della Scala, Cangrande (nato Canfrancesco)


di:
Estremi anagrafici:

1291-1329



Durata cronologica della dominazione:

1311-1329



Espansione territoriale della dominazione:

Vedi scheda famiglia della Scala. La città capitale è Verona.

Origine e profilo della famiglia:

Vedi scheda famiglia della Scala. Cangrande era figlio terzogenito di Alberto della Scala e Verde da Salizzole, nonché fratello minore di Bartolomeo e Alboino.


Titoli formali:

Capitano del Popolo di Verona dal 1308; in condivisione con il fratello Alboino fino alla morte di quest’ultimo (1311). Vicario imperiale a Verona dal 1311, a Vicenza dal 1312, a Mantova nel 1329. Nel 1318, nel corso di un incontro della pars ghibellina a Soncino, Cangrande fu designato capitaneus et rector unionis et societatis et fidelium Imperii Lombardie.


Modalità di accesso al potere:

Morto il fratello Alboino, che lo aveva già associato al potere nel 1308, gli succedette nel 1311.


Legittimazioni:

La successione ad Alboino fu la logica conseguenza della precedente associazione al titolo di capitano del Popolo, decisa dal fratello maggiore nel 1308 e mai contestata. Nel 1311 Enrico VII gli riconobbe il vicariato imperiale per la città di Verona, insieme ad Alboino, e nel 1312 il vicariato per la città di Vicenza, cui fece seguito il conferimento dell’arbitrium da parte del Consiglio vicentino. Il titolo vicariale fu poi confermato da Federico il Bello nel 1317 e da Ludovico il Bavaro nel 1327.


Caratteristiche del sistema di governo:

Fino alla morte di Alboino, pare che Cangrande avesse mantenuto una posizione subordinata rispetto al fratello, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni eruditi. Dal 1311, però, fu l’assoluto protagonista delle fortune veronesi e, sotto la sua signoria, lo Stato scaligero raggiunse dimensioni pluricittadine. Tra le ripercussioni di questo successo va certamente segnalato un maggior coinvolgimento nella corte scaligera di collaboratori di provenienza extraveronese, quantunque Cangrande continuò ad avvalersi di uomini già al servizio dei suoi predecessori, anche per compiti di rilevante importanza. È documentata l’assunzione di condottieri italiani, francesi e tedeschi, che concorsero a “internazionalizzare” l’entourage del signore e a rafforzare la preponderanza dei milites al suo servizio, rispetto ad altre categorie sociali, pur non assenti (giudici, notai, mercanti).

In sintonia con la politica interna dei suoi predecessori, Cangrande proseguì le iniziative di consolidamento del governo signorile, a discapito delle strutture comunali, e mantenne una posizione intransigente nei confronti dei fuorusciti veronesi di parte guelfa, cui, a differenza di altri contesti, fu impedito sistematicamente ogni eventuale ritorno in città o nei castelli del contado, mentre va sottolineata l’abilità di Cangrande nel trarre vantaggio politico e militare proprio dalle contese tra le fazioni cittadine di altri centri. La partecipazione del signore scaligero a un teatro geopolitico ormai esteso a buona parte dell’Italia centro-settentrionale e i lunghi impegni fuori città comportarono la delega dell’amministrazione di Verona ai collaboratori più fidati e l’allestimento di un efficace sistema di trasmissione dei comandi dal signore ai suoi funzionari. Per il governo delle città soggette, invece, furono coinvolti sia rettori veronesi, sia esponenti delle élites locali filoscaligere.

L’attività legislativa di Cangrande condusse, tra l’altro, alla revisione degli statuti della Domus mercatorum e delle arti (1319), così come il rifacimento degli statuti comunali (1328), nei quali la figura del vicario trovò definitiva codificazione e centralità nel sistema di governo, insieme alla sua curia. Anche la politica fiscale e quella monetaria furono aggiornate, per sostenere le crescenti spese di guerra legate alle ambiziose e frenetiche iniziative del signore.


