di:
Maria Pia Contessa
1230 ca. - 1307/10
Vedi scheda famigliare.
Vedi scheda famigliare.
Ricevette in dono, per sé e per i suoi eredi, il borgo di Pontremoli col castello e i diritti annessi, il distretto e relative pertinenze, da Guglielmo d’Olanda, re dei Romani, di cui era consigliere (16 aprile 1251).
Non ci sono testimonianze che il F. abbia effettivamente preso possesso del feudo di Pontremoli. Per quanto si trovasse in posizione strategica per il controllo dei collegamenti appenninici con la Pianura Padana, l’ubicazione decentrata di Pontremoli rispetto al territorio controllato dalla famiglia non ne faceva forse la candidata ideale a capitale dello stato fliscano. Sembra tuttavia improbabile che egli se ne sia disinteressato, poiché il controllo della Val di Taro fu sempre fra gli obiettivi dei Fieschi. Depone a favore di questa ipotesi la costante presenza al suo fianco di Gherardo di Martino Strumbi da Pontremoli, forse della famiglia degli Adalberti, attivo in varie zone del territorio fliscano dove agiva in nome del conte (e talvolta dei suoi familiari) come uomo di fiducia, procuratore, e nel 1271 come gastaldo.
Vedi supra Modalità di accesso al potere.
Per acquisire e mantenere il controllo su un territorio di tale importanza strategica senza provocare l’immediata reazione della confinante Repubblica di Genova furono fondamentali le alleanze che Niccolò seppe intrecciare nella sua città natale. Qui i Fieschi erano attivamente impegnati nelle lotte per il predominio politico che, fra la metà del Duecento e i primi decenni del Trecento, videro sostanzialmente il prevalere della parte filoimperiale. Nonostante l’appartenenza ad una famiglia tradizionalmente guelfa e il ruolo giocato dallo zio Innocenzo IV nella costruzione dello stato territoriale fliscano, Niccolò riuscì a destreggiarsi fra le diverse forze in campo sia schierandosi apertamente che mantenendo una posizione di calcolata neutralità.
Appoggiò la sommossa che nel 1257 portò al potere Guglielmo Boccanegra. Condivise le simpatie ghibelline del nuovo Capitano del popolo e si schierò coi Malaspina, sostenitori di Manfredi di Svevia, venendo meno al giuramento di fedeltà nei confronti del vescovo di Luni. Questo gli costò la scomunica papale, revocata nel dicembre 1261. Nello stesso 1257 si occupò delle trattative per la liberazione di Tommaso II di Savoia (prigioniero degli astigiani), signore del Piemonte e marito di sua sorella Beatrice.
Diversamente da altri esponenti della sua casata, si tenne fuori dagli avvenimenti che, sempre a Genova, nell’ottobre 1270 portarono alla nascita della diarchia Doria-Spinola. Le vicende della sua famiglia lo costrinsero però a schierarsi: nel 1273 permise che l’esercito comandato dal vicario di Carlo d’Angiò attraversasse e sue terre per attaccare la Riviera di Levante. Questo spinse i genovesi, che fino ad allora non lo avevano ostacolato, a muovere contro i possedimenti fliscani ai confini orientali della Repubblica.
Una della sue figlie, Alagia, sposò Moroello Malaspina marchese di Giovagallo; un’altra, Giacomina, Obizzo II d’Este signore di Ferrara.
Nel 1251 fu chiamato a far parte degli Otto nobili che affiancavano il podestà forestiero in carica a Genova; in questa veste rappresentò il Comune quando, nel settembre dello stesso anno, gli uomini di Carpena gli giurarono fedeltà.
Realizzò il progetto familiare di costituire uno stato territoriale - in cui il controllo di Pontremoli rappresentava una tappa importante - con l’appoggio dei congiunti, soprattutto dello zio, il pontefice Innocenzo IV, e del fratello Ottobuono, cardinale e poi pontefice a sua volta col nome di Adriano V. Agì con il consenso di Genova, che se non lo sostenne apertamente quantomeno non lo ostacolò, forse pensando di estendere il proprio controllo sulla Liguria orientale fino al confine della Magra. L’avallo genovese venne meno nel 1273, quando Niccolò si schierò dalla parte di Carlo d’Angiò (v. supra Sistemi di alleanza).
Nel 1252 il borgo venne assediato dai Malaspina di Mulazzo e di Filattiera, che lo espugnarono l’anno successivo. Siccome non avevano il potere politico e la forza militare per mantenerne il possesso lo cedettero a Oberto Pallavicino, già vicario di Federico II in Lunigiana.
Archivio di Stato di Genova, Notai antichi, Lamberto «de Sambuxeto», cart. 124, I, cc. 6r, 7r, 10v, 13r, 55r, 72v, 73v, 108r; Genova, Biblioteca civica Berio, Foliatium notariorum (ms. sec. XVIII), t. I, cc. 291r, 302v, 332r, 355r, 362v, 438r, 472v, 503v, 528v, 531r-532r, 533rv; t. II, cc. 52v, 103r, 133v, 263r; t. III, cc. 33r, 34r, 42r, 70r.
Ferretto, A., Codice Diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante (1265-1321), «Atti della Società ligure di storia patria», XXXI/I (1901), XXXI/II (1903), ad indicem; Nuti, G., Fieschi, Niccolò, in Dizionario biografico degli italiani (d’ora in poi DBI), Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 47, 1997, pp. 498-503 (v. anche Salvatori, E., Malaspina, Obizzo, in DBI, 67, 2006, pp. 795-797), Petti Balbi, G., I Fieschi ed il loro territorio nella Liguria orientale, in La storia dei genovesi, Atti del III convegno (Genova 1982), Genova, Associazione nobiliare ligure, 1983, pp. 105-129; Petti Balbi, G., I Fieschi: un percorso familiare, in Ead., Governare la città, pratiche sociali e linguaggi politici a Genova in età medievale, Firenze, Firenze University Press, 2007, pp. 83-98: 91-94 [già pubblicato col titolo I protagonisti: la famiglia Fieschi, in Cavana, M., et al. (a cura di), San Salvatore dei Fieschi. Un documento di architettura medievale in Liguria, Milano, Silvana, 1999, pp. 43-55]; Sassi, F., La politica di Nicolò Fieschi in Lunigiana, «Memorie dell’Accademia lunigianese di scienze e lettere G. Cappellini», VIII (1927), pp. 77-83; Zucchi Castellini, N., Storia di Pontremoli, Genova, Compagnia dei librai, 1990.