di:
Gian Paolo G. Scharf,
Jean-Claude Maire Vigueur,
Maria Rita Silvestrelli
1368 –1424.
Perugia, Todi, Orvieto: 1416 - giugno 1424;
Terni: 1417 - giugno 1424;
Città di Castello : 1418 - giugno 1424;
Spoleto: 1419 - giugno 1424;
Città di Castello: 29 agosto 1422 - giugno 1424.
Nocciolo duro della dominazione braccese furono le città umbre di Perugia, Todi e Orvieto, passate sotto la signoria di B. nel 1416. Sempre in Umbria B. allargherà la sua dominazione a Terni (1417), Città della Pieve (1418), Spoleto (1419), Città di Castello, conquistata manu militari nel 1422. Le altre aree nelle quali B. tentò di estendere la sua dominazione furono principalmente le Marche, dove, signore di Rocca Contrada dal 1407, riceverà a partire dal 1417 la sottomissione di vari altri comuni, il Lazio dove però non ottenne grandi successi (nel luglio 1417 fu costretto di abbandonare Roma dopo 70 giorni di occupazione e nel 1419 non riuscì a conquistare Viterbo) e infine l’Abruzzo dove a partire dal 1420 organizzò numerose operazioni militari per conto della regina Giovanna II.
B. era membro di una importante famiglia della nobiltà perugina di origine signorile: fino al 1280 la famiglia del padre deteneva parte della signoria del castello di Montone, nel contado di Perugia, mentre la madre apparteneva alla famiglia dei Montemelini, titolare nel XIII secolo di vari diritti signorili intorno al Lago Trasimeno. A Perugia, i Fortebracci sono esponenti di primissimo piano della fazione dei Beccherini, considerata come il partito della nobiltà. Quando nel luglio 1394 uno scontro tra le due fazioni vide il prevalere dei Raspanti, i Fortebracci furono espulsi dalla città insieme con molte altre famiglie della nobiltà.
Dal 1414 B. aveva il titolo di comes Montonis (rilasciato da chi?). Nelle principali città umbre entrate a far parte del suo dominio, gli viene dato il titolo di dominus civitatis .
A Città di Castello gli fu riconosciuto il titolo di Conservatore della Libertà tifernate. Per le altre città o centri, la bibliografia consultata non dà nessun informazione precisa su questo punto.
Anche se sempre intenzionato a coronare il suo sogno di dominare Perugia, B., secondo la tradizione di famiglia, fu sempre molto vicino a Città di Castello, dato che il suo luogo di origine, Montone, si trova fra le due città. Nel 1409 fece un’entrata solenne, nella quale fu felicemente accolto dalla città, e ne approfittò per lasciare ivi la famiglia, proseguendo le sue campagne. Nel 1414 fu onorato della cittadinanza. Quando nel 1416 diventò signore di Todi, Orvieto e Perugia, B. era allora uno dei due o tre più importanti condottieri di tutta l’Italia centrale e c’è evidentemente uno legame molto stretto tra i successi militari di B. e il passaggio di queste tre città sotto la sua dominazione. E’ particolarmente chiaro nel caso di Perugia, che si arrese a B. dopo la severa sconfitta subita dai suoi mercenari a Colle della Strada il 12 luglio, ma lo stesso vale per Orvieto e Todi che si inchinarono di fronte alla netta superiorità militare di B. e gli offrirono la signoria pur di evitare il trauma di un’occupazione violenta. Lo stesso si può dire per le altre conquiste di B., che nel 1407 aveva ottenuto senza combattere la signoria di Rocca Contrada, nelle Marche, e nel 1419 sarà festosamente accolto dagli spoletini ben consapevoli di non poter opporre nessuna resistenza ad un eventuale assedio da parte del grande capitano. Ma è anche vero che B. seppe approfittare del caos e dell’insicurezza che regnava allora in gran parte dello Stato della Chiesa per incitare gli abitanti di queste città ad optare per una dominazione che offriva migliori garanzie in materia di protezione militare e di pace interna. C’è da aggiungere, riguardo a Perugia, che B. poteva contare in questa città sull’appoggio di una delle due fazioni, quella dei nobili nella quale la sua famiglia occupava una posizione di primo piano e con quale B. era rimasto in stretti rapporti durante tutta la sua carriera militare. Nella primavera del 1422 raggiunse un compromesso con il pontefice, che gli cedette le sue ragioni su Città di Castello in cambio di altre terre della Chiesa che aveva occupato. Il papa tuttavia comunicò a B. che avrebbe dovuto conquistarsi da solo la preda, e il Fortebracci si avvicinò perciò alla città con il suo esercito, iniziandone l’assedio il 7 luglio, accompagnato da numerosi fuoriusciti tifernati, fra i quali spiccavano i Vitelli. Dopo un breve assedio, il 29 agosto fu concluso l’accordo di resa e il 3 di settembre B. fece il suo solenne ingresso in città.
