di:
Paolo Grillo
1259-1312.
Milano, Piacenza
Vedi scheda di famiglia
Capitano del popolo di Milano (1307) Capitano generale e perpetuo di Milano (1308) Capitano di Piacenza (1307)
Figlio di Francesco della Torre, antico co-signore di Milano, dopo la battaglia di Desio (1278) Guido fu incarcerato nel castello comasco del Baradello dove rimase fino al 1284, quando fuggì con la complicità del signore di Como, Loterio Rusca. Trascorse gli anni successivi in esilio nel Friuli. Nel 1302 grazie alla rivolta popolare che cacciò Matteo Visconti da Milano e all’appoggio militare della coalizione guelfa di Lombardia, Guido e gli altri membri della famiglia della Torre riuscirono a rientrare in città. Tornati in possesso dei loro vasti beni e dotati di un forte seguito popolare Guido e il cugino Mosca esercitarono un’influenza indiretta sulle istituzioni dal 1302 al 1307, senza però assumere direttamente incarichi di governo. Nel dicembre del 1307 egli si fece proclamare capitano del popolo di Milano. Contemporaneamente ebbe la stessa carica, con poteri straordinari e durata biennale, a Piacenza. Un anno più tardi, nel settembre del 1308, fu nominato capitano perpetuo del comune. Contemporaneamente il figlio del cugino Mosca, Cassone, veniva consacrato arcivescovo di Milano.
La nomina al capitaneato prima e al capitaneato perpetuo poi furono effettuate dal consiglio del Comune di Milano e approvate dalle associazioni popolari. La designazione a capitano perpetuo fu poi inserita negli statuti cittadini. La nomina al capitaneato piacentino fu probabilmente opera del locale consiglio comunale.
Prima dell’assunzione del titolo di capitano del popolo, Guido si limitò ad esercitare la propria influenza sul comune, utilizzando il proprio prestigio soprattutto in campo militare, dato che guidò le spedizioni di guerra contro i ghibellini milanesi e comaschi nel 1302 e contro Matteo Visconti nel 1303. Nel 1305 ebbe la carica di capitano generale delle forze della taglia guelfa di Lombardia. Se fino alla morte di Mosca della Torre non si può parlare di una vera signoria torriana in Milano. Nel 1307, come si è accennato, Guido agì entro il quadro istituzionale corrente, con l’assunzione della carica annuale di capitano del popolo nel dicembre del 1307. Sebbene eccezionalmente assegnato a un concittadino e non a uno straniero, non pare che l’incarico attribuisse al della Torre poteri particolari o balie straordinarie, anche se alcuni osservatori non esitano a far iniziare in questa data la signoria di Guido su Milano. Dopo la nomina a capitano del popolo, Guido proseguì velocemente verso la costruzione di un regime autocratico, percepito come tirannico dalla gran parte dei contemporanei. Il 22 settembre del 1308 si giunse anche a Milano alla piena formalizzazione della signoria di Guido che, nel corso di un consiglio degli Ottocento allargato ai rappresentanti del popolo, dei paratici e della Credenza di Sant’Ambrogio (per un totale di 3.000 membri), su proposta del giudice Corrado de Corregia fu nominato capitano perpetuo del popolo, con la balia straordinaria di emendare gli statuti e di stabilirne di nuovi. Inoltre, egli si radicò nel contado, divenendo podestà a vita di Vigevano, ma affidò ai figli Franceschino e Simonetto rispettivamente la podesteria del grosso borgo di Monza e la guida della Credenza di Sant’Ambrogio, la società del Popolo di Milano. Elemento non trascurabile del potere torriano fu, infine, la disponibilità di un gran numero di mercenari posti al suo diretto servizio, che Giovanni Villani valutava addirittura in un migliaio di uomini.