Sistemi di alleanza:

Cangrande mantenne il sistema di alleanze ereditato da Alboino, a partire dalla tradizionale amicizia con i Bonacolsi di Mantova, destinata a durare fino al 1328. Proseguì, ma su più larga scala, anche una politica estera e militare interventista, filoimperiale e segnata da una lunga contrapposizione a Padova per il dominio sulla Marca, a partire dal 1311, quando le truppe scaligere e imperiali sottrassero proprio ai padovani Vicenza e il suo territorio. L’ostilità contro Padova, ma rivolta pure a Treviso, fu scandita da numerosi episodi bellici, per lo più di breve durata, variamente estesi alla partecipazione di diversi alleati (a partire dai conti di Gorizia e quelli di Carinzia), e spesso conclusi grazie alla mediazione di Venezia, sempre attenta alla configurazione degli equilibri politico-militari nei territori che lambivano la laguna. A questo proposito, occorre aggiungere che Cangrande conservò buoni rapporti con il governo marciano, che nel 1329 gli riconobbe la cittadinanza de intus et extra. Gli scontri con Padova raggiunsero il culmine nel 1319, quando Federico il Bello assegnò il vicariato imperiale su Treviso a Enrico di Gorizia, consentendo così a Cangrande di concentrare le proprie forze nell’assedio ai nemici padovani, forte anche dell’appoggio di alcune casate padovane e della neutralità degli Estensi. Tuttavia, l’imponente operazione bellica allestita dagli Scaligeri si concluse malamente e Cangrande fu costretto dai suoi stessi alleati a stipulare una pace (1320). La conquista di Padova non giunse, quindi, con manovre militare, ma per via diplomatica, nel 1328, grazie alla capacità del signore scaligero di sfruttare le contrapposizioni interne al ceto dirigente padovano e indurre Marsilio da Carrara a cedergli la città, su cui peraltro esercitò un dominio sostanzialmente mite. Rimanendo sul versante veneto, tra il 1321 e il 1322 Verona estese progressivamente il proprio controllo su Feltre e Belluno, e nel 1329 prese Treviso, riscattando i risultati di un’accorta politica di relazioni amichevoli tessute da Cangrande con le aristocrazie locali. Va da sé che la presa dei principali centri veneti fu preceduta o seguita dalla conquista di numerose roccaforti del contado.

Nel complesso, l’aggressività del signore scaligero verso l’area a oriente di Verona fu propiziata dalla relativa sicurezza dei confini occidentali, protetti dall’alleanza con Mantova e Milano, sebbene non manchino frequenti incursioni nei territori emiliani, toscani, liguri e lombardi, determinati da ragioni strategiche, occasioni contingenti o impegni derivanti dall’adesione scaligera al fronte ghibellino. In questo ampio scenario la collocazione di Verona confliggeva con la politica di papa Giovanni XXII e procurò a Cangrande non solo l’inimicizia della curia papale, ma pure la scomunica nel 1318 (confermata poi nei due anni successivi). L’ascesa di Ludovico il Bavaro aggravò il confronto con il papato, in particolare dopo l’adesione di Verona alla lega filoimperiale con Mantova e Ferrara (1323), sollecitata dal Bavaro per liberare Milano assediata. Nondimeno, anche i rapporti con l’imperatore non furono sempre sereni, tanto più dopo il rifiuto di quest’ultimo di riconoscere Cangrande quale vicariato di Padova (1327). E, sebbene la fedeltà degli Scaligeri alla causa ghibellina non fu mai compromessa del tutto, non mancarono dissidi con antichi alleati, a partire da Enrico di Carinzia.

