di:
Giovanni Ciccaglioni
1300 circa- 26 maggio1355
Vedi scheda famigliare.
Vedi scheda famigliare; Francesco era figlio di Buonaccorso di Gherardo.
Francesco arrivò ai vertici della vita politica pisana grazie allo zio Andrea, del quale raccolse l’eredità di capo della fazione bergolina quando quest’ultimo morì, nel 1351. Fin dal 1348 Francesco fu presente nelle istituzioni locali, come dimostra il ruolo svolto in occasione dell’elaborazione della Massa delle Prestanze. In diverse occasioni egli fu Anziano del «popolo» e membro delle commissioni dei sapientes. Tra il 1349 e il 1351, ricoprì la carica di soprastante alle masnade, incarico di natura tecnico amministrativa che di fatto consentiva a chi ne era investito di controllare le truppe mercenarie del Comune. Per l’ascesa della famiglia ai vertici della vita politica pisana cfr. scheda famiglia Gambacorta.
Nel marzo del 1348 Francesco Gambacorta Cecco Agliata, Bergo Ganti e Matteo Gatto elaborarono la Massa delle Prestanze. Si trattava di uno strumento di unificazione e consolidamento del debito, con il quale le autorità uniformarono i vari tassi di interesse che fino ad allora erano stati garantiti sulle somme prestate al Comune. Venne introdotto un tasso unico, calcolato al 10% e fu vietata la trasferibilità dei titoli di credito. A copertura della Massa furono impegnate le entrate derivanti da svariate imposte indirette, tra cui quelle sulla vendita del sale di Pisa, Piombino e Castiglione della Pescaia e soprattutto i proventi della vena del ferro dell’isola d’Elba, allora dominio diPisa.
Proprio il controllo su tale risorsa differenziava già da tempo il sistema fiscale pisano da quelli di altre città toscane, Firenze, Siena, Lucca, e influenzò anche le scelte praticate dai quattro sapientes. Infatti, proprio la certezza di poter disporre di un flusso di entrate sicuro, come quello garantito dal ferro, fu l'elemento che convinse i Savi a non dichiarare irredimibile il debito. Fintanto che Pisa avesse avuto il controllo dell'isola d'Elba, il fisco cittadino avrebbe potuto disporre di una entrata certa i cui proventi, presto o tardi, avrebbero permesso di estinguere tutti i debiti.
Un rapido confronto tra la Massa pisana e il Monte fiorentino, messo a punto tra il 1343 e il 1347, permette di comprendere meglio il significato delle scelte operate dai quattro sapientes. L'impossibilità di rimborsare i creditori fu la ragione principale che spinse il Comune fiorentino a consolidare i debiti contratti nel recente passato. A partire dal febbraio del 1345, dopo aver dichiarato la propria insolvenza, e fino al 1347, le autorità di Firenze adottarono provvedimenti volti a garantire ai creditori la percezione regolare dei propri interessi. In primo luogo si decise di registrare le diverse prestanze in un unico libro e il tasso di interesse applicato fu diminuito e portato al 5%. La trasferibilità dei titoli fu l'elemento che contribuì maggiormente a decretare il successo del Monte presso i cittadini e non solo. La registrazione dei creditori e dei crediti in un unico libro è forse l'unica analogia che accomuni la Massa pisana e il Monte fiorentino. Il tasso di interesse proposto dalle autorità della città tirrenica era il doppio di quello praticato a Firenze, e soprattutto a Pisa fu sempre vietato il libero commercio dei titoli.
Francesco Gambacorta si adoperò in prima persona per favorire una risoluzione pacifica della guerra che, nei primi anni cinquanta, oppose Firenze ai Visconti di Milano. Egli, insieme al fratello Lotto, fu il principale artefice della pace di Sarzana che, nel marzo del 1353, pose fine a quel conflitto.
Cfr. scheda Gambacorta, Andrea.
