di:
Dario Canzian
1240 ca.- 26 marzo 1306.
15 novembre 1283 – morte di G..
Treviso.
vedi scheda famiglia da Camino. Era figlio di Biaquino II da Camino
capitano generale perpetuo della città e del distretto.
personaggio già di primo piano nel contesto politico cittadino e nel contado, esponente di vertice del raggruppamento guelfo di Treviso (i ‘bianchi’), il 15 novembre 1283, secondo una tradizione storiografica molto risalente, dopo aver affrontato e sconfitto in uno scontro urbano la fazione opposta, la pars rubea, capeggiata da Gherardo Castelli, viene nominato capitano della città; il podestà in carica, Duca Gambaceri da Rimini, viene allontanato. È stato però messo in luce di recente (Varanini 1991, pp. 162-163) come il livello di tensione politica a Treviso nella seconda metà del Duecento fosse in realtà molto basso. In sostanza, Gherardo acquisisce il capitanato nel consenso quasi generale dell’élite cittadina. Lo stesso scontro con la pars gibillina del novembre 1283 non produsse che un morto e poche epurazioni.
Nel Processo Avogari, fonte pressoché unica dei fatti, il notaio Montorio da Villanova, estensore degli atti relativi all’avvio della signoria, poi confluiti negli statuti, ricorda che G. fu fatto capitano generale in perpetuo della città e del distretto «in pleno et generali consilio et arrengo in minori palacio comunis Tarvisii», davanti ad una moltitudine di circa duemila persone, tanto «magnati», quanto «populares» (Il processo Avogari, p. 481). Nella medesima circostanza dell’elezione due consiglieri propongono che gli statuti del comune siano sottoposti alla piena balia del signore. Tra il 1283 e il 1284, infatti, viene promulgato un nuovo statuto, noto appunto come lo «statuto caminese», che riordina, anche attraverso aggiustamenti successivi, l’architettura istituzionale trevigiana.
fin dal primo anno del suo regime G. si avvale di una curia di sapientes, ovvero i più importanti giudici cittadini, menzionata nello statuto del 1284. Inizialmente questa curia svolge funzioni di consulenza sia del podestà che del capitano, ma molto rapidamente la figura del podestà viene estromessa da questo livello decisionale. La curia, che si riunisce nella residenza privata di G., ha prerogative in materia di scelta del podestà, insieme al Consiglio dei Trecento. Accanto al capitano compare poi la figura del vicario, di solito un giudice, con competenza sulla città e funzioni di supplenza nei momenti di vacanza del podestà. A partire dalle provvisioni del 1297 si dice espressamente che il podestà deve essere prima di tutto di gradimento del capitano e della sua curia, e poi anche del Consiglio dei Trecento (Betto 1977, pp. 10-11).
La gerarchia istituzionale è chiara: le magistrature comunali tradizionali si trovano al di sotto degli organi istituiti dalla signoria, ovvero il capitanato, la curia, il vicariato.
Meno chiara è la questione della dialettica signoria-comune rispetto alle diverse vicende giudiziarie che investirono la città sotto il dominio di G., ma forse vi si possono riconoscere i segni di una progressiva sovrapposizione identitaria. Nel processo per la giurisdizione di Oderzo del 1285 si contrappongono il comune di Treviso e i cugini di G., Tolberto e Biaquino, lasciando il signore formalmente fuori dalla contesa; nella lite del 1288 per l’eredità del nobile Ensedisio Guidotti, che vide scontrarsi il comune trevigiano e quello patavino, in una circostanza G. riceve un’ambasceria padovana nella sua residenza «vice communis Tarvisii»; infine, nel confronto con il patriarcato di Aquileia del 1292-1297 per la giurisdizione sulle enclaves patriarchine nel distretto di Treviso e per la revoca dell’interdetto sulla città, G. è parificato al comune negli effetti delle azioni giudiziarie subite e nelle iniziative intraprese, oltre che nella scelta del medesimo procuratore, nominato però in due atti distinti.
