della Scala, Mastino (II)


di:
Estremi anagrafici:

1308-1351



Durata cronologica della dominazione:

1329-1351



Espansione territoriale della dominazione:

Vedi scheda famiglia della Scala. La città capitale è Verona.

Origine e profilo della famiglia:

Vedi scheda famiglia della Scala. Mastino (II) era figlio secondogenito di Alboino della Scala e Beatrice da Correggio, nonché fratello minore di Alberto (II). È comunemente indicato come secondo signore della casata con questo nome, sebbene l’avo Leonardino detto Mastino († 1277) non assunse mai formalmente titoli signorili.


Titoli formali:

Vicario apostolico a Verona, Vicenza e Parma dal 1339; solo a Verona e Vicenza dal 1344. Nei diplomi prodotti dalla cancelleria scaligera Mastino (II) e Alberto (II) della Scala sono definiti capitanei et domini generales di Verona e delle città soggette.


Modalità di accesso al potere:

Designato insieme al fratello alla successione di Cangrande, in seguito all’esilio di Federico della Scala (1325) e alla morte di Francesco detto Chichino (1326), figlio di Bartolomeo della Scala, Mastino (II) assunse il potere con Alberto (II) il 23 luglio 1329, cioè il giorno dopo la morte dello zio. Di lì a poco fece imprigionare a vita due figli illegittimi del predecessore (Bartolomeo e Ziliberto), per scansare eventuali opposizioni, assicurandosi così un ventennio di sostanziale tranquillità interna.


Legittimazioni:

Il 23 luglio 1329 le autorità municipali di Verona conferirono formalmente l’arbitrium a Mastino (II) e Alberto (II), secondo quanto già stabilito da Cangrande. Gli statuti riformati di Vicenza (1339) riconoscevano il dominium di Mastino (II) e Alberto (II) per comune et populum. Nel 1339, in seguito a lunghe trattative, Mastino (II) ottenne l’attribuzione del vicariato apostolico per Verona, Vicenza e Parma da parte di papa Benedetto XII; nel 1344 papa Clemente VI confermò il vicariato solo per Verona e Vicenza.

 


Caratteristiche del sistema di governo:

La signoria di Mastino (II) fu un reggimento in condivisione, sostanzialmente serena, con Alberto (II), quest’ultimo in posizione subalterna rispetto al fratello. Nei primi anni di questa diarchia lo Stato scaligero raggiunse la massima espansione territoriale, non tanto per una irresistibile superiorità bellica dell’esercito veronese, quanto piuttosto per l’abile strategia politica di Mastino (II), che seppe valorizzare al meglio le capacità dei suoi migliori collaboratori (come il marchese Spinetta Malaspina), sfruttare le divisioni interne alle altre città per garantirsi l’appoggio di una fazione, procurarsi l’amicizia di influenti casate locali per favorire il buon esito delle proprie imprese politico-militari, in modo non dissimile da come operava Cangrande.

Se Mastino (II) si distinse nelle manovre di conquista, non si può dire altrettanto per la successiva opera di strutturazione del governo per il controllo dei territori occupati, nella misura in cui la presenza veronese non fu in grado di esercitare ovunque un effettivo dominio autonomo, pur avvalendosi di validissimi funzionari di provata fedeltà scaligera, perché continuò a dipendere in buona parte dall’intervento di alleati mossi da aspirazioni non sempre coincidenti con quelle dei signori scaligeri. Occorre, però, distinguere i vari casi: quasi tutte le città conquistate fuori dalla Marca mantennero un’ampia autonomia rispetto alla capitale dello Stato scaligero, mentre in area veneta il livello di penetrazione delle istituzioni urbane fu generalmente più elevato, così come la pressione fiscale esercitata dai camerlenghi scaligeri; solo nel caso di Vicenza e Treviso si intervenne per rivedere gli statuti cittadini.

Non mancò il tentativo di costruire strutture di coordinamento sovracittadino, specie in ambito fiscale, e una generale propensione a istituire guarnigioni di stipendarii (spesso reclutati in area tedesca) in tutte le città soggette. Il maggiore assestamento amministrativo da parte della signoria scaligera riguardò i centri di Verona e Vicenza, dove si stavano affermando i sapientes (o deputati) ad utilia, in linea con sviluppi politici condivisi dai comuni italiani, fra Due e Trecento, e orientati alla creazione di magistrature esecutive ristrette. In entrambe le città, poi, è riconoscibile anche il consolidamento della “fattoria” scaligera, dotata di competenze che dalla gestione del patrimonio privato del signore evolsero presto verso funzioni di finanza pubblica, a sostegno delle crescenti spese di guerra richieste in un quadro geopolitico in rapida trasformazione. Si segnala anche l’elaborazione di una politica monetaria più evoluta e accorta rispetto a quella adottata da altri stati signorili trecenteschi.


