di:
Gabriele Taddei
1247 circa-13 febbraio 1293.
Ferrara, febbraio 1264- 13 febbraio 1293;
Modena, 1288 – 13 febbraio 1293;
Reggio Emilia, gennaio 1290- 13 febbraio 1293.
Vedi scheda famigliare.
Vedi scheda famigliare. O. era figlio di Rinaldo di Azzo VII.
Primo tra tutti i membri della famiglia estense a poter vantare un titolo che rendesse ufficiale la sua signoria su Ferrara, O. fu, a partire dal febbraio 1264, gubernator et rector et generalis et perpetuus dominus civitatis. Nel 1288 anche il Comune di Modena gli riconobbe la carica di dominus civitatis, scelta seguita nel 1290 pure da Reggio Emilia. La posizione di O. fu del resto rafforzata dalla qualifica di difensor Ecclesiae riconosciutagli da papa Urbano IV.
Alla morte di suo nonno Azzo VII, O. era poco più che diciassettenne. La posizione del giovane era resa incerta dall’illegittimità dei suoi natali, frutto dell’unione tra un’ignota donna napoletana e Rinaldo, figlio di Azzo, morto prigioniero di Federico II. Nondimeno, O. era stato indicato dal nonno suo unico erede, raccomandandolo al legato pontificio Ottobono Fieschi ed allo stesso Comune di Ferrara. Ma il potere di Azzo sulla città non aveva mai ottenuto un formale riconoscimento, sostanziandosi esclusivamente nella reiterata assunzione della carica podestarile e nel sostegno di una fitta rete di partigiani entro la quale militavano i membri delle famiglie Giocoli, Turchi, Costabili, Menabuoi e Contrari.
Si dovette proprio a questo gruppo di sostenitori se, il giorno immediatamente successivo la scomparsa di Azzo, fu ufficialmente assegnata ad O. la signoria sulla città. L’avvenimento venne accuratamente orchestrato, secondo il cronista Riccobaldo, da Aldigerio Fontana. Cittadino di orientamento guelfo sufficientemente potente da poter ambire egli stesso ad una posizione di supremazia, il Fontana era evidentemente convinto che l’autorevolezza della casa estense avrebbe garantito una maggiore stabilità alla vita politica cittadina e che la giovane età del signore avrebbe offerto la possibilità di esercitare un facile controllo sulle sue scelte. Assicurato l’ordine per mezzo di una guardia armata, in piazza furono fatti affluire non solo tutti i principali partigiani interni ma anche i più importanti sostenitori politici dell’Italia nordorientale, presenti a Ferrara per assistere ai recenti funerali di Azzo. Innanzi a loro, alcuni membri dell’élite cittadina conferirono al giovanissimo Este il titolo di gubernator et rector et generalis et perpetuus dominus civitatis.
Il conferimento di questa qualifica, cui corrispose un giuramento generale di fedeltà prestato da tutti i cittadini, rappresentò uno dei più precoci esempi di istituzionalizzazione formale di un regime signorile nell’Italia settentrionale.
Nel 1288 fu una delegazione proveniente da Modena ad offrire ad O. la signoria cittadina quale soluzione alle lotte che opponevano tra loro le famiglie guelfe dei Boschetti, dei Savignano e dei Rangoni. L’acquisizione della signoria su Reggio si attuò seguendo un percorso assai analogo: a seguito di disordini cittadini scoppiati nel 1287 e proseguiti senza soluzione di continuità negli anni successivi, O. si vide assegnare dagli stessi reggiani, nel gennaio del 1290, per i tre anni successivi, la podesteria sulla città, presto commutata in signoria perpetua.
A Ferrara, come a Modena ed a Reggio furono le stesse assemblee cittadine, piuttosto che specifiche delegazioni, a conferire ad O. la carica di dominus.