Sarebbe interessante chiedersi perché Braccio sia stato, tra tutti i condottieri operanti nell’Italia dei secoli XIV-XV, l’unico ad essere riuscito a costruire dal niente una signoria pluricittadina di tale ampiezza. La risposta a tale quesito non potrà venire che da un confronto serrato con gli altri esempi di signori condottieri ma è possibile già da ora individuare due elementi che contraddistinguono nettamente la vicenda Braccio. Il primo è da cercare in un aspetto ben particolare della personalità “militare” di Braccio. Sulla scia della grande biografia di stile ‘eroica” dedicata a Braccio dall’umanista Campano, si è preso l’abitudine di attribuire gran parte dei successi militari del condottiere perugino alla tattica di cui sarebbe stato l’inventore e che consisteva nel lanciare contro l’avversario ondate di corpi di limitata entità e nel lasciare loro il tempo di riprendere fiato e di rinfrescarsi tra due assalti. A questa tattica si opponeva quella attribuita a Muzio Attendolo Sforza, il grande rivale di Braccio, che puntava al contrario sulla compattezza e sul sincronismo di manovra dei vari corpi del suo esercito. Si può già ravvisare nella tattica prediletta da Braccio un’attenzione particolare per la condizione fisica dei suoi soldati, che ritira dal campo di battaglia prima che siano arrivati al limite delle loro forze. Ma Braccio non si preoccupava solo di risparmiare le sofferenze fisiche dei suoi soldati. Per lui la forza di un esercito risiedeva essenzialmente nella sua coesione, la quale a sua volta dipendeva dai legami che univano tra di loro i soldati e i soldati al loro capitano. Braccio favoriva dunque il reclutamento di mercenari molto giovani e poi li incitava a compire nella sua compagnia tutti i gradi della carriera militare. Più che in una improbabile tattica vincitrice, la grande forza di Braccio come capitano di guerra gli viene dalla coesione delle sue truppe e della loro fedeltà nei suoi confronti. A ciò va aggiunto il fatto che una parte consistente delle sue truppe è costituita da perugini e spesso da perugini che appartengono, come Braccio, alla fazione dei nobili. Ora, è questo è il secondo elemento che distingue la carriera di Braccio di quella dei suoi colleghi, Braccio non ha mai smesso di prestare la massima attenzione a ciò che succedeva nella sua città natia, come se avesse sempre accarezzato il progetto di tornare in patria e di svolgere un ruolo maggiore nel governo della sua città. E’ del resto significativo che, all’infuori di una sola spedizione a Bologna, non si sia mai avventurato a nord dell’Appeinnino, come se avesse sempre voluto tener d’occhio ciò che succedeva a Perugia e dintorni.
Sembra che anche nelle città conquistate con la forza delle armi, come fu il caso di Perugia, B. abbia poi ricevuto il plenum dominium da parte degli organi del comune e che la dedizione abbia quindi avuto tutti i crismi di una legittimità almeno formale. A Perugia è l’assemblea delle arti a concedere al nuovo signore plenum et omne dominium dicte civitatis, fortie et districtus cum mero et misto imperio et omnimoda gladii potestate.
