di:
Maria Teresa Caciorgna
Seconda metà del ‘200 – 1329.
1319-1329.
Viterbo.
Discendente da una stirpe che sin dagli inizi del XIII secolo appare una delle più ricche e potenti della Viterbo comunale, Silvestro mantenne la tradizione di supremazia cittadina che, tuttavia, all'epoca in cui egli fu attivo era messa in crisi dai mutati equilibri tra le forze politiche nella provincia del Patrimonio. I Gatti avevano consolidato il prestigio nella vita cittadina nel XIII secolo quando i suoi antenati avevano partecipato alla vita politica in ruoli di primo piano e avevano edificato chiese e conventi in Città. La svolta in senso signorile fu iniziata da suo padre Raniero con l’acquisto del castello di Cornossa, a nord di Viterbo, tra Montefiascone e Marta, che Silvestro Gatti cominciò a ricostruire nel 1323, nondimeno le proprietà fondiarie, vigne e orti, oltre all’allevamento del bestiame, in particolare ovini, costituivano la base patrimoniale, alla gestione della quale Silvestro partecipava attivamente.
Nacque da Raniero, a sua volta figlio di Raniero Gatti di Viterbo eponimo della famiglia, e da Alessandrina di Pietro degli Alessandri, altra ricca famiglia viterbese.
Egli, schierato dalla parte imperiale, tradì la militanza che i suoi antenati avevano manifestato per la pars Ecclesie.
Defensor populi di Viterbo dal 1319 al 1329. Nel 1327, quando Ludovico il Bavaro entrò nel Patrimonio, il G. aderì prontamente alla causa imperiale: l’imperatore fu accolto festosamente a Viterbo il 2 genn. 1328 e nominò Silvestro, che gli aveva consegnato le chiavi della città, vicario imperiale, legittimando la signoria che esercitava.
Dopo il trasferimento della sede papale ad Avignone, il Patrimonio di S. Pietro in Tuscia era divenuto scenario di violenti scontri causati dai tentativi espansionistici di Roma e dei maggiori signori della provincia, ai quali si aggiungeva la politica aggressiva della famiglia dei di Vico, sostenitrice della parte imperiale. La sostituzione nel 1317 di Bernardo di Coucy con il rettore Guglielmo Costa fu favorevole al Gatti. Il nuove rettore organizzò subito la riscossa contro i di Vico e le altre forze ghibelline. È probabile che fosse concordata con il Costa l'azione armata guidata dal G., il quale nel 1319 assunse la carica di defensor populi. Su questo episodio, del quale le cronache viterbesi tacciono, siamo informati dalle deposizioni del processo, tenutosi nel 1357, per il possesso dei due castelli di Cornienta Nuova e Cornienta Vecchia; secondo il racconto dei testimoni Silvestro Gatti avanzò con un gruppo di uomini armati ed entrò in Viterbo dalla porta detta Capo la piaggia, sotto la chiesa di S. Francesco, gridando "vivat Sylvester" e "moriatur prefectus". Le deposizioni non concordano sull'anno, ma lo storico viterbese Giovanni Signorelli colloca l'episodio nel 1319, basandosi sulla dichiarazione di alcuni testimoni, secondo i quali il regime del Gatti durò dieci anni, sino alla sua morte nel 1329. A conferma della sua ipotesi Signorelli (1907) cita sia l'epigrafe del 1320, fatta murare dallo stesso Silvestro sulla chiesa rurale di S. Maria delle Farine che egli aveva fatto costruire nella quale è qualificato come defensor), sia la relazione sullo stato della provincia redatta tra il settembre 1319 e il giugno 1320 dal vicario del rettore del Patrimonio, Guitto Farnese, nella quale si fa riferimento alla già avvenuta assunzione della carica di rector et defensor populi da parte do Silvestro Gatti.
1319 e 1320 riconoscimento come defensor populi; 1327 vicario imperiale del Patrimonio di San Pietro in Tuscia.