Il 1328 segnò un momento decisivo per le sorti della signoria veronese, non solamente per la presa pacifica di Padova, ma altresì per l’interruzione dell’ormai pluridecennale intesa con i Bonacolsi di Mantova, che Cangrande scalzò dal potere con un intervento militare, il cui esito fu la sostituzione del vicario imperiale Passerino Bonacolsi con Luigi Gonzaga, esponente di una famiglia in forte ascesa, designato capitano della città. A questo avvicendamento fece poi seguito l’attribuzione imperiale del vicariato mantovano allo stesso Cangrande e ai suoi figli (1329), un dettaglio che forse allude a un piano del signore scaligero per la sistemazione dei figli illegittimi, mentre i nipoti Alberto (II) e Mastino (II) erano destinati al governo delle città venete.

La politica matrimoniale rispecchia tutta la complessità di una signoria impegnata su più fronti. Nel 1308 Cangrande aveva preso in moglie Giovanna di Corrado di Antiochia, sorella di quella Costanza che aveva già sposato Bartolomeo, fratello maggiore di Cangrande stesso, rafforzando così i legami tra gli Scaligeri e la stirpe sveva. L’unione non produsse eredi, ma a Cangrande sono attribuiti almeno otto figli illegittimi (quattro maschi e quattro femmine), uno dei quali – Francesco – sposò una Rossi di Parma. Gli intrecci delle alleanze e questioni di opportunità condizionarono anche i matrimoni di due nipoti di Cangrande: Verde sposò il figlio di Guecellone da Camino, mentre Mastino (II) si unì a Taddea, nipote di Marsilio da Carrara.


Cariche politiche ricoperte in altre citt?:

Legami e controllo degli enti ecclesiastici, devozioni, culti religiosi:

Sotto la signoria di Cangrande non venne meno lo stretto controllo esercitato dagli Scaligeri sulle istituzioni ecclesiastiche veronesi, nemmeno dopo la scomunica del 1318, che non sembrò turbare i rapporti tra il signore e la Chiesa di Verona. Anzi, questo controllo fu eventualmente esteso alle città soggette, come dimostra il caso dell’episcopio vicentino, subito occupato da vescovi veronesi fedelissimi di Cangrande, dopo la conquista di Vicenza. A partire dal 1324 il signore sostenne la fondazione del convento di Santa Maria della Scala a Verona, dove si insediarono i serviti.


Politica urbanistica e monumentale:

Nel 1324 Cangrande dispose l’ampliamento delle mura di Verona, includendo nuovi quartieri entro un circuito fortificato di almeno dodici chilometri. Al dominus scaligero è attribuita pure l’edificazione di un nuovo palazzo signorile.


Politica culturale:

La grandezza di Cangrande e la sua centralità nel panorama politico dell’Italia settentrionale trovano precise corrispondenze all’interno della corte veronese, chiamata a rappresentare adeguatamente il successo degli Scaligeri, la loro recente ascesa tra le casate di maggior prestigio, l’incremento del loro raggio d’azione, le relazioni diplomatiche e matrimoniali con lignaggi di primissimo piano e, quindi, l’adesione a stili di vita e valori socio-culturali tipici della tradizione signorile. In questo senso vanno interpretate le notizie sulle curie cavalleresche cui partecipò Cangrande, fra le quali si segnala quella organizzata per festeggiare sia la presa di Padova sia le nozze tra Mastino (II) della Scala e Taddea da Carrara (1328); fu in questa occasione che il dominus scaligero investì addirittura trentotto cavalieri. L’adozione di costumi squisitamente signorili è documentata anche per i predecessori di Cangrande, ma solo con quest’ultimo la vita di corte raggiunse una magnificenza spettacolare e in certo senso “programmatica”, come riferito da più cronache, ma anche dalle testimonianze di personaggi del calibro di Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio. È la cronaca del giudice padovano Cortusi ad attribuire il possesso di trecento falconi a Cangrande e a ricordare la sua propensione per le battute di caccia. Al poeta ebreo Immanuel Romano, invece, si deve la più vivace descrizione dei fasti della corte scaligera, con le sue macchine da guerra, i banchetti, le giostre, gli intrighi amorosi, ma anche le dispute dotte, la recitazione di poesie, gli spettacoli di musici e giullari, in un ambiente cosmopolita, frequentato da uomini d’armi e di lettere, fra cui spicca la presenza di Dante Alighieri, che di Cangrande fu amico e ospite tra il 1312 e il 1318.


