di:
Valentina Dell'Aprovitola
pur non conoscendo con precisione l’anno di nascita possiamo ipotizzare che Ghiberto sia nato intorno all’inizio del XIII secolo; Salimbene da Adam infatti, ricordando una sua visita al signore parmense avvenuta nel 1260, lo descrive come ormai sessantenne. Morì certamente dopo il 1270; a quell’altezza cronologica infatti ritroviamo G. esule ad Ancona, dopo che il suo castello di Compegine fu assediato ed espugnato da Gerardo Boiardo da Reggio, podestà di Parma.
1253-1259
Parma e, per un brevissimo periodo, Reggio.
appartenente al ceto dei milites di Parma, Ghiberto proveniva da una famiglia da sempre inserita all’interno della politica comunale. Personalità di spicco fu certamente il padre di G., Egidio, il quale ricoprì la carica di podestà in numerose città dell’area padana: a Modena nel 1220, a Cremona nel 1228-1229, a Reggio nel 1233 e a Vercelli nel 1240. G. ebbe due fratelli: Guido, che intraprese la carriera politica diventando podestà di Reggio nel 1254, e Guglielmo, che fu abate del monastero benedettino di Leno.
1250: podestà dei Mercanti. 1253-1259: «potestas, rector et perpetuus dominus Communis, Populi et Mercadancie». 1264-1266: podestà della città insieme a Giacomo Tabernerio.
Le prime notizie relative all’attività di G. risalgono al 1254, nel momento in cui a Parma si attuò una separazione tra i sostenitori di Federico II. G. e Gherardo da Correggio seguirono Bernardo di Rolando Rossi che, dopo l’elezione di Sinibaldo Fieschi al soglio papale con il nome di Innocenzo IV, non sentendosi più sicuro all’interno della fazione ghibellina, si allontanò dalla città. Saputo il fatto, Federico II ordinò che questi fossero banditi da Parma e ne distrusse le case. Nel tentativo di rientrare in città G. partecipò alla battaglia di Borghetto del Taro, sfruttando le sue abilità di oratore per stimolare i fuoriusciti ad attaccare sfruttando il fattore sorpresa. Dopo l’esito positivo dello scontro e la successiva presa di Parma, Gherardo da Correggio fu nominato podestà, e G. si occupò di organizzare la difesa della città dall’assedio di Federico II. Negli anni immediatamente successivi alla morte di Federico II, avvenuta nel 1250, G. fu creato podestà dei Mercanti, e questo importante titolo politico-economico lo spinse a cercare accordi con la parte estrinseca di Parma, quella ghibellina, con Cremona e Uberto Pelavicino, nel tentativo di riportare la concordia tra le fazioni. Nel 1253, dopo aver imposto – in quanto “potestas Populi et Mercadancie”– la propria nomina come unico arbitro tra guelfi e ghibellini estrinseci al podestà della città, Enrico da Mozzo, agli Anziani e alla Credenza, G. riuscì a ritagliarsi lo spazio d’azione necessario a legittimare il proprio operato. La conferma della signoria di G. sulla città di Parma si ebbe con la riforma statutaria del 1253, nella quale gli furono attribuiti pieni poteri.
data la precocità dell’esperienza signorile di G., non vi fu mai un riconoscimento formale; tuttavia, pur mantenendo il titolo di podestà, e quindi rimanendo inserito all’interno dell’ossatura politica comunale, G. non mancò di accentrare tutti i poteri nelle sue mani, divenendo di fatto un vero e proprio signore cittadino, come dimostrano le frequenti modifiche del corpus statutario, in particolare quelle degli anni 1253-1255.
gli articoli del nuovo corpo statutario che attribuivano pieni poteri a G. stabilivano che da lui dipendessero tutte le societates armate, le arti e le fortezze del Comune. Il suo mandato sarebbe durato cinque anni, entro i quali avrebbe avuto la potestà di esercitare la piena giurisdizione, di crearsi una milizia personale atta a difendere i diritti di tutti i “cives maiores et minores” di Parma e di rifortificare città e territorio. In più, tutti i precedenti magistrati e i rappresentanti politici in carica fino a quel momento vennero dichiarati decaduti e la città, per cinque anni, non avrebbe più eletto alcuna magistratura comunale, poiché tutti i poteri sarebbero stati accentrati su G., il “potestas Communis, Populi et Mercadancie”. Il suo stipendio fu fissato a 1.500 lire parmensi all’anno. Questo forte potere, unito alle sue prime attività politiche, indirizzate al raggiungimento della pace tra guelfi e ghibellini, permise a G. di presentarsi come il nuovo garante della pace tra le fazioni sempre in lotta, motivo per cui venne anche chiamato nella vicina Reggio, che vedeva minacciato l’ordine e la tranquillità del proprio territorio a causa dell’imminente ingresso in città del vescovo Guglielmo da Folignano, personalità avversa ad una parte dei Reggiani. G., dopo aver scortato in città il nuovo presule, insieme ad una delegazione di cittadini parmensi e di sacerdoti “cum crucibus et vexillis”, riconciliò i partiti avversi “magna cum leticia”. Il pegno che i Reggiani dovettero pagare per questo suo intervento fu la deposizione del precedente podestà e la nomina a tale incarico del fratello di G., Guido.