L'ufficio del defensor era stato instaurato a Viterbo nel 1291, in concomitanza alla trasformazione dell’ordinamento municipale, sotto la pressione della parte popolare. La guida del governo cittadino era stata assunta da una nuova magistratura, gli Otto di popolo, alla quale successivamente venne affiacato il rector et defensor populi, una magistratura che si sovrapponeva a quella del podestà, allora nominato dalla Chiesa, arrivando a snaturarne i poteri. Il primo defensor ricordato, nel 1306, era un cugino del padre del Gatti, Pietro di Rolando Gatti detto Frate Guercio, in carica almeno fino al 1310, in seguito all’arrivo di Enrico VII a Viterbo, sicuramente dal 1312, il defensorato passò a un esponente della famiglia di Vico, Bonifacio figlio di Manfredi. Guitto Farnese, vecovo di Orvieto aveva individuato che i poteri degli Otto di popolo e del defensor civitatis risultavano lesivi dell’autorità degli ufficiali pontifici, e in una relazione a Giovanni XXII del 1319 faceva presente la necessità di abolire la magistratura degli Otto di popolo e l'ufficio del difensore, in quanto non solo veniva svuotato di ogni prerogativa l’ufficio podestarile, ma il defensor, avendo un enorme potere decisionale, finiva per assumere i caratteri un vero e proprio signore ("est quasi totaliter dominus"). Aggiungeva, inoltre il Farnese, che il Gatti, il quale occupava in quel momento la carica, sosteneva di esservi stato confermato dal rettore Guglielmo Costa: il che secondo il Signorelli sarebbe verosimile, dal momento che tra i due personaggi vi erano stati ottimi rapporti al punto che Silvestro Gatti aveva dato a un suo figlio il nome di Guglielmo Costa. Le ferme posizioni del Farnese, divenuto nel frattempo rettore per nomina di Giovanni XXII e il malcontento dei viterbesi, indussero Silvestro Gatti a lasciare l’ufficio, ma egli riuscì a rientrare in Viterbo con l’ assenso dello stesso pontefice, e Silvestro Gatti riprese i pieni poteri cosicché nell'ottobre del 1322 il papa gli ordinava di deporre la carica e sollecitava il rettore a controllare l’effettiva rinuncia, al tempo stesso incaricava il vescovo di Viterbo, Angelo Tignosi, di valutare l'opportunità di rendere esecutivi i provvedimenti per l’abolizione dei due uffici. In definitiva, complici anche i rapporti di Silvestro con il vescovo nulla fu fatto per impedirgli di continuare ad essere signore di Viterbo.
Il Gatti, consapevole della debolezza del potere papale, coltivò nuove ambizioni espansionistiche. Nel 1323 assalì le terre dei Farnese - fedeli alla causa guelfa - e, per avere una base sicura per i suoi piani di conquista territoriale, cominciò a ricostruire, nonostante i divieti papali, il castello di Cornossa (fra Montefiascone e Marta), di sua proprietà e Cornienta nuova e Cornienta vecchia. Nell'agosto del 1325, insieme con Faziolo di Vico, assalì e appiccò il fuoco al castello di Montegiove dei Montemarte per vendicare la morte del figlio Giovanni, scatenando in tal modo una lunga guerra tra Viterbo e Orvieto (a fianco della quale intervenne il rettore), durante la quale venne tra l’altro distrutto il castello di Fiorentino (del distrettodi Viterbo). Attaccò in seguito Orchia e Ghezzo, due castelli della Chiesa.
Il sistema politico dal punto di vista formale non subì mutamenti: le magistrature popolari non vennero sostituite e i podestà continuarono ad essere di nomina pontificia. Egli stesso nel periodo successivo alla presa di potere si lasciò influenzare dalla parte guelfa. Dopo la decisa scelta imperiale la sua azione fu scarsamente incisiva nel controllo delle forze avversarie – in particolare gli ambivalenti rapporti con Faziolo di Vico- soprattutto nel controllo e difesa del contado.