La pressione fiscale è segnalata dalle fonti in netto incremento, sia in termini di frequenza delle riscossioni, sia in termini di importi. G., infatti, si trova nella necessità di dover rifondere i consistenti prestiti che gli hanno concesso i padovani Scrovegni, Dalesmanini e Lemizzi. L’esazione pesa in larga parte sulle comunità del contado, lasciando quasi indenne il ceto magnatizio cittadino. Quanto all’organizzazione militare, le competenze del capitano si vedono soprattutto nella scelta del personale di guardia destinato ai sedici castelli del territorio trevigiano, dove «pro comuni Tarvisii et domino capetaneo», opera un gran numero di armati provenienti dalle terre dei Caminesi. In città la sicurezza era garantita da poche schiriguaite fornite dal popolo minuto e da contingenti armati di cavalcatores e pedites, che in genere le fonti definiscono come operativi semplicemente «pro comuni Tarvisii».
Uno dei principali punti di forza della signoria di G. è la sua capacità di coordinare le élites di uno spazio che travalica i confini del distretto trevigiano, allargandosi alle diocesi contermini di Céneda, Feltre e Belluno, dove il signore può contare sul forte sostegno clientelare di cui la famiglia gode in quell’area. In questo modo Treviso risulta promossa al rango di fulcro di un organismo politico in grado di controllare il quadrante territoriale strutturato lungo la valle del Piave, ovvero uno dei principali assi di collegamento tra l’area alpina e l’Adriatico.
Per quanto riguarda la successione, infine, G. associa il figlio Rizzardo alla signoria fin dal 1301.
G. seppe ben destreggiarsi nel quadro regionale dell’Italia nord-orientale. Fin da prima di assurgere alla signoria era stato più volte chiamato a svolgere funzioni arbitrali nelle contese tra il patriarcato di Aquileia, i conti del Tirolo e i conti di Gorizia. Nel 1278 milita a fianco del marchese Obizzo d’Este nella guerra contro Verona che vede coinvolte Padova, Cremona, Brescia, Parma, Modena e Ferrara. Nel 1280 acquisisce poi la cittadinanza padovana. Da signore di Treviso continua a svolgere opera di mediazione nel controverso rapporto tra il patriarca di Aquileia e il conte di Gorizia, Enrico II, salvo sbilanciarsi a partire dal 1297 a favore del secondo, a cui dà in sposa la figlia Beatrice; successivamente egli figura come stretto alleato di Enrico contro il patriarca. Su un altro contesto territoriale sicuri risultano i rapporti con i marchesi d’Este, per conto dei quali forse G. si rese complice dell’assassinio di Jacopo del Cassero, nelle paludi di Oriago (VE). Le relazioni con la vicina Venezia furono quasi sempre collaborative. Sposò dapprima Ailice da Vivaro, della nota famiglia capitaneale vicentina, e poi Chiara della Torre.
dal 1265 era stato nominato capitano generale a vita di Feltre e Belluno dal vescovo locale (le diocesi di Feltre e Belluno erano state unificate da Innocenzo III), ma certamente nel 1294 il capitano non era lui ma Diatalmo Villalta, di una famiglia friulana in ottime relazioni con i Caminesi. In realtà, Feltre e Belluno, pur fortemente interessate dal disegno politico caminese e dalle infiltrazioni di esponenti del loro entourage nelle istituzioni civili e religiose locali, sono parte di uno ‘stato’ caminese senza però che le loro sorti e le loro istituzioni siano legate a quelle di Treviso. Il vincolo era infatti con le persone dei da Camino, non con le istituzioni.
