di:
Gabriele Taddei
17 maggio 1338 – 26 marzo 1388.
Ferrara, 2 novembre 1361 - 26 marzo 1388;
Modena, 2 novembre 1361 - 26 marzo 1388;
Faenza, 8 aprile 1376 - luglio 1377.
Vedi scheda famigliare.
Vedi scheda famigliare. N. era figlio di Obizzo III.
Già riconosciuto, durante le signorie di Obizzo III e di Aldobrandino III, assieme ai suoi fratelli, vicario apostolico ed imperiale, N. fu acclamato nuovo Dominus generalis civitatis Ferrarie et Mutine nel 1361. Nel 1367 avrebbe inoltre ottenuto la qualifica di Gonfaloniere della Chiesa.
Allorché nel marzo 1352 Obizzo III morì, Ferrara proclamò nuovo signore cittadino il figlio maggiore Aldobrandino III. Il 19 ottobre dello stesso anno, legati pontifici riconoscevano il vicariato apostolico sulla città non solo a lui, ma anche ai suoi fratelli N., Rinaldo e Azzo, del resto già investiti da Clemente VI sin dal 1350. Nonostante la scelta della Santa Sede distribuisse equamente tra i figli di Obizzo le prerogative vicariali, la primogenitura, l’investitura signorile e la personale autorevolezza garantirono ad Aldobrandino un’indiscutibile leaderschip famigliare. Ma quando egli morì, il 2 novembre 1361, N., che già ne aveva fatto le veci in occasione di alcune viaggi fuori città del signore, poté subentrargli senza soluzione di continuità, stante anche la condizione di minorità dei nipoti.
La dignità signorile di cui alla morte del fratello Aldobrandino N. poté fregiarsi trovava due superiori legittimazioni, di indiscutibile efficacia, nell’attribuzione del vicariato apostolico, confermato proprio nel 1361 da Innocenzo IV, e nell’investitura imperiale, ottenuta quello stesso anno a suo nome ed a quello degli ulteriori due fratelli Ugo e Alberto.
A N. si dovette, con buona probabilità, la creazione di un organo consultivo, costituto da un numero variabile di consiliarii, in grado di coadiuvare il dominus nella sua personale gestione del potere rappresentando un volano di congiunzione tra questi la Cancelleria e la Camera. E’ possibile che tale istituto non avesse ai suoi esordi una fisionomia stabile ed organica, e la sua scarsa menzione nei documenti coevi attesterebbe una ridotta rilevanza nei processi decisionali e deliberativi. Nondimeno esso rappresenta un passo importante verso l’acquisizione di una fisionomia sempre più verticistica degli assetti politici ed una ancor più decisa esautorazione dei tradizionali organi collegiali di matrice comunale. Risiedendo ormai il potere nella figura del sovrano e nella sua ristretta cerchia di collaboratori, anche il collegio dei savi finì per essere svalutato a semplice camera di compensazione delle diatribe interne all’aristocrazia cittadina attraverso i cui seggi gratificare ed acquietare i membri di quest’ultima. Ancora una volta, comunque, secondo una strategia che rappresentò una costante nei sistemi di governo della casata d’Este, furono strumenti di matrice feudale quelli con cui N. più strettamente ricercò la solidarietà delle elite interne al proprio dominato investendole di terre dal patrimonio familiare o ricorrendo ad infeudazioni oblate.
Tra le prime iniziative di N., non appena egli assunse il potere, si deve annoverare la rottura dell’alleanza con i Visconti precedentemente stipulata nel giugno 1358 da Aldobrandino III. Proprio in funzione antiviscontea, N. si fece promotore di una vasta lega, concordata il 16 aprile 1362, che annoverò tra i suoi contraenti l’Albornoz, gli Scaligeri e i Carreresi ed alla quale si unirono poi Feltrino Gonzaga e Giovanna di Napoli. Per rinforzare il fronte che si opponeva ai Milanesi, N. si recò anche ad Avignone nel tentativo di convincere Urbano V a tornare in Italia. Fu questo pontefice, allorché scese nella Penisola nell’ottobre 1367, a conferire all’Este, la dignità di Gonfaloniere della Chiesa.
