di:
Gabriele Taddei
9 novembre 1383 - 26 dicembre 1441.
Ferrara, 1 agosto 1393 - 26 dicembre 1441;
Modena, 1 agosto 1393 - 26 dicembre 1441;
Reggio Emilia, 1409 - 26 dicembre 1441;
Parma, 1409 - 13 novembre 1420.
Vedi scheda famigliare.
Vedi scheda famigliare. N. era figlio di Alberto V.
A Ferrara, Modena, Reggio e Parma, N. fu riconosciuto Dominus generalis; per le prime due città egli poté inoltre fregiarsi di investiture pontificie, mentre nell’ultima dovette accettare di presentarsi, almeno a partire dal 1420, come vassallo dei Visconti [Vedi infra Fine della signoria]. Dal 1432, nei riguardi dei centri della Garfagnana, N. fu riconosciuto vicario imperiale da parte di Sigismondo I.
Figlio naturale di Alberto V, N. era stato legittimato da papa Bonifacio IX nel 1391. Alla morte del padre, per quanto non avesse ancora compiuto dieci anni, fu presentato al popolo di Ferrara e Modena quale erede dell’interno marchesato estense e nuovo signore delle due città.
Reggio e Parma sarebbero state acquisite solo nel 1409, dopo che N., fatto assassinare Ottobuono Terzi, le occupò manu militari aggregandole al proprio dominio.
Anche le terre della Garfagnana, invece, si offrirono in spontanea dedizione ad N. nel 1430, per evitare la soggezione fiorentina.
Come consueto nelle vicende successorie di casa Este, la posizione del giovane N. nei confronti delle città di Ferrara e Modena fu prontamente corroborata da bolle papali.
L’acquisizione di Reggio e Parma, invece, per quanto inizialmente prevista nel contesto delle operazioni militari che avrebbero dovuto condurre alla riconquista pontificia delle terre che il defunto Gian Galeazzo Visconti aveva sottratto alla Chiesa [vedi infra Cariche politiche ricoperte in altre città, condotte,… ], si compì al di fuori di questa cornice legittimante, dopo la fine della guerra patrocinata dalla Sede Apostolica.
Il dominio sui centri della Garfagnana poté avvalersi dell’investitura di N. a vicario imperiale della contrada.
Consapevole dell’eventualità di lasciare al vertice dello stato estense un figlio ancora minore, Alberto V aveva provveduto a costituire un Consiglio di reggenza composto da quattro fidati collaboratori ed ulteriori sei membri, privi di effettivo potere esecutivo, che il popolo avrebbe dovuto designare bimestralmente. In seno ad un regime che già dai tempi di Niccolò II aveva mosso i primi passi in tale direzione, la Reggenza formalmente insediatasi alla morte di Alberto rappresentò la prima assemblea preposta ad affiancarsi in modo stabile ed istituzionalmente riconosciuto al signore. Del resto, dopo che nel 1398 il Consiglio di reggenza aveva subito l’infiltrazione di elementi fedeli a Francesco Novello da Carrara [vedi infra Complotti, ribellioni, contestazioni], N. provvide, a partire dal 1402, ad allontanare i partigiani filopadovani, rifondare l’assemblea e, quindi, trasformarla ufficialmente in Consiglio Privato. Il provvedimento si inseriva in quel processo di progressiva verticizzazione del dominio estense volto a fare del signore la sola autorità pubblica le cui decisioni, formulate con il concorso di una ridottissima schiera di fidati collaboratori, sarebbero state applicate perifericamente da ufficiali locali direttamente responsabili innanzi al dominus. In effetti N. contribuì a rendere le strutture funzionariali dell’intero marchesato sempre più articolate e ramificate in tutto lo stato, a Ferrara, come a Modena, a Reggio, ad Argenta e negli altri centri soggetti.
Anche la gestione dei rapporti feudali sui quali lo stato estense tradizionalmente si fondava subì ai tempi di N. un salto qualitativo che si concretizzò in un sistematica azione di controllo da parte del signore. A partire dal 1431, infatti, si richiese a tutti i concessionari del marchese di presentare alla Camera i documenti costitutivi di ogni singolo beneficio. Obiettivo dell’iniziativa era quello di recuperare eventuali terre usurpate o detenute con titoli di possesso scaduti al fine di garantire aggiornamenti, riorganizzare le registrazioni camerali, procedere a nuove infeudazioni.
Per quanto N. continuasse ad aderire alle numerose leghe antiviscontee istituitesi tra Venezia, Firenze, Bologna, i Carraresi, i Malatesta ed i Gonzaga, egli fu accorto nello svolgere in più occasioni un ruolo di mediazione tra la Serenissima ed il ducato di Milano, ovvero tra le due realtà politiche che, con ogni evidenza, risultavano ormai essere le forze egemoni dell’area padana, dotate di risorse economiche e demografiche ben superiori a quelle del ridotto stato estense.
