di:
Gabriele Taddei
1170 circa-novembre 1212.
Oltre che su Ferrara, le esperienze politiche di A. insistettero su Mantova e Verona. In virtù di una investitura pontificia, A. poté comunque reclamare diritti formali anche sui centri della Marca Anconetana: Osimo, Fermo, Fano, Fabriano.
Vedi scheda famigliare.
Nelle città dell’Italia nordorientale, a Ferrara, Mantova e Verona, A. non poté vantare altri titoli che quelli derivanti dagli uffici podestarili che rivestì; relativamente alle città della Marca Anconetana, Osimo, Fermo, Fano, Fabriano, A. si fregiò del titolo di marchese consequenziale all’investitura ricevuta da papa Innocenzo III.
Nelle città dell’Italia nordorientale tramite elezione alle cariche di podestà; nei centri della Marca Anconetana tramite il titolo di marchio ricevuto per investitura pontificia.
A Ferrara, come a Padova, Verona e Mantova, la parabola di potere di A. si inserisce entro la cornice legittimante delle istituzioni comunali, sostanziandosi nel conseguimento continuativo e reiterato della principale tra le tradizionali magistrature comunali. E difatti l’Este fu podestà di Ferrara nel 1196 e di Padova nel 1199; di Verona nel 1206 e di Mantova nel 1207; tornò ad esercitare l’ufficio una seconda volta a Ferrara nel 1208, e nuovamente a Mantova nel 1210, per essere infine -l’anno successivo- contemporaneamente podestà in queste due ultime città.
Entro Ferrara, A. poté qualificarsi come erede della leaderschip degli Adelardi fidando dunque sull’appoggio di una delle due partes cittadine e su di una clientela alimentata anche da cospicue disponibilità economiche e fondiarie. Al di fuori di Ferrara, nelle altre città interessate dall’esperienza di A., questi poté conseguire posizioni egemoniche presentandosi come protagonista di primo piano dello schieramento cittadino avverso ad Ezzelino da Romano ovvero ricercando uno stabile raccordo con il partito filoinnocenziano.
Il raggiungimento di una indiscussa egemonia sull’intera vita pubblica ferrarese dovette dunque scontrarsi con un analogo tentativo operato da Salinguerra Torelli. L’ostilità tra i due, che si manifestò in tutta la sua virulenza nel 1208 allorché Salinguerra fu bandito da Ferrara ad opera di A., si ricompose in occasione della discesa di Ottone IV in Italia, il quale venne scortato da entrambi, congiuntamente, attraverso il Bolognese, la Toscana e l’Umbria. Solo nel 1211 la scomunica che fulminò il Brunswick indusse A. ad abbandonarne le schiere ed a riprendere la competizione col Torelli. Asceso contemporaneamente alla carica podestarile presso Mantova e Ferrara, l’Este espulse da quest’ultima città tanto il suo personale rivale quanto il vicario imperiale cui quello era rimasto fedele. Il provvedimento di bando che, per la seconda volta, colpiva il Torelli, garantì ad A. di rimanere padrone della scena politica cittadina. Ormai saldamente appoggiatosi ad Innocenzo III, l’Este si avvicinò, di conseguenza, in funzione antiottoniana, al giovane Federico II garantendo allo Svevo il passaggio attraverso l’Italia settentrionale.
Nonostante l’impegno profuso da A. nell’appoggiare la pars pontificia, non risulta che Innocenzo III abbia conferito all’Este alcun titolo che attribuisse a questo una particolare legittimazione al proprio potere su Ferrara. Tale autorità risedette dunque nell’assunzione di ordinarie magistrature comunali, senza che ciò comportasse mutamenti formali negli assetti istituzionali della città. Diversa invece la questione per il dominio sulla Marca Anconetana attribuita ad Azzo nel 1208 quale feudo pontificio e quindi confermata da Ottone IV l’anno successivo.