Protraendosi tra stasi e violente riprese, la guerra contro i Visconti vide Firenze, Lucca, Pisa, Bologna appoggiare, con diseguale vigore, la causa estense. Nel quadro delle operazioni, N. tentò vanamente di occupare Reggio, riconquistata per brevissimo tempo nel 1371, ed acquistò Faenza da Giovanni Acuto governandovi dall’aprile del 1376 fino al luglio 1377, quando Astorgio Manfredi sottrasse nuovamente la città alla casa d’Este. Ulteriori acquisizioni di N. furono Nonantola, Bazzano e Ponzano cedute da Egidio Albornoz ed aggregate al distretto modenese, Bagnacavallo e Citignola, pur esse acquistate dall’Acuto, Conselice e Zagonara conquistate militarmente.
Nel contesto delle alleanze antiviscontee, N. sposò Verde della Scala figlia di Mastino II e fece maritare sua sorella Costanza con Malatesta Ungaro signore di Rimini. Sua figlia Taddea avrebbe inoltre sposato Francesco Novello da Carrara.
Ad N. si dovette l’edificazione in Ferrara del castello di S. Michele, che si sarebbe detto poi Castelvecchio. Rappresentando un concreto diaframma tra il dominus ed i sudditti, il palazzo fortificato, costruito su progetto dell’architetto Bartolino da Novara anche in conseguenza della sommossa scoppiata nel 1385 [vedi infra Complotti, ribellioni, contestazioni], avrebbe di lì innanzi mutato profondamente il rapporto tra la casata d’Este e la cittadinanza.
Per quanto la corte ferrarese del tempo non possa essere paragonata a quel formidabile centro culturale che essa sarebbe divenuta di lì a qualche decennio, N. fu largo nell’accogliere letterati ed umanisti. Nel 1370 ospitò alla propria corte Francesco Petrarca proteggendo inoltre il dantista Benvenuto da Imola. Figura ancor più centrale della signoria di N. fu Donato degli Albanzani noto come colui al quale fu dedicato il De sui ipsius et multorum ignorantia del Petrarca, traduttore in volgare -su richiesta dello stesso dominus- del De claris mulieribus del Boccaccio e del De viris illustribus del Petrarca. Raffinato umanista, l’Albanzani rivestì per quattro anni la carica di cancelliere divenendo successivamente tutore del giovane Niccolò III e docente dello studium ferrarese nel frattempo fondato da Alberto V.
Tra le iniziative di N. si deve ricordare l’introduzione della Lira marchesana, moneta argentea che sostituì il Ferrarino di Obizzo III senza tuttavia riuscire ad imporsi come effettivo strumento di scambio sulle grandi piazze commerciali.
Dopo anni di sostanziale coesione tra la casata signorile e la città di Ferrara, nel 1385 si dovette registrate una violenta sollevazione. Stimolata dalle continue guerre, dalle ripetute inondazioni del Po, dalle carestie e dalla diffusione della peste, la rabbia cittadina si indirizzò specificamente contro il nuovo estimo allora introdotto su proposta del giudice Tommaso da Tortona. Dopo che la cittadinanza ebbe assaltato la Camera distruggendovi buona parte della documentazione, N., per sedare la rivolta, dovette in effetti consegnare l’odiato ufficiale, che venne barbaramente linciato, e quindi imporre un nuovo sistema fiscale sulla scorta di un estimo ricostituito. Nondimeno egli procedette ad una severa repressione contro i responsabili della rivolta e si garantì un sostanzioso prestito ad opera dei Gonzaga attraverso il quale avviò l’edificazione di una fortezza che avrebbe in futuro assicurato un saldo strumento di controllo sulla città.
La fine della signoria di N. coincise con la sua morte, avvenuta a Ferrara il 26 marzo 1388.
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