Nei capitoli della pace conclusa il 26 febbraio 1420 con il papato figura la concessione a B. del vicariato apostolico su Perugia, Assisi, Todi e vari castelli dell’Umbria e delle Marche. Non sembra che Martino V abbia annullato tale concessione dopo la ripresa delle ostilità con Braccio. Dopo essere entrato al servizio della regina Giovanna di Napoli, Braccio ricevette titoli e cariche molto prestigiosi come per esempio nel 1423 il titolo di principe di Capua, finora riservato a membri di famiglie reali
Del resto, fin dal 1422 Braccio poté contare, relativamente al suo dominio sopra Città di Castello, su di una legittimazione previa, dato che il papa gli aveva ceduto le sue ragioni sul centro, in virtù di un accordo appena raggiunto.
Anche quando sarà diventato, a partire dal 1416, signore di alcune delle più importanti città dell’Umbria, B. rimarrà prima di tutto un condottiere che dedica al mestiere delle armi la più gran parte del suo tempo e della sua energia. Sono di conseguenza chiamati a svolgere un ruolo centrale, a capo delle singole città del suo dominio, i luogotenenti da lui nominati detentori di tutte le prerogative riconosciute al signore dagli atti di dedizione. Non c’è dubbio che, nelle due più importanti città del suo dominio, Perugia e Orvieto, i luogotenenti abbiano effettivamente esercitato la totalità dei poteri conferiti a B., ossia nominare i magistrati, fare e disfare le leggi e, più generalmente, prendere qualsiasi tipo di decisione, anche in campo giudiziario, senza riferire ai consigli e senza tener conto delle norme statutarie. Al solo signore è tuttavia riconosciuta la facoltà di emanare atti autoritativi sotto forma di mandata domini. Non pare esagerato quindi parlare di una forma di potere apertamente autocratica. Ciò posto, le istituzioni comunali continuano ad esistere e anche a funzionare laddove il signore o il suo luogotenente non intendono intervenire. Finora non è stata fatta nessuna indagine sistematica sull’abbondante documentazione superstite in comuni come Perugia e Todi ed è quindi impossibile dire quale sia stato lo spazio di autonomia lasciato ai comuni di queste città. A giudicare dallo spoglio delle riformagioni orvietane condotto da Valentini, sembra che il principale compito dei luogotenenti di B. sia stato reperire nuove risorse per rispondere alle esigenze finanziarie del signore: B. richiedeva infatti sempre più soldi dalle città del suo dominio e toccava ai suoi luogotenenti fare in modo di soddisfare le richieste del signore. Dopo il reperimento dei sussidi da mandare a B., gli altri due settori dell’attività di governo a richiedere frequenti interventi da parte dei luogotenenti erano probabilmente quello della difesa del territorio comunale e del mantenimento dell‘ordine all’interno della città, spesso turbato o da tentativi di ribellione o da violenze tra fazioni. Lo stesso Valentini è l’unico studioso a fornire, per la sola città di Orvieto, un elenco pressoché completo dei luogotenenti di B. Fornisce anche alcune indicazioni interessanti sui cancellieri nominati da B. ma non sufficienti per consentirci di valutare il peso specifico di questa categoria di ufficiali nell’apparato burocratico del nuovo potere.