Anche Francesco, come già lo zio Andrea, godette dell’appoggio e del sostegno di numerosi esponenti delle più importanti famiglie nobili cittadine, Lanfranchi, Gualandi e Sismondi. Ad essi continuarono a contrapporsi, anche se non apertamente, coloro i quali si riconoscevano nella fazione dei Raspanti, capitanata a suo tempo da Tinuccio Della Rocca. Francesco divise a lungo il controllo sulla pars bergolina, e di conseguenza su Pisa, con Francesco, detto Cecco, Agliata, membro di una delle più importanti famiglie di mercatores di «popolo». Anzi, si può affermare che Andrea Gambacorta e Cecco di Betto Agliata prima, quest'ultimo e Francesco poi, furono i principali protagonisti dei processi decisionali pisani negli anni successivi alla morte di Ranieri Novello di Donoratico. I documenti pubblici emanati nel triennio 1349-1352 lasciano intravvedere una situazione nella quale Francesco Gambacorta e Cecco Agliata paiono godere del medesimo prestigio, e sembrano svolgere un ruolo identico nell'ambito dei processi decisionali del Comune. Tuttavia, a una lettura più attenta si nota che il Gambacorta non si limitò, come l'Agliata, a partecipare alle commissioni dei sapientes in veste di Savio: al contrario, a volte il contenuto delle missive che egli aveva ricevuto diveniva l'argomento all'ordine del giorno per i sapientes stessi. In diverse occasioni Francesco Gambacorta ricevette missive e richieste provenienti da altre realtà politiche. Tutto ciò suggerisce che, fin dal 1349, il ruolo politico svolto da Francesco Gambacorta in città fosse qualitativamente differente rispetto a quello di Cecco Agliata. Quest'ultimo dovette confrontarsi non solo con Francesco, ma anche con l'ascesa dell'intero gruppo familiare del Gambacorta. Il 3 settembre del 1349, ad esempio, i notai incaricati di trascrivere le provvisioni dei Savi registrarono che quel giorno la commissione di sapientes chiamati a rispondere a una petizione presentata dagli uomini dell'isola d'Elba, si erano riunita in presentia Nicolai Gambecurte. Un altro fratello di Francesco – oltre a Lotto, mediatore tra Firenze e Milano negli anni della guerra tra le due città - era stato dunque coinvolto nella conduzione della vita politica cittadina e in quella occasione era stato chiamato a controllare, e quindi a legittimare, l'operato dei sapientes.
Probabilmente la diversa struttura familiare, più robusta e articolata quella dei Gambacorta con un numero maggiore di maschi adulti rispetto agli Agliata, incise sulle dinamiche della vita politica, così che gli assetti dei vertice del nuovo regime videro un precoce sbilanciamento a favore di Francesco Gambacorta. Col passare degli anni si consumò un lento ma inesorabile allontanamento tra Francesco e Cecco e quest’ultimo divenne uno dei principali oppositori del Gambacorta.
Due giudizi assai interessanti sulla parabola politica di Francesco Gambacorta provengono dall’anonimo estensore della Cronica di Pisa. Entrambi riguardano il periodo conclusivo di quell’esperienza di potere. Nel primo, p. 155, si da una valutazione del regime gambacortiano al 1354, quando «si reggie<a> Pisa li Ganbacorta e lloro seguaci in grande e buono stato, e ll’entrate del Comune di Pisa si brigavano di guardare e di mantenere la ragione del Comune, e ssì di riparare a l’opre delli riei homini e di mantenere e volere pacie con tutti loro vicini di Toschana. E aoperonno tanto che lla canbera del Comune di Pisa avea pió di dugentocinquanta miglaia di fiorini d’oro. E cierti citadini di Pisa izdegnonno contra li ditti Ganbacorta perché da Conservatore | né da Podestà né da Capitano del Populo né d’altri uficiali neuno citadino potea aver gratia né alcuno servigio senssa volontà e licientia de li Ganbacorta. Di che li citadini male si conttenttavano, ma nullo avea ardimento di dire o d’operar cosa che ffusse loro in dispiacere».