molto significative sono le relazioni tra G. e i tre episcopati di Treviso, Céneda e Feltre e Belluno. Nel 1284 G. chiama a reggere la città per pochi mesi come rettori dapprima il vescovo di Treviso, Proesavio Novello, esponente di un casato che lo aveva sempre sostenuto, e poi quello di Céneda. Nel 1290 fa eleggere alla cattedra bellunese il figlio Guecellone, canonico di Aquileia e futuro effimero signore di Treviso. L’elezione non viene confermata dal papa, che gli preferisce il francescano Jacopo da Valenza, fatto uccidere nel 1298 dallo stesso G. e dal figlio Rizzardo nella cattedrale di Belluno, e quindi sostituito da un altro francescano, Alessandro Novello, del casato di cui si sono già dette le buone relazioni con i Caminesi. Importanti anche i contatti tra G. e gli ordini mendicanti. Per quel che riguarda i Minori, sappiamo che presso la loro chiesa trevigiana venne realizzato il mausoleo caminese, ora perduto, e lì furono seppelliti sia G. che il figlio Rizzardo. Ai primissimi anni del Trecento risale anche il rifacimento della chiesa dei Domenicani, dove Gaia, figlia di Gherardo, chiese di essere seppellita nel suo testamento del 1311. Di qualche rilievo anche le relazioni con il monastero cistercense di Follina, ubicato sulle colline cenedesi, beneficato dai da Camino fin dalle origini: un monaco di quel cenobio, Leonardo, era massaro del comune di Treviso addetto alla raccolta della colletta comunale ad Oderzo dopo il 1284 (I documenti del processo di Oderzo, p. 146).
si veda quanto precisato sopra.
alla corte di Gherardo è sicuramente attestata la presenza di Ferrarino da Ferrara, ultimo trovatore italiano, già poeta di corte estense e penitente presso il monastero di S. Maria di Porciglia a Padova. La sua Vida ricorda che «quando divenne vecchio (…) andava soltanto a Treviso da messer Gherardo da Camino e dai suoi figli, i quali lo onoravano molto (…)» (Peron, p. 516). Sul piano della politica scolastica, lo statuto del 1284 obbligava il podestà ad assumere entro un mese e mezzo dall’assunzione della carica un medico con il compito di «legere et studere in arte physice et tenere scolas in civitate Tarvisii»; lo stesso statuto ingiungeva al doctor legum Bonincontro di Arpo di abitare a Treviso «ad docendum scolares in legibus» e ad offrire al comune la sua consulenza legale (Betto 1986, p. 66). Infine, un documento del 1316 ci fa sapere che il giudice Guido dei Visdomini da Parma da dieci anni e più insegnava leggi a Treviso (Marchesan, p. 238).
appoggiato dall’élite trevigiana, con l’eccezione dei Castelli e di pochi altri loro sostenitori ghibellini, G. dovette affrontare sul piano interno la congiura orditagli nel 1291 dal cugino e genero Tolberto III da Camino, che fu scoperta per tempo: Tolberto e il fratello Biaquino, esiliati, trovarono accoglienza a Venezia, a cui rimisero anche i loro castelli. Nel giro di pochi mesi tuttavia la frattura fu ricomposta. Una seconda congiura fu ordita nel 1305 da personaggi di secondo piano, stranieri o istigati forse da nemici esterni di G. (Cangrande?), ma anche questa fu scoperta grazie al fondamentale contributo delle autorità ducali veneziane, che arrestarono i congiurati radunatisi nell’isola di Poveglia.
celebre il giudizio di Dante, che in Pg XVI (vv. 120-126 e 132-139) e nel Convivio, IV, 16, esalta il valore e la cortesia del «buon Gherardo». Il cronista bolognese Francesco Pipino (1270-post 1328) lo definì «tyrannus aequissimus et tolerabilis satis». Alcuni testimoni del processo Avogari del 1314 ricordano invece il carattere arbitrario della signoria di G., che imponeva ai podestà di fare ciò che il signore voleva e faceva intervenire nel Consiglio dei Trecento rustici e distrettuali che non ne facevano parte per condizionare la volontà dell’assemblea (Il processo Avogari, pp. 491-492).
morte di G.