In effetti dopo aver attivamente partecipato, sovente in qualità di capitano generale, alle alleanze attraverso le quali nel 1403, nel 1415 e nel 1426 Venezia, Firenze e le forze ad esse collegate si proposero di contenere l’espansionismo milanese, fu N. a promuovere le trattative di pace che si conclusero proprio a Ferrara il 3 maggio 1428. I vantaggi conseguiti attraverso la politica di mediazione svolta in quella circostanza convinsero l’Este, al riacutizzarsi dello scontro nel 1431, a mantenersi neutrale, impegnandosi anzi al raggiungimento dei nuovi accordi siglati l’8 aprile 1433.
Nondimeno fu proprio l’ennesima pace stipulata fra Milano e Venezia il 20 dicembre 1441, sancendo nei fatti la superiorità della Repubblica di San Marco, ad indurre N. ad una svolta radicale: divenuto più incerto quell’equilibrio tra i due potentati che l’Este sempre aveva perseguito come garanzia per il suo piccolo dominato, egli si avvicinò nettamente al duca di Milano. In quello stesso anno Filippo Maria Visconti nominò N. suo governatore generale adombrando, a detrimento di Francesco Sforza, una successione alternativa nel Ducato.
A fronte di innumerevoli relazioni extraconiugali (divenute oggetto di irriverenti proverbi), i matrimoni contratti da N. furono tre. Il primo, combinato dagli stessi Veneziani nel giugno 1397, lo unì a Gigliola, figlia del signore di Padova Francesco Novello da Carrara che di lì a breve gli avrebbe conteso il dominio sul marchesato [vedi infra Complotti, ribellioni, contestazioni]. Alla morte di Gigliola, sposò nel 1418 Parisina figlia di Andrea Malatesta da Cesena, fatta giustiziare pochi anni dopo dallo stesso N. allorché questi ne scoprì la relazione amorosa con suo figlio naturale Ugo, anch’egli condannato al capestro. Nel 1429, infine, si maritò con Ricciarda, figlia di Tommaso II marchese di Salluzzo.
Nel 1403, morto Gian Galeazzo Visconti, su invito di Bonifacio IX, N. accettò l’incarico di Capitano Generale delle forze collegate che avrebbero dovuto recuperare alla Sede Apostolica Bologna e gli altri luoghi sottratti al dominio pontificio dai Milanesi. L’Este ottenne in cambio, oltre alla diminuzione del censo che Ferrara doveva annualmente pagare alla Camera Apostolica, l’assicurazione che Reggio e Parma gli sarebbero state cedute allorché queste due città fossero state occupate dalle armate della lega. Quest’ultimo obiettivo, nondimeno, fu raggiunto da N. dopo il termine delle operazioni condotte sotto l’egida pontificia, le quali s’interruppero in modo repentino con un prematuro accordo tra i Milanesi ed il cardinale Costa (destinato a salire al soglio col nome di Giovanni XXIII).
N. continuò ad esercitare il consueto controllo famigliare sugli istituti religiosi del marchesato. Nel 1411 ottenne da papa Giovanni XXIII che Tommaso della famiglia Perondoli, da tempo al servizio degli Este, ottenesse la cattedra arcivescovile di Ravenna e negli stessi anni fece riconoscere commendatario della ricca abbazia di Pomposa Baldassare Sala, già amministratore per conto del marchese della chiesa di S. Giogo in Ferrara.
Ad N., oltre che estesi lavori pubblici come strade, argini e sistemazioni idrauliche eseguite in tutto il dominio, si debbono l’avvio della costruzione della torre del duomo di Ferrara e l’edificazione della fortezza di Castelnuovo sul Po.
Non sembra che N., pur istruito dal precettore umanista Donato degli Albanzani, sia stato uomo particolarmente dedito agli studi. Nondimeno egli fu attento alle esigenze culturali del suo dominato proseguendo in quelle iniziative che avrebbero fatto di Ferrara una delle principali corti del Rinascimento italiano. Per tutto il suo governo vennero acquistati volumi e codici che sarebbero successivamente andati a costituire il nucleo originario della grande Biblioteca Estense.
Nel 1402, dopo otto anni di chiusura motivati da questioni economiche, N. provvide a riaprire lo Studium cittadino fondato ai tempi di suo padre Alberto e nel 1412 favorì la nascita di un ulteriore Studium a Parma, da tre anni acquisita ai suoi domini. Ad insegnare nelle due università furono chiamati alcuni tra i più celebri maestri del tempo come Giovanni da Imola, il canonista Antonio da Budrio ed il giurista Piero d’Ancarano.
N. reclutò con attenzione anche i precettori dei suoi numerosi figli dimostrando di tenere in elevata considerazione la preparazione dei futuri reggitori: vennero pertanto convocati a Ferrara l’ellenista siciliano Giovanni Aurispa ed il grande studioso Guarino da Verona cui furono affidati, rispettivamente, i due figli Meliaduse e Leonello.