La Milano torriana era inserita nel blocco guelfo di Lombardia. Nel 1302, la rete dell’alleanza includeva Piacenza, Pavia, Bergamo, Lodi, Asti, Novara, Vercelli, Crema, Como, Cremona, Alessandria e Bologna, anche se rapidamente la prima se ne distaccò. In particolare furono molto stretti i rapporti con le famiglie dominanti a Pavia, Lodi e Cremona, ossia rispettivamente i Langosco, i Fissiraga, i Cavalcabò. Con i primi, Guidò instaurò anche un legame matrimoniale, sposando Brumisunde, figlia di Filippone di Langosco. Guido sviluppò stretti rapporti anche con Padova, dove era vescovo il parente Pagano della Torre, e con Firenze, dove aveva anche investito una quota significativa delle proprie ricchezze. Questi ultimi si accentuarono progressivamente con il concretizzarsi della minaccia di Enrico VII.
Fu podestà di Treviso nel 1287.
Come il cugino Mosca dimostrò grande devozione verso San Francesco, alla cui chiesa milanese destinò un importante legato testamentario nella speranza, non soddisfatta, di esservi seppellito. Nel 1309 entrò in conflitto con il nipote Cassone, arcivescovo di Milano, accusato di cospirazione e tradimento. Cassone venne bandito, ma Guido venne scomunicato la città fu colpita da interdetto dalla pronta e indignata reazione di Clemente V.
Nei primi anni dopo il loro rientro i della Torre non presero direttamente il potere e furono circondati dal consenso generale. La svolta autocratica di Guido, con la nomina a capitano perpetuo nel 1308 e l’assegnazione di importanti incarichi ai figli Franceschino e Simonino, e il susseguente conflitto con l’arcivescovo Cassone gli alienarono però l’appoggio popolare, tanto che nel 1310 Guido non riuscì a impedire che la popolazione accogliesse entusiasticamente l’ingresso di Enrico VII in città.
La figura di Guido divise i contemporanei, che gli riconobbero magnanimità e grandezza, ma non gli perdonarono la svolta autoritaria degli ultimi anni del suo dominio. Ferretto de’ Ferretti sottolinea da un lato che egli fu un “tyrannus” e un “violentus dux”, anche se seppe conquistarsi la benevolenza del popolo dato che “vulgo satis benignus apparuit”;. Anche gli scrittori toscani sono divisi fra benevolenza e ostilità. “Leale signore, ma non così savio” quanto Matteo Visconti lo definisce Guido Compagni, mentre Matteo Villani ne parla come di un “uomo di grande senno e podere”, ma anche come di un rettore che “menò aspramente la sua signoria e fu molto temuto e ridottato”.
Quando Enrico VII entrò in Italia, Guido della Torre cercò di opporsi a lui militarmente, ma venne prima abbandonato dai suoi alleati cremonesi, pavesi e lodigiani, poi dalla stessa popolazione milanese che si rifiutò di obbedire ai suoi ordini e accorse dall’imperatore eletto. Con una linea politica ambigua, Guido, anziano e malato, non riuscì né a opporsi efficacemente a Enrico, né a conquistare la sua fiducia. Dopo che il re fu entrato in città, ebbe deposto Guido dalla sua carica e disposto il rientro dei fuoriusciti, Guido preparò una rivolta, che avrebbe dovuto vedere la partecipazione degli stessi Visconti. Essi però lo tradirono e dopo una breve battaglia urbana i della Torre furono sconfitti e dovettero lasciare la città. Esule, Guido continuò la lotta da Cremona, dove morì nel 1312.
I principali documenti sul dominio di Guido su Milano sono sparsi tra i fondi ecclesiastici dell’Archivio di Stato di Milano, in particolare Pergamene per Fondi e Religione
Ferreti Vicentini Historia rerum in Italia gestarum, in Le opere di Ferreto de’ Ferreti vicentino, a cura di C. Cipolla, I, Istituto storico italiano, Roma 1908, pp. 198 e 175; Dino Compagni, Cronica, a cura di D. Cappi, ISIME, Roma 2000, p. 120; L.A. Ferrai, Un frammento di poema storico inedito di Pace dal Friuli, in “Archivio storico lombardo”, XX (1890), pp. 322-343; I. Ghiron, La credenza di Sant’Ambrogio o la lotta dei nobili e del popolo in Milano (1198-1292), parte II, in “Archivio storico lombardo”, IV (1877), pp. 70-123; A. Caso, Della Torre Guido, in Dizionario biografico degli Italiani, 37, Roma 1989, pp. 583-587.P. Grillo, Milano guelfa (1302-1310), di prossima pubblicazione.