Come ogni altro condottiere del suo tempo, B. era stato, nel corso della sua lunga carriera militare, al servizio di numerosi principi e città. Diventato padrone di un’ampia dominazione territoriale, non smise di combattere al servizio di vari datori di lavoro e non è facile distinguere, nei suoi rapporti con le altre potenze, le scelte fatte dal signore e quelle fatte dal condottiere. Di sicuro, mantenne sempre buoni rapporti con i titolari delle signorie cittadine più vicine, i Trinci di Foligno, i Chiavelli di Fabriano e i da Varano di Camerino; tutti presenti nel 1420 ai festeggiamenti per il suo secondo matrimonio con una sorella del signore di Camerino. Lo stesso si può dire dei suoi rapporti con Firenze che gli affidò a varie riprese importanti comandi militari. Del tutto comprensibile invece l’ostilità del papato verso un signore la cui dominazione si estendeva nel cuore dello Stato della Chiesa e che usurpava i diritti più elementari della sovranità pontificia. Di fatto, i rapporti tra le due potenze furono pessimi e segnati da continue azioni di guerra, eccezione fatta di un breve periodo di pace ottenuta grazie alla mediazione di Firenze (1420) e che durò poco più di un anno.
Nel 1420 B. passa al servizio della regina di Napoli Giovanna II con il compito di combattere contro Luigi III d’Angiò candidato designato dal papa al trono di Napoli e quindi rivale di Alfonso d’Aragona scelto dalla regina per succedergli. Dopo la rottura tra la regina e Alfonso, avvenuta nel giugno 1423, B. cercherà di mantenere una posizione di neutralità e finirà per schierarsi con il re di Aragona. Verrà sconfitto dall’esercito di Giovanna e dei suoi alleati, il papa e il signore di Milano.
A partire dal 1420, B. diede avvio ad alcune opere civili destinate sia ad abbellire la città di Perugia sia a migliorare le condizioni del suo territorio. Appartengono alla prima categoria le logge della piazza di S. Lorenzo, le volte che sorreggono la piazza del Sopramuro e il rifacimento di parte delle mura cittadine, alla seconda lo scavo di una lunga galleria sotterranea per regolare il livello delle acque del lago Trasimeno e rendere irriguo parte del territorio a sud del lago. Sempre a Perugia promosse il restauro della chiesa di S. Francesco e affidò infine a vari pittori il compito di decorare la sua casa di Montone.
Suo architetto di fiducia fu Fioravante Fioravanti da Bologna legato a B. fin dal 1417, quando fornisce un disegno per una torre da edificarsi a Marmore nel ternano. Si deve a lui anche il progetto delle logge di San Lorenzo , la cui costruzione era stata deliberata nel 1415 ad deambulandum et negotiandum. In realtà si era dato avvio alla fabbrica soltanto il 19 febbraio del 1423, a 5 giorni di distanza dalla solenne incoronazione di B. E’ inevitabile interrogarsi sulle motivazioni che spinsero B. a far costruire nel breve volgere di un anno una loggia, elemento architettonico estraneo alla tradizione locale. Si dovrà però ricordare che proprio questo spazio urbano era stato per oltre due secoli il luogo più significativo per la messa in scena di pubbliche cerimonie. La loggia di B. andava infatti a sostituire la trasanna di S. Lorenzo situata alla base del campanile di San Lorenzo, vero centro sacrale e politico della piazza. Anche molto tempo dopo la costruzione dei due palazzi pubblici questo spazio continuava ad assolvere una funzione centrale per le vicende cittadine soprattutto riguardo ai fatti militari. Come già ricorda il Pellini e ripete il Siepi, non era che qui o all’interno della Cattedrale che si potevano prendere decisioni legate alla pace e alla guerra. E’ ancora qui che da lungo tempo i Priori delle Arti, in uno scenario accuratamente predisposto con palchi di legno rivestiti di stoffe pregiate, ricevevano i palii di sottomissione delle città soggette in occasione della festa di S.Ercolano. E’ dunque evidente da parte di B. il tentativo di connotare in senso signorile e quasi personalistico il luogo più sacro della città, tanto più importante anche a causa della sua politica di espansione, quasi una restaurazione di un potere che si andava a confrontare con i trionfi del Comune di Perugia della fine del XIII secolo, momento in cui la città torna entusiasticamente ad identificarsi. A sottolineare il valore del Signore, oltre al suo stemma ancora oggi visibile che doveva trovarsi in origine nella arcata centrale del loggiato, più volte spostato, vi erano inserite due iscrizioni celebrative che ne ricordano la invincibile forza militare. Con la fine di B. e la ricostruzione della cattedrale, le logge perderanno la loro funzione legata all’astro del leggendario condottiero.