L’esperienza di potere di A. si inserì compiutamente nel solco della tradizione comunale di regime podestarile. Fu infatti assumendo la carica di podestà quale leader di una delle due partes ferraresi, fidando sulla notevole disponibilità economica famigliare e sulle ramificate clientele intra ed extra cittadine, che l’Este poté conseguire un indiscusso primato personale, per quanto ancora contestatogli dal Torelli e dallo schieramento che ad esso faceva riferimento.
Il conseguimento di solide alleanze su scala intercittadina che risultassero funzionali ad accrescere la propria autorevolezza e garantissero un sostanziale sostegno al conseguimento ed alla conservazione del primato interno rappresentò una delle cifre caratterizzanti la parabola politica di A., le cui aspirazioni egemoniche travalicarono sempre, del resto, il solo contesto ferrarese. Fu l’aggressiva politica di Ezzelino da Romano, il quale trovava nel Torelli un fiero sostenitore, a garantire ad A. di qualificarsi come leader dello schieramento avverso che nel 1208 arrivò ad includere le città di Ferrara, Cremona e Mantova. Un frastagliato blocco politico che, reggendosi sulle clientele intessute sovralocalmente da A., sulle solidarietà nobiliari che egli aveva saputo stimolare, su un fitto interscambio di uffici ed incarichi tra gli esponenti delle famiglie fedeli, assunse presto il nome, nelle stesse fonti primoduecentesche, di pars marchionis.
Anche le scelte matrimoniali di A. risposero alla volontà di intessere solide alleanze su un piano ampiamente sovracittadino. La prima moglie apparteneva alla schiatta degli Aldobrandini e da tale unione nacque Aldobrandino, destinato a raccogliere l’eredità politica paterna. La seconda fu Sofia, figlia di Umberto III conte di Savoia e dalla quale nacque Beatrice. La terza -sposata nel 1204- fu Alisia, figlia di Rinaldo d’Antiochia. Il matrimonio, di cui fu garante Salinguerra Torelli, allora ancora in buoni rapporti con la casa d’Este, garantì ad A. di imparentarsi con le principali case regnanti d’Europa e di divenire cugino di Ottone IV di Brunswick contro il quale, tuttavia, l’Este decise di militare nonostante lo stretto legame famigliare.
L’esperienza di potere di A. si concretizzò anche al di fuori del contesto ferrarese avendo raggiunto l’Este posizioni di primato personale a Verona, Mantova e nella Marca Anconetana. Nel 1206, nel contesto delle dispute che opponevano il conte cittadino Bonifacio di San Bonifacio alla famiglia Monticuli, A. venne chiamato quale podestà a Verona. L’Este non portò a termine il suo incarico giacché gli stessi Monticuli, con il contributo di Ezzelino da Romano, lo assalirono nella sala del Consiglio costringendolo alla fuga. In risposta all’aggressione, il conte Bonifacio appoggiò il rientro a Verona di A. e, dopo essere riusciti ad imprigionare Ezzelino, i due raggiunsero sulla città una posizione di assoluto primato. L’operazione avvenne peraltro con la fattiva collaborazione del Comune di Mantova di cui negli anni 1207-08 e 1210-11 A. fu podestà. L’egemonia di Bonifacio ed A. su Verona si esaurì solo con la morte dei due, avvenuta a breve distanza l’uno dall’altro nel corso dell’anno 1212.
Parallelamente agli accadimenti veronesi, nel 1208 Innocenzo III concesse ad A., quale feudo pontificio, la Marca d’Ancona poi confermatagli un anno più tardi anche da Ottone IV. Nonostante che il Brunswcik, divenuto l’Este un suo tenace avversario, avesse infine deciso di riassegnare il titolo al conte Tommaso da Celano, A. sarebbe comunque riuscito ad ottenere formali riconoscimenti dalle comunità della Marca, Fano, Fermo, Osimo.
La famiglia Este, fin dai decenni finali del XII secolo, poté vantare stretti rapporti col monastero di Santa Maria di Carceri, in favore del quale consistenti furono le donazioni ed i lasciti. Particolarmente rilevanti anche i legami con la cattedra vescovile di Adria che assegnò ad A., intorno al 1195, la curia di Ariano nei pressi di Ferrara. Di contro le relazioni con la potente abbazia di Pomposa si caratterizzarono a lungo per uno stato di perdurante ostilità che si risolse solo nel 1196 proprio allorché A. ascese alla carica di podestà ferrarese.
Più in generale è possibile affermare che la famiglia abbia costantemente realizzato una massiccia infiltrazione di propri clienti nei capitoli della cattedrale ed una invasiva imposizione di avvocati sui principali enti monastici della zona: questa strategia permise da un lato di attuare una concreta espropriazione dei patrimoni fondiari di tali istituti, concessi feudalmente a congiunti e membri della famiglia, da un lato un diretto controllo sulle procedure di nomine di presuli ed abati.
Intorno al 1211, espulso da Ferrara per la seconda volta Salinguerra Torelli, A. ottenne il permesso da parte di Innocenzo III d’avviare l’edificazione in città di un castello, strumento per esercitare un concreto controllo sulla comunità e celebrare la posizione di primato ormai conseguita.
La violenta competizione che opponeva la famiglia Este a quella Torelli –contrapposizione ancora aperta nei primi due decenni del XII secolo alle più diverse evoluzioni- espose l’esperienza politica azzoliniana alla costante mutevolezza degli equilibri di forza tra le due compagini rivali. Non priva di violenti isoipse anche l’egemonia su Verona, città dalla quale A. fu costretto alla fuga agli inizi della propria parabola politica dopo essere stato aggredito nella stessa sala del Consiglio. Della vicenda è sopravvissuta la testimonianza dello stesso Este contenuta in una lettera che egli scrisse al patriarca di Aquileia. Anche nella Marca d’Ancona la posizione di A. dovette essere contestata dai partigiani del conte Tommaso da Celano, anch’egli investito del titolo di marchese, in modo del tutto concorrenziale, da parte di Ottone IV.
A. morì improvvisamente nel novembre 1212, lasciando ai suoi figli Azzo ed Aldobrandino (peraltro a sua volta già asceso alla carica podestarile a Ferrara) il compito di riannodare il filo di un’egemonia sulla città ancora totalmente informale, basata sul prestigio personale, su consistenti disponibilità economiche, su una rete clientelare estesa tanto in città quanto al di fuori di essa.
La perdita della documentazione archivistica ferrarese causata dall’incendio che distrusse nel 1385 le carte della camera actorum costringe le ricostruzioni delle età precedenti a fondarsi in modo massiccio sulle fonti cronachistiche.
Fonti: J.T. Bömer, Regesta Imperii, V, Innsbruck 1881-1901, ad indic. sub voce Azo (VI); Chronicon Estense, a cura di G. Bretoni – E.P. Vicini, in Rer. Ital. Scrip.2, XV, 3; Documenti per la storia delle relazioni diplomatiche fra Verona e Mantova nel secolo XIII, a cura di C. Cipolla, Milano, 1901;V. Ioppi, Lettera inedita di Azzo marchese d’Este al patriarca di Aquileia, «Archivio Veneto», X (1875), pp. 155-159; Gerardi Maurasii, Cronica dominorum Ecelini et Alberici fratrum de Romano, a cura di G. Soranzo, in Rer. Ital. Scrip.2, VIII, 4; L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, Milano 1738-41, I, coll. 605 s., II, coll. 85-88, 873 s.; L.A. Muratori, Delle antichità estensi ed italiane, I, Modena, 1717; Rolandini Patavini, Cronica in factis et circa facta Marchie Trivixane, a cura di A. Boardi, in Rer. Ital. Scrip.2, VIII, 1.
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