Il conferimento del titolo signorile precedette la promulgazione di provvedimenti che, stratificatisi nel tempo, confluiranno poi nell’organica nuova redazione statutaria del 1288. Tali normazioni, se mantenevano scrupolosamente in vita le istituzionali comunali, procedevano progressivamente a privarle della loro effettiva operatività o a porle sotto il vigile controllo del dominus. Il signore infatti, riconoscendosi il ruolo di supervisore dell’intera attività pubblica, si garantì il superiore beneplacito sull’elezione dei funzionari e degli ufficiali comunali, un’autonoma capacità di porre le leggi ed un preminente diritto di grazia. Una delle iniziative più incisive fu rappresentata, nel 1289, dall’abolizione delle Arti. Per quanto l’obiettivo ultimo di questa decisione sia invero di difficile lettura, essa può forse essere spiegata come contropartita offerta a Venezia (interessata a mortificare il concorrenziale sviluppo commerciale ferrarese) in cambio del sostegno tradizionalmente offerto al dominio estense.
Piuttosto che intervenire sugli assetti istituzionali ferraresi, i quali mantennero in linea di massima la loro tradizionale fisionomia comunale, O. si dotò invece di una pluralità di strumenti volti a stroncare la capacità d’azione, in città come nel contado, di quelle famiglie che avevano un tempo sostenuto i Torelli. Il signore si preoccupò così di istituire una milizia scelta che sola avrebbe avuto il diritto di prendere le armi nei momenti di disordine, nonché di varare una serie di provvedimenti atti ad interdire i contatti tra gli esiliati e le rispettive famiglie rimaste entro Ferrara. Ma ancor più, in linea con una strategia già sperimentata con successo da Azzo VII, O. continuò a distribuire feudalmente terre e rendite a coloro dei quali si voleva garantire l’appoggio. I patrimoni attraverso cui alimentare tale meccanismo furono assicurati ricorrendo alla confisca delle proprietà dei dissidenti politici piuttosto che tramite l’acquisizione predatoria di terre ecclesistiche e monastiche.
A Modena e Reggio O. si adoperò a consolidare il suo potere edificando fortificazioni, assumendo il controllo di quelle già esistenti e tentando di attenuare lo stato di conflittualità interna. Quest’ultimo proposito sembra sia stato perseguito con strumenti difformi nei due contesti: a Modena infatti, dopo aver fatto sposare il suo secondo figlio Aldobrandino con la nipote di Lanfranco Rangoni, O. confermò le sentenze di esilio già stabilite; a Reggio invece, dove l’Este espulse dodici capifazione, egli riammise quanti erano stati precedentemente esiliati.
Segnando un passo fondamentale nella dinastizzazione del suo regime, nel 1292 O. ottenne il diritto di designare il proprio successore.
La rete di alleanze nella quale O. si inserì è, in sostanza, quella costituita dallo schieramento guelfo operativo nell’Italia settentrionale. Nel 1265 O. concluse una serie di accordi prima con i comuni lombardi poi con Carlo d’Angiò, assicurando a quest’ultimo il transito verso il Meridione. Nel 1268 O. garantì asilo ai guelfi espulsi da Pinamonte Bonacolsi, alleandosi dieci anni dopo con Padova contro i signori ghibellini di Mantova e Verona.
Dopo aver sposato Giacomina Fieschi, nipote del Cardinale Ottobono, futuro papa Adriano V, nel 1289 O. si unì in seconde nozze con Costanza, figlia di Alberto della Scala, signore di Verona. La scelta, che di fatto inaugurava una nuova e del tutto inedita alleanza con uno dei principali alfieri del ghibellinismo, fu forse motivata dall’esigenza di tutelarsi da possibili aggressioni nel momento in cui era in atto l’espansione della propria egemonia sopra le città di Modena e Reggio. Del resto l’unione non mise affatto in discussione la tradizionale militanza dell’Este entro lo schieramento guelfo. In relazione a quest'ultimo O. concesse la mano di sua figlia Beatrice a Nino Visconti diarca pisano collega dello zio Ugolino della Gherardesca.
