questi titoli vi è alcun riscontro documentario e per ciò che concerne l’ultimo, in particolare, notiamo che si tratta di una terminologia estranea alla cultura politica del populus pisano.
Tuttavia, non da titoli formali Gherardo trasse la principale forma di legittimazione per la propria egemonia in città, ma dalla costante partecipazione alla commissioni di sapientes che affiancavano gli Anziani del «popolo» nel governo di Pisa. Negli anni in cui Gherardo fu ai vertici della vita politica locale, tali commissioni aumentarono d’importanza in seno ai processi decisionali locali: iniziarono a essere convocate con sempre maggiore regolarità; la loro composizione si fece progressivamente più stabile; furono varate modifiche nella prassi di verbalizzazione delle sedute (cfr. Principali risorse documentarie); il nome di Gherardo figurò quasi sempre nell’elenco dei partecipanti. Tuttavia, all’interno delle commissioni Gherardo non dispose mai di strumenti legali per far prevalere il proprio parere. Egli poteva condizionare le decisioni finali solo in virtù dell’ascendente proprio e di quello che gli derivava dai trascorsi famigliari.
Ai primi del Trecento la città di Pisa era retta da un Comune di «popolo». Il fulcro del potere e il vertice istituzionale del Comune era rappresentato dai dodici Anziani del popolo. Essi erano eletti ogni bimestre in base a un meccanismo elettorale, articolato su più fasi, che era stato voluto, progettato e imposto dalle più importanti famiglie di mercatores nel 1307. Tale riforma aveva posto fine a una lunga stagione, che si era protratta fin dall’avvento del «popolo» a Pisa, nel 1254, durante la quale le due principali componenti sociopolitiche popolari, mercanti e artigiani, avevano agito su un piano formale parità, tanto che non era mai stata varata una procedura elettorale degli Anziani che potesse favorire un gruppo o l’altro. Nella loro azione di governo gli Anziani erano coadiuvati da commissioni di sapientes, i cui componenti, che variavano nel numero a seconda degli argomenti in discussione, appartenevano tanto alla nobiltà che al popolo. A quella altezza cronologica i margini di azione istituzionale del podestà e quella del capitano del popolo avevano subito una forte limitazione. Allo stesso modo, anche i consigli civici, il consiglio maggiore e generale del Comune, il consiglio del senato e della credenza, il consiglio del «popolo», avevano visto fortemente ridimensionati i propri poteri e si stavano trasformando in assemblee incaricate di ratificare decisioni prese dagli Anziani e dai sapientes.
Con Gherardo il Comune di Pisa inaugurò una fase di progressivo smarcamento dall’ala più intransigente della rete peninsulare di alleanze ghibelline, in favore di una politica di pacificazione con le forze guelfe, capeggiate in quegli anni da Roberto da’Angiò. Sotto l’egida di quest’ultimo, a Napoli, il 12 maggio 1317, i Pisani ratificarono un trattato di pace con le città guelfe toscane, che, tuttavia, non produsse uno spostamento del baricentro politico pisano su di un fronte filo guelfo. Il ghibellinismo rimase sempre e comunque l’orizzonte di riferimento all’interno del quale i Pisani condussero la propria politica estera. Una parte della nobiltà locale era però propensa a mantenere i rapporti con Uguccione e i suoi potenti sostenitori stranieri - gli Scaligeri su tutti. Al contrario, i mercatores populares, sostenuti da Gherardo, propugnavano scelte che non intralciassero troppo la penetrazione dei propri capitali nelle aree di influenza angioina, prima tra tutte il meridione continentale della penisola. Tali differenze di visione furono una delle ragioni dietro le congiure che segnarono gli anni di dominio di Gherardo. Nel 1317 Pisa, comunque, appoggiò Castruccio Castracani, signore di Lucca dal 1316, nelle sue mire espansionistiche verso la Lunigiana.
Gherardo apparteneva a una delle famiglie più importanti dell’aristocrazia territoriale toscana, ma trovò il massimo dei consensi e degli appoggi tra le fila del populus, tanto tra le famiglie eminenti, quelle che, come abbiamo visto, capeggiarono la rivolta anti Uguccione, quanto tra gli strati più bassi. Questi ultimi, in realtà, non avevano fatto mancare il proprio supporto neanche al Faggiolano. Uguccione, con la politica espansionistica che aveva impresso al comune nel triennio di governo, aveva saputo interpretare gli spiriti più accesi dell’antifiorentinismo e dell’antiguelfismo diffusi tra gli strati più bassi dei cives. Decisivo nel guadagnare l’appoggio di questi ultimi al Donoratico fu Coscetto da Colle, vero e proprio capopolo e trait d’union tra i vari strati del populus.
Proprio Coscetto, nel 1319, guidò la repressione della congiura ordita dalla potente famiglia dei Lanfranchi, tra le principali fautrici del ghibellinismo più intransigente. Quest’ultimo aveva i suoi punti di riferimentionella penisola in Uguccione, desideroso di tornare a Pisa, in Spinetta Malaspina e negli Scaligeri. La congiura prese le mosse dalla richiesta, avanzata dalla famiglia Lanfranchi di far rientrare un proprio congiunto, Vanni Zeno. Egli era stato bandito per aver già ordito una congiura,nel 1317, che aveva avuto come obiettivo il rientro di Uguccione. Il tentativo di far tornare in città i congiurati del ’17 fu interpretato da molti come un espediente per rovesciare l’assetto dei vertici del Comune. La congiura fu repressa nel sangue con l’uccisione di quattro membri della domus dei Lanfranchi.
Per comprendere appieno le ragioni del consenso e dei dissensi che segnarono l’esperienza di potere di Gherardo bisogna tenere presente che questi, schierandosi al fianco delle famiglie di «popolo» che avevano guidato la rivolta contro Uguccione, aprì una vera e propria frattura, politica ed ideologica, all’interno di una nobiltà locale che fino ad allora era stata invece tutto sommato abbastanza coesa.
Mentre la Cronica di Pisa e quella di Ranieri Sardo non dedicano che pochi accenni alla figura di Gherardo, nella cronaca in versi del domenicano Ranieri Granchi troviamo numerose menzioni del conte.
In particolare nel libri II e III, rispettivamente alle pp. 207, 221, 212. Gherardo viene sempre presentato nell’atto di arringare i membri delle commissioni dei sapientes e dei consigli civici. Sono da segnalare in particolare i versi composti per celebrarne la morte, laddove il cronista parla di un Gherardo (p.227 LIbro III) «urbis honor, virtus Populi, sapientia gentis/ quem Duodecim mane, totum Comune gemendo,/ pacis amatorem tumulant ad templa Minorum».
Morte.
Il 5 agosto del 1317 un consiglio del «popolo» stabilì che non dovessero essere più verbalizzati né i nomi dei componenti dei consigli civici e delle commissioni dei sapientes, né i pareri che essi esprimevano. Ciò non costituì una vera e propria svolta, ma la ratifica di una consuetudine invalsa da tempo. Il 28 agosto del 1313, infatti, in occasione di una delle periodiche revisioni degli Statuti cittadini promosse dai podestà, era stata apposta una additio alla rubrica del Breve del Comune che disciplinava l’attività dei consigli, nella quale si stabiliva di registrare le parole pronunciate dai consiglieri e dai sapienti. Si era voluta correggere una prassi, evidentemente abbastanza radicata in città, che aveva portato a non verbalizzare le sedute consiliari, laddove gli Statuti varati nel 1287 prevedevano invece la verbalizzazione dei pareri espressi dai consiglieri. La documentazione pubblica pisana inizia a essere disponibile solo alla fine del Duecento e perciò non è possibile sapere se quella normativa venne effettivamente tradotta in pratica. Per quanto riguarda però le sole commissioni dei sapientes, sappiamo che nell’ultimo decennio del XIII secolo esse furono lo strumento giuridico istituzionale attraverso il quale Gherardo Fagioli, Banduccio Bonconti, Iacopo da Fauglia e Ranieri Sampante, – quelli che più savi erano tenuti – dominarono la scena politica cittadina. È probabile che proprio in quella fase si fosse affermata la consuetudine di non verbalizzare i pareri espressi dai consiglieri. Tali verbali avrebbero rappresentato un riflesso troppo chiaro di una realtà nella quale i processi decisionali erano nelle mani di un gruppo ristretto di personaggi. È possibile, dunque, che sulla scorta di quella esperienza, ancora viva nella memoria dei pisani, nell’agosto del 1317 si fosse voluta istituzionalizzare la prassi di non verbalizzare le riunione consiliari n un momento in cui i vertici delle istituzioni erano occupati da Gherardo, il quale proprio attraverso le commissioni esercitava un controllo sui processi decisionali cittadini, come già quelli che più savi erano tenuti. La decisione dell’agosto ’17 pose le basi per la cristallizzazione di un corpus di scritture comunali dai tratti assai caratteristici, che definiva una memoria istituzionale in grado di condizionare sia il modo in cui i contemporanei avrebbero rielaborato il proprio passato e costruito una parte delle propria identità collettiva, sia il modo in cui gli storici avrebbero interpretato tali sviluppi.
Archivio di Stato di Pisa, Comune, Divisione A, nn. 48, 49, 74, 87, 197; Ibidem, Dipl. Coletti, 1316 gennaio 11; Ibidem, Dipl. Pia Casa di Misericordia, 1305 marzo 5, 1313 marzo 13; Ibidem, Dipl. Roncioni, 1321 giugno 9.
Fonti: Statuti inediti della città di Pisa dal XII al XIV secolo, a c. di F. Bonaini, 3 voll. , Firenze 1854.-1870; H. Finke, Acta Aragonensia. Quellen zur deutschen, italienischen, französischen, spanischen, zur Kirchund Kulturgeschichte, aus der diplomatischen Korrespondenz Jaymes II. 1291-1327, 3 voll., Berlin-Leipzig 1908-1922; Ranieri Sardo, Cronaca di Pisa, a c. di O. Banti, Roma 1963; I Brevi del Comune e del Popolo di Pisa dell’anno 1287, a c. di A. Ghignoli, Roma 1998 (Fonti per la storia dell’Italia medievale, Antiquitates, 11); Cronica di Pisa. Dal ms. Roncioni 338 dell’Archivio di Stato di Pisa. Edizione e commento, a cura di C. Iannella, Roma 2005 (Fonti per la storia dell’Italia medievale, Antiquitates, 22), R. Granchi, De preliis Tuscie, a cura di M. Diana, Firenze 2008.
Studi: G. Rossi Sabatini, Pisa al tempo dei Donoratico (1316-1347). Studio sulla crisi costituzionale del Comune, Firenze 1938; E. Cristiani, Nobiltà e popolo nel Comune di Pisa. Dalle origini del podestariato dalla signoria dei Donoratico, Napoli, 1962; M. L. Ceccarelli, Della Gherardesca Gherardo, in Dizionario Biografico degli italiani, vol. XXXVII; Ead., Nobiltà territoriale e Comune: i conti della Gherardesca e la città di Pisa (secoli XI-XIII), in, Medioevo pisano. Chiesa, famiglie, territorio, Pisa 2005, pp. 163-258, (già in Progetti e dinamiche nella società comunale italiana, a. c. di R. Bordone, G. Sergi, Napoli 1995, pp. 31-100); M. Tangheroni, Politica, commercio e agricoltura a Pisa nel Trecento, Pisa 2002, (1ª ed. 1973); A. Poloni, Trasformazioni della società e mutamenti delle forme politiche in un Comune italiano: il Popolo a Pisa (1220-1330), Pisa 2004.