Nel 1423 Nicola di Martino sovrastante nove costructioni loggie quod ipsius fit in capite platee perusine, riceve un pagamento di milletrecentocinquanta lire per la fabbrica. Il 28 gennaio 1424 si convoca da Montone maestro Fioravante ut veniret ad videndum loggiam factam in capite platee perusine momento dunque che sembra segnare il termine dei lavori e dare indicazione precise anche sul ruolo del maestro bolognese.
A Montone B. fa riedificare a Fioravante la rocca non senza l’intervento di altri maestri ( Nanni di Guido da Settignano) e ne affida la decorazione ad Antonio Alberti, giovane e abile pittore di origine ferrarese, che aveva cominciato la sua carriera a Urbino accanto a Lorenzo Salimbeni, e che tra 1423 e 1424 riceve cospicui pagamenti come “pictor domorum illustrissimi et excellentissimi domini nostri Bracci in castro Montoni” (Silvestrelli, 1997, pp.68-81). Le decorazioni profane sono andate distrutte con le case di B., ma rimangono i resti degli affreschi nell’abside di San Francesco, opera dello stesso Alberti, anche questi da ricondurre alla committenza di B. in virtù degli emblemi araldici ancora presenti. Altri pittori perugini attivi anche a Montone al servizio di B. furono Pietro della Catrina, Policleto di Cola e soprattutto Baldassarre Mattioli.
Documenti inediti dimostrano il forte legame personale di Fioravante con B. al quale vende per la somma di mille lire alcune sue proprietà a Firenzola, in un momento di gravi difficoltà del maestro accusato di uxoricidio. Alla morte del condottiero, Fioravante riprende la via di Bologna dove è ricordato con parole di apprezzamento da una lettera che Iacopo della Quercia scrive da Bologna all’operaio del Duomo di Siena: “ e chostui fecie lo chastello di Bracio in Perugia, ed è di buono ingegnio…, e simile pocho aopera chazuola od altra manualità ma molto fa far bene sua opera…”.
A motivi di carattere strategico-militare si riferiscono gli interventi per migliorare la difesa di Porta Eburnea e Porta San Pietro con la realizzazione della Porta di Braccio o di San Costanzo accanto all’abbazia di San Pietro, e dell’antemurale che va da Santa Giuliana alla Porta dei Ghezzi, visibile ormai solo nella pianta dell’Eusebi (1602). Altra impresa di un certo rilievo sono le Briglie di Braccio realizzate in uno dei luoghi più impervi di Perugia, sempre a rischio di smottamenti.
Nel 1421 essendosi verificata la necessità di un intervento di restauro alla chiesa di san Francesco al Prato, B. indice un concorso a cui partecipano con i loro progetti (cedole) Paolo France, Sano di maestro Matteo da Siena e Andrea di Giusto da Arezzo. Risulta vincitore il terzo “concorrente” Bartolomeo di Pace che fa realizzare due archi rampanti tuttora esistenti nella parte sinistra della chiesa presso la sacrestia.
Susciterà l’ammirazione di Enea Silvio Piccolomini la creazione dell’emissario del Lago Trasimeno volto alla bonifica delle zone limitrofe rendendo dunque di nuovo redditizia una delle entrate più significative del Comune di Perugia: la Comunantia fructus aque lacus . I lavori a questa opera grandiosa iniziano nel 1421 sotto la soprastanza di Nicolò di Ercolano e il canale artificiale entra in funzione già nel febbraio del 1422 (Regni , 1988, pp.173-177).