I legami intessuti con istituti ecclesiastici ed enti monastici (primi tra tutti il vescovado di Adria, le abbazie di Pomposa e Vangadizza), attuati per il tramite della imposizione di avvocati, l’attribuzione di commende o la semplice infiltrazione di partigiani e sostenitori, rappresentarono uno degli strumenti attraverso cui O. poté costantemente accrescere le sue proprietà fondiarie. Solo così, del resto, fu possibile alimentare quelle costanti e cospicue infeudazioni con cui il signore si assicurò la fedeltà dei suoi collaboratori e quella delle èlite modenesi e reggiane. Tra le più rilevanti “espropriazioni” si deve ricordare quella che si avviò nel 1270, allorché lo stesso O. fu riconosciuto avvocato dell’abbazia di Vangadizza, e si concluse nel 1289, con il pieno trasferimento all’Este della giurisdizione temprale un tempo detenuta dall’abate.
Tra le iniziative urbanistiche di O. si deve menzionare l’edificazione di un castello presso Modena nel 1291.
Si deve forse alla signoria di O. la realizzazione di un falso frammento di statuto, sedicentemente risalente al 1208, nel quale si attesterebbe una formale investitura di Azzo VI al ruolo di dominus civitatis. L’obiettivo ultimo dell’apocrifo è chiaro: retrodatare quanto più possibile la formalizzazione del primato estense sì da conferire al nuovo regime signorile una risalenza ed una tradizione ch’esso non poteva in realtà vantare.
Nel luglio 1270 alla morte di Aldigerio Fontana, colui al quale si era in gran parte dovuto il conferimento del titolo ad O., venne attuato un primo tentativo di rovesciare la signoria estense. Ad organizzare la congiura, oltre alla famiglia Turchi, concorsero anche il figlio ed il fratello di Aldigerio, evidentemente desiderosi di recuperare quella posizione di rilievo che aveva forse indotto a ritenere possibile per i Fontana un controllo sulla politica del giovane O. La congiura, che dimostra dunque alcune fratture all’interno di quel partito guelfo entro il quale militavano i sostenitori degli Este, andò incontro al fallimento ed i suoi organizzatori furono costretti a rifugiarsi presso Bologna. Riammessi in città un anno più tardi, i Fontana ripresero la loro politica di opposizione al regime. Nel 1273 Ubaldino Fontana aggredì O. nella piazza centrale della città, ma, fallendo, fu ucciso ed i suoi sostenitori messi in fuga.
Recise condanne a quello che è presentato come un regime dispotico sono facilmente riscontrabili in alcune delle principali cronache coeve: Salimbene da Parma afferma che O., pessimus homo, avrebbe adottato le medesime pratiche tiranniche di Ezzelino da Romano, arrivando ad affogare sua madre e annientando spietatamente la famiglia Fontana alla quale egli doveva la signoria.
Lo stesso Dante pone l’Este tra i tiranni immersi nel Flegetonte vicino ad Ezzelino ed avvalora una diffusa tesi che vuole O. essere stato ucciso da una congiura familiare. Per quanto questa teoria sia oggi del tutto destituita di fondamento, essa attesta tuttavia l’esistenza di forti tensioni all’interno del casato, del resto ampiamente confermate dagli sviluppi successivi della parabola estense.
La fine della signoria di O. coincise con la sua morte, avvenuta a Ferrara il 20 febbraio 1293.
La perdita della documentazione archivistica ferrarese a causa dell’incendio che distrusse nel 1385 le carte della camera actorum costringe le ricostruzioni dell’età precedente a fondarsi in modo massiccio sulle fonti cronachistiche. Una parziale integrazione è comunque garantita dai documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Modena, Archivio segreto Estense, Documenti riguardanti la casa e lo Stato.
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