Il secondo, invece, illumina un aspetto della storia politica di Pisa nel Trecento a tutt’oggi ancora da approfondire: i rapporti tra le famiglie eminenti «del popolo» e i rustici del contado. Infatti, secondo quanto riporta la Cronica di Pisa a p. 162, nei momenti decisivi dello scontro finale con i propri oppositori, siamo nel 1355, Francesco se «avesse avuto cuore d’omo, elli avea posse dimolti fanti di Valdera e di Collina e d’altro contado di Pisa, e ssìe dei molti citadini della loro parte, e anco avea lo domi<n>o della maznada da cavallo, elli li potea metter al filo delle spade ed esser altutto vinccitore». Queste poche righe non ci permettono di stabilire se gli uomini provenienti dal contado su cui, almeno secondo il cronista, il Gambacorta avrebbe potuto contare erano stati assoldati sul momento, oppure se militavano da sempre al servizio del Gambacorta. E perciò non sappiamo neanche se, data la loro provenienza - Valdera e Colline erano le zone di origine della famiglia di Francesco – tra di loro figurassero eventuali homines dei Gambacorta stessi, magari legati loro tramite vincoli di dipendenza maturati all’interno di un tentativo di “neosignoria” portata avanti dalla famiglia a partire dagli ultimi anni. Cfr. scheda famiglia Gambacorta.
Francesco fu giustiziato il 26 maggio del 1355 insieme ai fratelli Lotto e Bartolomeo e ad altri loro sostenitori. La condanna a morte arrivò al termine di un periodo assai convulso, che vide il regime gambacortiano incrinarsi progressivamente, a partire dall’arrivo in città di Carlo IV di Lussemburgo, nel gennaio del 1355. Sul finire del 1354, quando l’arrivo di Carlo in Italia era ormai imminente, Francesco e gli altri Bergolini inviarono ambasciatori al futuro imperatore per chiedere la conferma dello status quo locale. L’entrata in città di Carlo, nel gennaio del 1355, sembrò confermare gli auspici dei Gambacorta, i quali ebbero il privilegio di ospitare nelle proprie case il futuro imperatore. Invece, l’arrivo di Carlo permise ai Raspanti, tra i quali figurava ora anche Cecco Agliata, di strappare al Re dei Romani l’impegno di provvedere a un riequilibrio tra le partes. Carlo approfittò della divisione tra cives eminenti per accettare la signoria sulla città, che sia i Bergolini che i Raspanti gli offrirono, gli uni in contrapposizione agli altri. Pur avendo accettato l’offerta, Carlo dovette restituire la signoria dopo poco tempo, a causa dell’acuirsi delle tensioni tra le parti. Tornato da Roma nell’aprile del 1355, Carlo fu nuovamente coinvolto negli scontri tra Bergolini e Raspanti. Questi ultimi riuscirono a portare dalla propria parte l’entourage imperiale e ottennero l’arresto e l’incriminazione, come nemici del Comune, di Francesco e dei suoi principali sostenitori. Un rapido processo si concluse con la condanna a morte per alcuni e l’esilio per altri, tra cui il futuro signore della città, Pietro Gambacorta, uno dei figli di Andrea.
Archivio di Stato di Pisa, Comune, Divisione A, nn. 33, 34, 56-58, 74, 113-121, 197; Ibidem, Dipl. Nicosia 1335 luglio 14; Ibidem, Miscellanea Manoscritti, 84.
Fonti: Statuti inediti della città di Pisa dal XII al XIV secolo, a c. di F. Bonaini, 3 voll. , Firenze 1854.-1870; Cronica di Pisa. Dal ms. Roncioni 338 dell’Archivio di Stato di Pisa. Edizione e commento, a cura di C. Iannella, Roma 2005 (Fonti per la storia dell’Italia medievale, Antiquitates, 22).
Studi: E. Cristiani, Le più antiche proprietà fondiarie dei Gambacorta, in Studi in onore di A. Fanfani, II, Milano 1962, pp. 385-406; F. Ragone, Gambacorta Francesco, in Dizionario Biografico degli italiani, vol. LII; M. Tangheroni, Politica, commercio e agricoltura a Pisa nel Trecento, Pisa 2002, (1ª ed. 1973); G. Bennati, Un libro di memorie e possessioni. Un libro del dare e dell'avere. Per la biografia di un uomo di affari pisano del Trecento: Cecco di Betto Agliata, Pisa 2002; A. Poloni, Trasformazioni della società e mutamenti delle forme politiche in un Comune italiano: il Popolo a Pisa (1220-1330), Pisa 2004; G. Ciccaglioni, Conservator boni et pacifici status. Alcune osservazioni sugli equilibri politico istituzionali a Pisa nel Trecento, in C. Iannella (ed.). Per Marco Tangheroni. Studi su Pisa e sul Mediterraneo medievale offerti dai suoi ultimi allievi. Pisa 2005.