Tra gli eventi che ebbero fecondissime ricadute culturali deve essere annoverata anche, nel 1437, la designazione di Ferrara a sede sinodale. Tale scelta ebbe tra le sue conseguenze il soggiorno in città dell’imperatore greco Giovanni VIII Paleologo, del patriarca di Costantinopoli Giuseppe, e di una nutrita delegazione di greci, tra cui numerosi erano i letterati e gli uomini d’erudizione. L’assise, com’è noto, a causa di un’epidemia di peste e della minaccia rappresentata dalle truppe di Niccolò Piccinino, fu infine spostata a Firenze a partire dal gennaio 1439.
Tra le più violente e perduranti ribellioni al potere di N. deve essere annoverata quella di Azzo di Francesco d’Este, il quale, alla morte di Alberto V, ne contestò la successione adducendo a pretesto la nascita illegittima del nuovo signore. Azzo, sostenuto da una parte considerevole della nobiltà locale, oltre che da Gian Galeazzo Visconti, indusse alla sollevazione numerosi castelli del Frignano. Solo con l’appoggio di Veneziani, Fiorentini e Bolognesi, alleatisi in una lega il cui comando fu affidato ad Astorgio Manfredi, l’istigatore del tumulto poté essere catturato venendo prima relegato a Faenza quindi confinato dalla Serenissima sull’isola di Creta. La ribellione innescata proseguì comunque dopo l’imprigionamento di Azzo, venendo strumentalmente alimentata da Ottobuono Terzi signore di Reggio.
Un’ulteriore tensione, anch’essa manifestatasi in stretta successione alla morte di Alberto, si dovette alle rivendicazioni patrimoniali di Francesco Novello da Carrara, il quale spinse la propria moglie Taddea a richiedere che i suoi diritti sull’eredità del padre Niccolò II d’Este venissero soddisfatti. Nel 1398 Francesco Novello, divenuto nel frattempo suocero di N., entrò a Ferrara con numerosa scorta d’armati, imprigionò alcuni dei membri del Consiglio di Reggenza e sostituì questi ed altri uomini-chiave del regime con individui a lui fedeli. Nonostante Venezia tentasse di tutelare i diritti del giovane N., il suo futuro apparve allora alquanto incerto e l’attività dei partigiani di Francesco Novello destinata a consolidare un predominio padovano su Ferrara e tutto il marchesato estense. Ed infatti, allorché N. fu gravemente colpito da malattia, il Carrara agì apertamente per acquisire il diretto dominio sulla città. Ma quando l’Este inaspettatamente guarì, l’evidenza delle macchinazioni di Francesco Novello permisero ad N., ormai diciannovenne, di procedere ad una drastica epurazione degli elementi che si erano compromessi col Padovano e ad una totale reintegrazione di tutte le proprie personali prerogative. Dal 1402 il dominio dell’Este, ormai rinsaldatosi, non fu di fatto più seriamente messo in crisi.
Come è stato notato, allorché N. morì dopo quarantotto anni di governo, v’erano a Ferrara poche persone che potessero ricordare i tempi precedenti. Anche in conseguenza della notevole lunghezza del principato, dunque, la figura di N. s’impresse profondamente nella memoria collettiva degli abitanti del marchesato. Ma se N. venne presto considerato un vero pater patriae ciò si dovette in misura assai maggiore alla sua accortezza politica che assicurò al dominato estense di recitare un ruolo di mediazione tra le due principali forze dell’area padana, il ducato di Milano e la Repubblica di Venezia, ben superiore a quello che le effettive risorse economiche, demografiche e militari avrebbero garantito. Non è un caso che tra i grandi meriti che vennero prontamente riconosciuti al marchese, l’elogio funebre composto da Guarino da Verona attribuisca al defunto un intuito diplomatico quasi profetico.
La signoria sulla città di Parma terminò a seguito dei trattati del novembre 1420 che posero fine alle guerre tra l’ennesima lega antiviscontea (istituitasi nel 1415) e Filippo Maria. In quell’occasione N. lasciò al Visconti Parma, conservandosi la città di Reggio che tuttavia accettò di detenere a solo titolo di vassallaggio.
La fine della signoria sugli altri centri del dominato coincise invece con la morte di N. avvenuta il 26 dicembre 1441. Non è da escludere che essa sia sopraggiunta a seguito di un avvelenamento che impedì all’Este di rivendicare quei diritti sul ducato milanese che la recentissima nomina a governatore generale di Filippo Maria Visconti gli assicuravano.
Fin dal 1434 N. aveva trasferito formalmente al figlio naturale Leonello l’amministrazione interna della signoria, indicandolo quale erede delle prerogative signorili. Nel proprio testamento N. ingiunse anche che alla morte di Leonello si osservasse uno stretto ordine di primogenitura evitando il ripetersi delle caotiche successioni che avevano fino ad allora caratterizzato la casata d’Este. Quest’ultima disposizione però non sarebbe stata rispettata ed il figlio di Leonello, alla morte del padre, fu in effetti soppiantato dallo zio Borso e poi da Ercole.
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