Silvestro Gatti, contrariamente alla tradizione guelfa della sua famiglia, mantenne strette relazioni con le famiglie ghibelline del Patrimonio: i conti di Santa Fiora, i conti dei Baschi, i signori di Monte Marano e di Vitozzo, altalenante fu il rapporto con i di Vico. Con le famiglie guelfe di Orvieto i rapporti furono influenzati dalla forte inimicizia con i Farnese e i Montemarte, tra loro alleate. Secondo i cronisti orvietani, il Gatti aveva combattuto al fianco dello schieramento ghibellino in difesa del rettore pontificio Bernardo de Coucy, assediato dalle truppe guelfe dentro Montefiascone.
Non si conosce il nome della moglie, dalla quale ebbe almeno cinque figli, che si legarano a famiglie della nobiltà cittadina di Orvieto e di Viterbo. Giovanni aveva sposato una figlia di Buonconte di Ugolino Monaldeschi di Orvieto, morì nell’ imboscata del 1324 tesagli dai Montemarte. Teodora, ottenuta la dispensa nel 1322, aveva sposato Silvestro figlio di Azzone, milite di Viterbo, matrimonio che doveva servire a consolidare la pace tra le due famiglie. Lando ( o Rolando) era monaco dell’abbazia di San Martino (al Cimino), - si macchiò dell’uccisione dell’abate e tornato allo stato laicale (ebbe tre figli illeggittimi) divenne il principale oppositore alla signoria di Faziolo di Vico a Viterbo (+ 1343) e tentò in diverse occasioni di recuperare il potere, attaccando i castelli del comune ed anche quelli demaniali. Un altro figlio Fazio sposò Bartolomea di Cornossa ed ebbe un figlio Silvestruccio. Dell’altro figlio Guglielmo Costa, così chiamato in onore del rettore pontificio con il quale Silvestro Gatti aveva avuto relazioni amichevoli, non si sa nulla. Banditi da Viterbo dopo la morte del padre, i figli di Silvestro furono riammessi solo dopo la metà del ‘300. Le relazioni parentali nella società viterbese erano rafforzate dal matrimonio di Bona sorella del vecovo Angelo Tignosi con Nerio Gatti, nipote di Silvestro.
Un prozio Percivalle era stato priore della chiesa di Santo Stefano di Viterbo (almeno nel 1296), il figlio Lando o Rolando entrato tra i cistercensi del monastero di San Martino al Cimino, come già detto, uccise l’abate e in seguito tornò allo stato laicale. Silvestro Gatti potè godere del favore e della costante amicizia del vescovo di Viterbo Angelo Tignosi (1318-1344), che favorì il mantenimento del suo potere a Viterbo, ma dopo la venuta dell’imperatore e l’elezione dell’antipapa (Nicolò V) , il vescovo fu deposto e sostituito da Pandolfuccio Capocci, che era stato amministratore della stessa sede vescovile.
Aveva grande devozione perla Vergine e in suo onore edificò la chiesa di Santa Maria delle Farine.
Silvestro Gatti non ha lasciato a Viterbo grandi opere monumentali, come avevano fatto i suoi antenati nel XIII secolo. A lui si deve l’edificazione della chiesa di Santa Maria delle Farine che doveva essere già terminata nel 1320 come attesta la lapide che egli stesso aveva fatto apporre nella quale viene definito defensor civitatis. Nel 1323, con l’intento di consolidare il suo potere personale, in contrasto conla Chiesa intraprese la ricostruzione del castello di Cornossa proteso verso il lago di Bolsena, sul quale la famiglia aveva dei diritti, riedificò i castelli di Cornienta Vecchia e di Cornienta nuova.