Fonti: H. Wiesflecker, Die Regesten der Grafen von Tirol und Görz, Herzöge von Kärnten, II, 1, Innsbruck 1952, nn. 1, 303 s., 315-341, 498; S. Morao, L'Anonimo Foscariniano, inedita cronaca trevigiana del secolo XVI, tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, a.a. 1967-1968; Gli statuti del comune di Treviso (sec. XIII-XIV), a cura di B. Betto, Roma 1986 (Fonti per la Storia d’Italia, 111), Appendice II. Lo statuto caminese del 1283-1284, pp. 49-274, N. Faldon, L’Allegatio dei Conti da Camino contro il Vescovo di Ceneda Francesco Ramponi. La relativa Tabula e il così detto Registo, in Il dominio dei Caminesi tra Piave e Livenza, Vittorio Veneto 1988, pp. 147-250; I documenti del processo di Oderzo del 1285, a cura di D. Canzian, con una nota giuridica di I. Soffietti, Padova 1995 (Fonti per la Storia della Terraferma veneta, 9); F. Girardi, I documenti Caminesi conservati presso l’Archivio di Stato di Modena, in I da Camino. Capitani di Treviso, Feltre e Belluno, signori di Serravalle e del Cadore, Godega di Sant’Urbano (TV) 2002, pp. 241-315; Il processo Avogari (Treviso 1314-1315), a cura di P. Cagnin, con un saggio introduttivo di D. Quaglioni, Roma 1999 (Fonti per la Storia della Terraferma veneta, 14); Il processo tra il comune di treviso e il patriarca di Aquileia (1292-1297), a cura di R. Simonetti, Roma 2010 (Fonti per la Storia della Terraferma veneta, 26).
Bibliografia: G.B. Picotti, I Caminesi e la loro signoria in Treviso dal 1283 al 1312, Livorno 1905 (rist. anast. con aggiornamento e e documentazione fotografica a cura di G. Netto, Roma 1975), pp. 225-241; G. Biscaro, Il delitto di G. e di Rizzardo da Camino (1298), «Nuovo archivio veneto», n.s.,, XXVIII (1914), pp. 388-415; A. Marchesan, Treviso medievale: istituzioni, usi, costumi, aneddoti, curiosità, 2 voll, Treviso 1923 (seconda rist. anast. Bologna 1977, presentazione e aggiornamento bilbiografico di L. Gargan), ad indicem; G. Biscaro, I falsi documenti del vescovo di Ceneda Francesco Ramponi, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio muratoriano», 43 (1925), pp. 93-178; G. Biscaro, Dante e il buon Gherardo, «Studi medievali», n.s., I (1928), pp. 74-113; F. Ercole, Comuni e Signori nel Veneto (Scaligeri Caminesi Carraresi). Saggio storico-giuridico, in Id., Dal Comune al Principato. Saggi sulla storia del diritto pubblico del Rinascimento italiano, Firenze 1929, pp. 53-118; voce in DBI, XVII, Roma 1974, a cura di J. Rjedman, pp. 245-249; B. Betto, Lo statuto caminese trevigiano del 1283-1284, Venezia 1977; G.M. Varanini, Istituzioni, società e politica nel Veneto dal comune alla signoria (secolo XIII-1329), in Il Veneto nel medioevo. Dai comuni cittadini al predominio scaligero nella Marca, a cura di A. Castagnetti e G.M. Varanini, Verona 1991, pp. 263-422; G. M. Varanini, Istituzioni e società a Treviso tra comune, signoria e poteri regionali (1259-1339), in Storia di Treviso, a cura di E. Brunetta, II, Il Medioevo, a cura di D. Rando e G.M. Varanini, Venezia 1991, pp. 135-211 (in part. pp. 158-177); G. Peron, Cultura provenzale e francese a Treviso nel Medioevo, in Storia di Treviso, cit., pp. 487-544; D. Quaglioni, Il processo Avogari e la dottrina medievale della tirannide, in Il processo Avogari, pp. V-XXIX; D. Canzian, I conti di Gorizia e l’aristocrazia trevigiana. Politiche signorili tra l’Isonzo e il Sile (1160c.-1320c.), in D. Canzian e G.M. Varanini, I conti di Gorizia e la Marca Trevigiana: tra aristocrazia rurale e comuni cittadini (secoli XII-XIV), in Da Ottone III a Massimiliano I. Gorizia e i Conti di Gorizia nel Medioevo, a cura di S. Cavazza, Mariano del Friuli (GO), 2004, pp. 231-250.