Sistemi di alleanza:

Inizialmente la politica estera di Mastino (II) si adeguò agli indirizzi già dettati da Cangrande e ribadì la consueta amicizia con Mantova, cui si aggiunse un’alleanza con Ferrara, nel 1330. La relativa tranquillità nella Marca, garantita dalla collaborazione di Marsilio da Carrara, consentì a Mastino (II) di rivolgersi verso il fronte lombardo e coalizzare più potenze − tra cui i Gonzaga, gli Estensi, i Visconti e Firenze (lega di Ferrara, preceduta da quella di Castelbaldo) – per contrastare la spedizione di Giovanni di Boemia nell’Italia settentrionale e la politica di Giovanni XXII. Tra l’altro, l’azione di Mastino (II) fruttò la conquista di Brescia (1332) e contribuì alla presa di Bergamo da parte dei Visconti. La sconfitta delle forze boeme e papali favorì un’ulteriore avanzata nell’area emiliana: in seguito a diverse iniziative militari e diplomatiche condotte dai principali collaboratori della signoria scaligera, nel 1335 il fratello di Mastino (II), Alberto (II), prese possesso di Parma, non ultimo grazie alla collaborazione dei da Correggio, già legati alla casata veronese da vincoli matrimoniali. Nello stesso anno gli Scaligeri conquistarono anche Reggio, cedendola però ai Gonzaga, e occuparono Lucca; l’anno seguente fecero proprie anche Massa e Pontremoli.

L’aggressiva politica espansionistica di Mastino (II) condusse a uno scontro con Firenze, che riuscì nel tentativo di coinvolgere Venezia, a sua volta preoccupata dal controllo delle vie commerciali padane da parte degli Scaligeri e dei loro alleati. Si giunse così alla guerra scaligero-fiorentino-veneziana, destinata a durare per tre anni (1336-1339). L’esito del conflitto fu disastroso per Mastino (II) e condizionato dalla bravura dei nemici nell’impresa di sottrarre alleati alla causa veronese, a partire da Marsilio da Carrara, cui i veneziani promisero la signoria su Padova. Alla fine della guerra lo Stato scaligero si era ridotto al solo possesso di Verona, Vicenza, Parma e Lucca. Il voltafaccia di una parte dello schieramento ghibellino comportò poi una svolta significativa nel tradizionale schema delle alleanze veronesi, a partire dalla storica rottura con Mantova. Dopo aver stipulato la pace con Firenze e Venezia (1339), i signori della Scala si rivolsero a papa Benedetto XII per ottenere il vicariato apostolico a Verona, Vicenza e Parma. I mutati rapporti col papato vanno forse intesi come misura preventiva contro un’eventuale emarginazione politica nell’area padana, e alla fine procurarono sia l’assoluzione dalla scomunica di Mastino (II), condannato dopo l’assassinio del vescovo Bartolomeo della Scala nel 1338, sia il conferimento del vicariato richiesto, seppure a caro prezzo. Il soccorso offerto dal papato non arrestò, tuttavia, il processo di disgregazione dello Stato scaligero, che nel 1341 perse anche Parma e Lucca, riducendosi grossomodo alle dimensioni raggiunte nel 1312 e destinate a durare fino al 1387. A queste ulteriori perdite contribuirono le trame di ex alleati come i da Correggio e i Gonzaga, cui fecero seguito svariati tentativi di rivalsa da parte di Mastino (II), impegnato nel decennio 1341-1351 in diverse imprese militari, ma senza evidenti risultati, se si esclude il conferimento della sovranità sul lago di Garda, attestato da un diploma imperiale del 1351. Più pacifici i rapporti con le città dell’area veneta dopo la guerra scaligero-fiorentino-veneziana: nel 1339 Mastino (II) ricevette la cittadinanza veneziana de intus et extra (estesa anche al fratello e ai discendenti); nel 1343 stipulò un accordo con Ubertino da Carrara.