Consenso e dissensi:

La signoria di Cangrande non fu minacciata da contestazioni provenienti dalla società veronese, se si esclude la protesta “fiscale” di un folto gruppo di notai (rivolta anche al fratello Alboino), in occasione del conferimento del vicariato imperiale nel 1311. Nel 1325, però, si registra il primo significativo episodio di dissenso interno alla casata scaligera, fino ad allora contraddistinta da una ferma e rara coesione interna: si trattò di uno scontro tra Federico della Scala, discendente da un ramo secondario della casata scaligera e stretto collaboratore di Cangrande, e i due nipoti di quest’ultimo, Alberto (II) e Mastino (II) (figli di Alboino), per ragioni riconducibili alla successione dello stesso Cangrande, in quel periodo ammalato. Il dissidio si risolse con l’esilio di Federico e la legittimazione delle pretese dei figli di Alboino.


Giudizi dei contemporanei:

Le eccezionali doti politiche e militari guadagnarono a Cangrande l’ammirazione di molti cronisti coevi, anche oltralpe, non tutti favorevoli al signore scaligero (come Albertino Mussato), ma generalmente disposti a celebrarne il coraggio, la generosità, la munificenza e soprattutto l’ardore. A questo proposito, vale più di altri encomi la dedica del Paradiso rivolta da Dante a Cangrande, come testimoniato dalla celebre Epistola XIII del poeta.


Fine della dominazione:

Morte di Cangrande della Scala (1329).


Principali risorse documentarie:

Vedi scheda famiglia della Scala.


Bibliografia delle edizioni di fonti e degli studi:

Per un primo approccio si rimanda alla voce Della Scala, Cangrande, a cura di G. M. Varanini, in DBI, 37 (1989), pp. 393-406 (con dettagliato elenco delle fonti e della bibliografia di riferimento), e ai seguenti studi, per lo più posteriori: A. Di Salvo, L’immagine di Cangrande della Scala nell’opera di Ferretto Ferretti, «Bollettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo», 94 (1988), pp. 123-153; G. Gianola, L’«Ecerinis» di Albertino Mussato tra Ezzelino e Cangrande, in Nuovi studi ezzeliniani, a cura di G. Cracco, Roma 1992, II, pp. 537-574; A. Di Salvo, Il signore della Scala. Percezioni e rielaborazioni della figura di Cangrande I nelle testimonianze del secolo XIV, «Rivista storica italiana», 108 (1996), pp. 36-87; La statua equestre di Cangrande I della Scala. Studi, ricerche, restauro, a cura di S. Marinelli e G. Tamanti, Vicenza 1995; Cangrande della Scala. La morte e il corredo di un principe nel medioevo europeo, a cura di P. Marini, E. Napione e G. M. Varanini, Venezia 2004; Il corpo del principe. Ricerche su Cangrande della Scala, a cura di Ettore Napione, Venezia 2006 (Atti della giornata di studi, Verona, 20 novembre 2004). Vedi poi la bibliografia generale sotto la scheda dedicata alla famiglia della Scala.


Apporti nuovi di conoscenza:

Note eventuali:

La morte improvvisa di Cangrande, all’indomani della presa di Treviso, fu accompagnata da sospetti di avvelenamento. La lettura delle cronache coeve consente di ipotizzare che il signore fu colpito da una patologia gastrointestinale, forse non del tutto accidentale: le analisi cliniche condotte sul suo corpo, riesumato nel 2004 e in buono stato di conservazione, hanno evidenziato la presenza di quantità letali di digitalici, cioè dei principi attivi di una pianta solitamente utilizzata per scopi medicinali. Resta comunque da chiarire se gli alti livelli di digitale nell’organismo di Cangrande siano da ricondurre a un attentato alla sua vita o piuttosto a un errore medico di sovradosaggio.