I dieci anni di signoria di Silvestro Gatti furono all’insegna dell’instabilità, determinata dalle altalenanti relazioni con i rettori pontifici, che a ritmo serrato si susseguirono nel Patrimonio di San Pietro in Tuscia. Se di Bernardo de Coucy seppe abilmente sfruttare i legami per estendere il raggio d’influenza verso Orvieto, a Guglielmo Costa fu legato da vera amicizia, invece apertamente ostile si rivelò il successivo rettore Guitto Farnese, che agli inizi del 1322 fece cacciare da Viterbo il Gatti ed i ghibellini. La città giurò fedeltà ai guelfi e al pontefice Giovanni XXII, che si affrettò ad approvare un ordinamento (delibera) che prevedeva il divieto a conti e baroni di soggiornare a Viterbo e di essere ammessi alla cittadinanza, ed inoltre rinnovò la libertà di elezione del podestà se la Chiesa non vi avesse provveduto. Di fatto questo ordinamento riduceva il potere di Silvestro Gatti.
Fu eliminato da una congiura alla quale prese parte Faziolo di Vico, con il quale aveva condotto incursioni contro alcuni castelli della Chiesa come Gezio.
L’adesione del Gatti all’imperatore e all’antipapa furono causa della riscossa che da parte della Chiesa si concentrò su Viterbo. Fu raccolto un esercito degli ufficiali pontifici, al quale aderirono gli Orvietani ed altre famiglie guelfe del Patrimonio con il fine di recuperare Viterbo. Silvestro Gatti riuscì ad evitare la presa della città, ma un complotto contro di lui, ritenuto il responsabile delle tristi condizioni della città e degli interdetti di Giovanni XXII, sobillò la popolazione che si sollevò. Capeggiava la rivolta Faziolo di Vico, che secondo più testimonianze fu l’esecutore materiale dell’uccisione di Silvestro (9 settembre 1329).
Arch. segr. Vaticano, Reg. Vat. 111, cc. 128r, 129r, 132r, 133v, 135r, 331v, 332r; Camera apostolica, Coll., 175, c. 131v; Viterbo, Arch. comunale, Pergg., 373, 376, 447, 1948, 2971; Margarita, I, c. 105v; Mss., II.G.I.18, cc. 12v, 23r, 32r (processo delle Corniente).
L. Manenti, Cronaca, a cura di L. Fumi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XV, 5, pp. 375, 380, 382; C. Manenti, Historie, ibid., pp. 426 s.; Lettres communes de Jean XXII, a cura di G. Mollat, Paris 1904-10, nn. 15743, 15753, 15833; G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, Parma 1991, II, pp. 577, 599, 700; Niccolò della Tuccia, Cronache di Viterbo, in Cronache e statuti della città di Viterbo, a cura di I. Ciampi, Firenze 1872, p. 33; Codice diplomatico della città di Orvieto, a cura di L. Fumi, Firenze 1884, doc. DCXLI p. 460; C. Calisse, I Prefetti di Vico, in Archivio della R. Società romana di storia patria, X (1887), pp. 1-136, 353-594; P. Savignoni; L'Archivio storico del Comune di Viterbo, ibid., XVIII (1895); M. Antonelli, Una relazione del vicario del Patrimonio a Giovanni XXII in Avignone, ibid.; Id., Vicende della dominazione pontificia nel Patrimonio di S. Pietro in Tuscia dalla traslazione della sede alla restaurazione dell'Albornoz, ibid., XXV (1902), pp. 368, 374-378, 386; XXVI (1903), pp. 250-256, 264-267, 274 s.; G. Signorelli, Viterbo nella storia della Chiesa, I, Viterbo 1907; C. Pinzi, Storia della città di Viterbo, III, Roma 1913; Enc. biogr. e bibliogr. "Italiana", C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, III, Appendice, p. 419; E. Dupré Theseider, Roma dal Comune di popolo alla signoria pontificia (1251-1377), Bologna 1952; G. Signorelli, I Gatti, in Bibl. prov. A. Anselmi, Miscellanea di studi viterbesi, Viterbo 1962, pp. 440 s.; A. Carosi, Le epigrafi medievali di Viterbo (secc.VI-XV),Viterbo1986; A. Lanconelli, Gatti Silvestro, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma 1995 (56).