Il matrimonio di Mastino (II) con Taddea da Carrara (1328) fu una conseguenza degli accordi fra Cangrande e Marsilio da Carrara per il passaggio di Padova sotto la dominazione veronese. Da questa unione nacquero tre figli maschi − Cangrande (II), Cansignorio e Paolo Alboino – destinati a succedere al padre nel governo dello Stato scaligero, e due figlie, a loro volta coinvolte in matrimoni di interesse politico: nel 1350 Beatrice Regina della Scala sposò Bernabò Visconti, suggellando così il recupero di buoni rapporti tra le due casate, dopo un periodo di scontri; nel 1326 Verde della Scala fu presa in moglie da Niccolò (II) d’Este (un’altra Verde della Scala, figlia di Alboino, aveva sposato in seconde nozze Ugolino Gonzaga, nel 1340). Sempre nel 1350 fu celebrato anche il matrimonio tra Cangrande (II), primogenito di Mastino (II), e una figlia di Ludovico il Bavaro, Elisabetta, in ossequio alla tradizionale amicizia tra gli Scaligeri e i Wittelsbach. Mastino (II) generò diversi figli illegittimi, fra i quali si distinsero il miles Fregnano, esponente di rilievo all’interno della corte scaligera, e Pietro, vescovo di Verona dal 1350 al 1387.


Cariche politiche ricoperte in altre citt?:

Legami e controllo degli enti ecclesiastici, devozioni, culti religiosi:

Sotto la diarchia di Mastino (II) e Alberto (II) fu sancito, per la prima volta in maniera esplicita, il ruolo di advocati esercitato dai signori scaligeri nei confronti dei diritti e dei beni dell’episcopio veronese. Proseguì in questo stesso periodo anche l’opera di penetrazione scaligera all’interno della Chiesa vicentina, in particolare per quanto concerne la gestione dei benefici ecclesiastici.


Politica urbanistica e monumentale:

Fu Mastino (II) a inaugurare un’effettiva politica monumentale, tessa a celebrare la grandezza della propria casata, destinando un’area presso la chiesa di Santa Maria Antica a cimitero di famiglia, lì dove aveva fatto erigere la maestosa arca marmorea nel quale fu inumato e quella in cui giace il corpo di Cangrande.

 


Politica culturale:

Lo stile di vita signorile e cavalleresco della corte scaligera, già percepibile ai tempi di Cangrande, trovò ulteriori e ancora più sfarzose dimostrazioni durante il dominio di Mastino (II), come testimoniato da vari cronisti, che del signore scaligero ricordarono, oltre al temperamento tirannico, anche la magnificenza. Da segnalare che una bolla di papa Benedetto XII, emanata nel 1339, riconosceva a Verona uno studium generale articolato nelle facoltà di diritto, medicina e arti: non si trattava verosimilmente della regolare istituzione di una nuova università, ma piuttosto della conferma di preesistenti cattedre d’insegnamento rette da prestigiosi docenti.


Consenso e dissensi:

Nel corso della guerra scaligero-fiorentino-veneziana, che mise a dura prova la signoria scaligera, si manifestarono segni di insofferenza anche a Verona, che portarono all’assassinio del vescovo Bartolomeo della Scala per mano dello stesso Mastino (II), suo cugino, che temeva una cospirazione con i veneziani (1338).

 


Giudizi dei contemporanei:

Di Mastino (II) parlano quasi tutte le cronache coeve, concordi nell’attribuirgli un carattere ambizioso, esuberante, insaziabile, ma anche nel riconoscergli abilità di condottiero. L’Anonimo romano ne offrì un ritratto che compendiava le caratteristiche esemplari del tiranno trecentesco, e contribuiva ad alimentare la diceria circa la corona di re d’Italia che il signore avrebbe fatto realizzare. Nel complesso, la cronachistica antiscaligera fu ostile a Mastino (II) e trattò con un misto di ammirazione e disprezzo la fastosità della sua vita di corte.


Fine della dominazione:

Morte di Mastino (II) della Scala (1351).


Principali risorse documentarie:

Vedi scheda famiglia della Scala.


Bibliografia delle edizioni di fonti e degli studi:

Per un primo approccio si rimanda alla voce Della Scala, Mastino, a cura di G. M. Varanini, in DBI, 37 (1989), pp. 444-453 (con dettagliato elenco delle fonti e della bibliografia di riferimento), e ai seguenti posteriori studi: L’arca di Mastino II. Storia, fortuna e conservazione del monumento scaligero, Vago di Lavagno (Verona) 2005 e F. Pigozzo, La politica monetaria scaligera dopo la pace di Venezia (1339-1352), «Società e storia», 121 (2008), pp. 455-471. Vedi poi la bibliografia generale sotto la scheda dedicata alla famiglia della Scala.


Apporti nuovi di conoscenza:

Note eventuali: