di:
Gabriele Taddei
1205 circa – 16 febbraio 1264.
1240-1264.
Azzo raggiunse un ruolo egemonico all’interno della città di Ferrara, ma poté anche reclamare diritti sui centri della Marca Anconetana, di cui i membri della famiglia erano tradizionalmente investiti dal pontefice.
Vedi scheda famigliare.
A Ferrara A. non poté fregiarsi d’altre qualifiche che quelle derivanti dagli uffici podestarili che egli rivestì con ininterrotta continuità tra il 1240 ed il 1247; relativamente alle città della Marca Anconetana, Osimo, Fermo, Fano, Fabriano, A. ebbe invece il titolo di marchese consequenziale all’investitura pontificia.
Seguendo le precedenti esperienze di suo padre Azzo VI e di suo fratello Aldobrandino, A., dopo un lungo periodo d’esilio dovuto al consolidamento del potere di Salinguerra Torelli, tradizionale avversario della famiglia d’Este, riuscì a riconquistare militarmente la città, catturandovi l’oppositore.
Alla prematura morte del fratellastro Aldobrandino, avvenuta nel novembre 1215, A. non aveva che 10 anni ed era inoltre ancora nelle mani dei banchieri fiorentini cui era stato consegnato quale garanzia dei prestiti erogati per organizzare una spedizione nella Marca Anconetana. Per quanto riscattato dalla madre, il giovanissimo Este si trovò senz’ombra di dubbio nell’impossibilità materiale di difendere e preservare le fortune famigliari. In conseguenza di questa particolare congiuntura, Salinguerra Torelli, tradizionale antagonista politico degli Este, riuscì ad acquisire in modo relativamente incontrastato un indubbio predominio sulla vita politica ferrarese. Costretto nel 1222 ad abbandonare la città, A. provò, senza alcuna fortuna, a patteggiare le modalità di una sua riammissione. Un tentativo di rientrare operato in quello stesso anno non sortì altro effetto che l’uccisione o l’espulsione da Ferrara dei suoi residui sostenitori. L’evento contribuì certamente ad esasperare il confronto con Salinguerra, il cui castello di Fratta sul Po venne assalito e devastato dall’Este che poteva allora contare sul sostegno congiunto del pontefice e dell’imperatore. Il contrasto tra A. ed il Torelli poté del resto inserirsi nel più ampio quadro della conflittualità che opponeva Salinguerra, alleato con Ezzelino ed Alberico da Romano, ai da Camino ed ai conti di San Bonifacio, quest’ultimi tradizionali amici degli Este.
La guerra che si combatté tra questi due opposti schieramenti acquisì del resto una nuova connotazione allorché venne meno l’alleanza tra il papato e lo Staufen. Ezzelino, presentandosi ormai come il principale alfiere della pars imperialis, costrinse A., pur con una qualche riluttanza, a schierarsi contro Federico II, del cui appoggio s’era fino a qualche anno addietro avvantaggiato.
Associatosi alla Lega lombarda, nel febbraio 1240, assieme alle truppe del legato pontificio Gregorio da Montelongo ed a tutti gli alleati della coalizione antistaufica, A. poté marciare contro Ferrara ed il suo antico rivale. Caduta la città dopo quattro mesi d’assedio e catturato l’ormai ottuagenario Salinguerra, A. si vide assegnata la carica podestarile.
L’egemonia di A. su Ferrara, che si avviò con la conquista della città nel giugno del 1240, restò largamente informale e si esercitò attraverso la reiterata assunzione della carica podestarile, conservata probabilmente almeno fino all’anno 1247.
Del resto il papato, cui A. doveva per larga parte la propria vittoria sul Torelli, evitò comunque di conferire all’Este diritti vicari sulla città.
Gli strumenti di potere cui A. dovette far ricorso passarono dunque attraverso il controllo dei tradizionali istituti comunali attuato per il tramite di radicate clientele personali e compatte schiere di fedeli, una parte delle quali lo aveva seguito negli anni di esilio, una parte era rimaste a Ferrara attendendo e preparando il suo rientro. Entro l’élite cittadina che più si adoperò a garantire un appoggio alla causa estense si deve sicuramente annoverare un nutrito gruppo di famiglie tra le quali militarono i Giocoli ed i Turchi, ma anche i Costabili, i Contrari ed i Signorelli.
Una particolare strategia, forse già sperimentata da suo padre e dal suo fratellastro, cominciò del resto ad essere metodicamente applicata da A.: con il chiaro intendimento di prosciugare il bacino di consensi del Torelli e alimentare il proprio, si dette avvio ad una campagna di confische delle proprietà degli oppositori, ridistribuendole poi, attraverso infeudazioni, tra i nobili fedeli e tra tutti coloro che, pur avendo precedentemente solidarizzato con Salinguerra, erano ora disponibili ad abbandonarne la causa. Tale politica, che in futuro avrebbe rappresentato una costante del regime estense, poté del resto realizzarsi anche ricorrendo al ricco patrimonio famigliare o ancor più ai fondi dell’episcopio e dei vari enti monastici sui quali A., per il tramite di avvocati o in virtù dell’infiltrazione di suoi partigiani, esercitava un diretto controllo.
I sistemi di alleanze all’interno delle quali A. si trovò ad operare fin dal tempo della sua estromissione da Ferrara, pur ereditando alcuni elementi degli assetti politici già individuabili ai tempi di suo padre Azzo VI e di suo fratello Aldobrandino, si conformarono al superiore confronto che oppose Federico II al soglio romano. Nel biennio 1230-32, al fianco dei conti di San Bonifacio, tradizionali alleati degli Este, ai da Camino ed alla città di Mantova, A. operò contro Ezzelino da Romano (che dominava su Verona, Vicenza, Padova e Treviso) ed il suo alleato Salinguerra (che egemonizzava Ferrara). La sempre più stretta solidarietà dimostrata da Ezzelino nei confronti della causa staufatica portò l’Este a legare in modo sempre più incontrovertibile la sua fortuna alla parte pontificia. Il rientro di A. a Ferrara nel 1240 si attuò dunque con il concorso di buona parte dell’alleanza che si opponeva a Federico II entro la quale militavano i comuni di Bologna, Mantova e Venezia che parteciparono con loro contingenti all’assedio.
Dopo la conquista di Ferrara, la prosecuzione del conflitto contro Ezzelino garantì la preservazione dei precedenti assetti. L’alleanza con i San Bonifacio ed i da Camino poté del resto segretamente allargarsi, nel 1258, ad Oberto Pelavicino e Buoso da Dovara, che tradendo la causa di Ezzelino, né garantirono la definitiva sconfitta.
Nel quadro della circolazioni degli ufficiali tra le città appartenenti ad un medesimo schieramento politico, A. fu chiamato, prima e dopo la conquista di Ferrara, ad assumere incarichi pubblici in alcuni di quei Comuni che si opponevano all’espansione del dominio ezzeliniano. Si trattava del resto in buona parte di città già inserite in quella trama che aveva costituito la cosiddetta pars marchionis intessuta a suo tempo da Azzo VI.
Prima di essere stato nel 1247 e nel 1253 podestà di Mantova, A. lo era peraltro stato di Vicenza nel 1236, città dalla quale era dovuto ripiegare all’arrivo di Ezzelino e Federico II.
Intorno alla metà degli anni ’50, A. assunse anche il comando dell’esercito del legato pontificio impegnato nella guerra contro Ezzelino.
La famiglia Este, già prima dell’ascesa di A., realizzò costantemente una massiccia infiltrazione di propri clienti nei capitoli della cattedrale ed un’invasiva imposizione di avvocati sui principali enti monastici del Ferrarese e di tutto il Polesine. Questa strategia permise ad A., da un lato, un controllo sulle procedure di nomine di presuli ed abati, dall’altro di attuare una concreta espropriazione dei patrimoni fondiari di tali istituti, concessi feudalmente a congiunti, partigiani e sostenitori al fine di alimentare le proprie clientele.
Una timida espressione di disaffezione nei confronti di A. dovette manifestarsi già nel 1247 allorché l’Este, a causa delle pressioni esercitate da una parte dell’élite cittadina, si dimise dalla carica podestarile che aveva fino ad allora rivestito. Una scelta peraltro motivata, forse, anche dal desiderio di sottrarsi all’immagine di padrone indiscusso della vita pubblica ferrarese e di sovvertitore della tradizionale alternanza ai vertici delle strutture istituzionali. Che la posizione egemonica di A. fosse tutt’altro che compromessa da questo accadimento è dimostrato non tanto dall’attribuzione allo stesso Este di una pensione annua a tempo indeterminato quanto dalla solidità di quelle reti clientelari intessute nel corso degli anni precedenti.
Il predominio di A. avrebbe del resto assistito ad una più violenta forma di contestazione nel 1261. In quell’anno un’ancora vitale fronda costituita da alcune di quelle famiglie, come i Ramberti, che erano state fedeli sostenitrici di Salinguerra Torelli, tentò d’abbattere violentemente il regime azzoliniano attraverso una congiura che fu comunque scoperta e repressa con facilità.
L’egemonia di A. sulla città di Ferrara si concluse solo in occasione della sua morte alla metà del febbraio 1264. Nel testamento, A. indicava quale suo unico erede il nipote Obizzo, figlio di suo figlio Rinaldo, premortogli nel 1251 mentre era prigioniero in Puglia (forse assassinato per volere di Corrado IV) dopo essere stato catturato da Federico II.
La perdita della documentazione archivistica ferrarese a causa dell’incendio che distrusse nel 1385 le carte della camera actorum costringe le ricostruzioni dell’età precedente a fondarsi in modo massiccio sulle fonti cronachistiche. Una parziale integrazione è comunque garantita dai documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Modena, Archivio segreto Estense, Documenti riguardanti la casa e lo Stato.
Fonti: J.T. Bömer, Regesta Imperii, V, 1-3, Innsbruck 1881-1901 ad indic. sub voce; Chronicon Estense, a cura di G. Bertoni – E.P. Vicini, in Rer. Ital. Scrip.2, XV, 3; L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, Milano 1738-41; Id., Delle antichità estensi ed italiane, I, Modena, 1717; Gerardi Maurasii, Cronica dominorum Ecelini et Alberici fratrum de Romano, a cura di G. Soranzo, in Rer. Ital. Scrip.2, VIII, 4; Rolandini Patavini, Cronica in factis et circa facta Marchie Trivixane, a cura di A. Bonardi, in Rer. Ital. Scrip.2, VIII, 1; Riccobaldus Ferrariensis, Cronica parva Ferrariensis, a cura di G. Zanella, Ferrara, 1983.
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