In tutte le città di cui diventò signore, B. dichiarò di voler governare al di sopra delle parti e riportare la pace tra le fazioni. In realtà non si privò di favorire la fazione a lui più vicina, per esempio i Muffati a Orvieto, ed a Perugia, anzi, fu lo stesso B., ad essere considerato come il principale leader di una delle parti cittadine. Inevitabilmente, la politica partigiana suscitò tutta una serie di ribellioni o tentativi di ribellione di cui siamo ben lontani dal conoscere l’elenco completo. Non sembra che, in nessuna delle città del dominio braccese, questi oppositori siano però riusciti a trascinare una fetta importante della popolazione cittadina. Da lì a dire che le popolazioni abbiano attivamente appoggiato un sistema di potere che tutto sommato soddisfaceva una parte delle loro attese, è tuttavia affermazione che sarebbe azzardato compiere allo stato attuale delle nostre conoscenze. Quello che pare invece sicuro, è che a Perugia si sia verificato sotto la signoria di B. una progressiva fusione tra la vecchia nobiltà cittadina e le famiglie più eminenti del popolo grasso e che questo nuovo ceto magnatizio, che dopo la caduta di B. governerà la città per tutto il XV secolo, abbia costituito in città la base più sicura del potere di B.
I giudizi dei contemporanei su B. sono naturalmente in gran parte determinati dalle scelte politiche di ciascuno ma non c’è dubbio che la maggior parte di essi sia stata colpita dai successi militari e politici di B. e abbia visto nella sua vicenda il segno di un destino del tutto eccezionale. Ma è soprattutto per gli umanisti che B. rappresenterà uno degli esempi più compiuti di una vita tutta svolta all’insegna della virtù e della fortuna. Esemplare da questo punto di vista la Vita Braccii, scritta un po’ dopo la metà del XV secolo dal Campano, autore di altre due opere biografiche dedicate l’una a Pio II, l’altra a Federico da Montefeltro.
Durante l’infruttuoso assedio dell’Aquila, difesa dalla lega costituita tra Giovanna II, Martino V e Filippo Maria Visconti, B. fu gravemente ferito morendo dopo tre giorni di agonia. Sebbene un “gran consiglio” perugino affidasse la reggenza al figlio naturale Oddo, questi non poté impedire il crollo quasi immediato dello “stato di Braccio”. A Città di Castello tuttavia era presente la sua vedova, Nicola da Varano, che, non ostante un tumulto scoppiato alla notizia della morte del signore, cercò di mantenere il dominio della città per conto del figlio minore. Per far ciò cercò l’appoggio di suo fratello, signore di Camerino, il quale sostituì gli officiali in carica con camerti, suoi fedeli, in modo da garantirsene la fedeltà.
Fonti: G.A. Campano, Braccii Perusini vita et gesta ab anno 1368 usque ad 1424, auctore Johanne Antonio Campano, a cura di R. Valentini, RIS2, t. 19.4, Bologna, Zanichelli, 1929, pp. 173, 186-90; A. Ascani, Due cronache quattrocentesche, Città di Castello, Scuola Grafica dell’Istituto Professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato, 1966, pp. 25-8.
Studi: Braccio da Montone e i Fortebracci. Atti del convegno internazionale di studi, Montone 23-25 marzo 1990, Narni, 1993; P. L. Falaschi, Fortebracci, Andrea (detto Braccio da Montone), (sub voce) in DBI, 49, Roma 1997; G. Muzi, Memorie civili, vol. I, in Id., Memorie ecclesiastiche e civili di Città di Castello, raccolte da M.G.M.A.V. di C. di C., con dissertazione preliminare sull'antichità ed antiche denominazioni di detta città, Città di Castello, F. Donati, 1844 (ristampa anastatica Città di Castello, Phromos, 1988), pp. 236-8, 244-9, 252-3.
le informazioni relative a Perugia, Todi, Orvieto, Terni, Città della Pieve e Spoleto sono a cura di J.C. Maire Vigueur, quelle relative a Città di Castello sono a cura di G.P.G. Scharf; il campo Urbanisitica è a cura di M.R. Silvestrelli.