Ad appena un anno dalla salita al potere, G. rafforzò ulteriormente la sua autorità facendo approvare, il 10 giugno 1254, dal Consiglio di Parma uno statuto che prevedeva il prolungamento della carica podestarile di G. da cinque a dieci anni e che, elemento estremamente importante, stabiliva la trasmissibilità della carica, in caso di morte durante il mandato, ai suoi eredi. Il tentativo di dinastizzazione del potere fu uno dei segni più evidenti del potere acquisito dal signore di Parma. Sempre all’interno dello statuto venne previsto anche un aumento dello stipendio da 1.500 lire parmensi annue a 2.000.
Durante la sua signoria gli statuti vennero ritoccati di frequente, ma solo nel 1255 ci fu una riforma completa del corpo statutario, episodio di una certa rilevanza soprattutto se si considera che questa legislazione rimase in vigore anche per parecchio tempo dopo la fine della signoria di G.
L’interesse a porsi come pacificatore delle fazioni in lotta si manifestò anche nel 1264 quando, dopo anni di assenza dalla scena politica parmense, G. fece ritorno in città e come primo atto politico riuscì, dopo una attenta propaganda, a far approvare una legge che concedeva agli estrinseci la possibilità di tornare in città e di rientrare in possesso dei loro antichi privilegi e possessi.
altalenante tra la parte dell’impero e quella della chiesa, G. ebbe la capacità di sfruttare l’appartenenza ora all’una ora all’altra fazione per potenziare il proprio operato. Dopo un primo legame con lo schieramento ghibellino, passò alla fazione guelfa, con la quale partecipò alla battaglia di Borghetto del Taro contro i Parmensi sostenitori di Federico II, la cui vittoria gli permise di gettare le prime basi per una carriera politica cittadina.
Un importante legame con la parte guelfa e con la testa della politica cittadina parmense si ebbe in occasione del matrimonio tra Guido, definito miles bellicosus et ad proelium doctus, figlio di Gherardo da Correggio, allora podestà di Parma e rappresentante della pars guelfa, e Mabilia, figlia di G.
Quando G. giunse al culmine della sua potenza, negli anni in cui oltre a signore di Parma fu anche podestà di Reggio, la parte guelfa – dalla quale G. si era in parte staccato per dare vita al suo progetto egemonico di signoria personale – iniziò ad osteggiarlo, temendo non vedere più garantiti i propri interessi, sacrificati per dare spazio al potere privato di G. Questa opposizione si rese ancora più evidente in occasione dell’elezione del nuovo vescovo di Parma, dopo la morte di Alberto da Sanvitale nel 1257. Il consiglio della cattedrale propose Giovanni di Donna Rifiuta, maestro di diritto canonico e arciprete, mentre G. propose suo fratello Guglielmo, abate di Leno. Tra i due la spuntò un terzo candidato, Obizzo da Sanvitale, appoggiato del gruppo dei guelfi cittadini, cui faceva capo il cardinale Ottobuono Fieschi. Questa opposizione spinse sempre più G. ad avvicinarsi al partito imperiale; tale avvicinamento ottenne una sorta di ratifica formale quando, nel 1264, in occasione del rientro sulla scena politica parmense di G., egli fu eletto podestà insieme a Giacomo Tabernerio, con il compito di rappresentare in concordia gli interessi del gruppo ghibellino (per G.) e guelfo (per Giacomo).
nel 1254, dopo la prematura scomparsa del fratello Guido, podestà di Reggio, Ghiberto fu investito della carica e governò la città attraverso il vicario Guido de Ancelis, suo nipote. L’uscita dalla scena politica parmense di Ghiberto non gli impedì tuttavia di essere eletto alle più alte cariche cittadine in altre città. Nel 1261 G. fu nominato podestà di Pisa, e durante il suo mandato ottenne numerosi successi, militari e diplomatici, conquistando i castelli di Montecavoli, S.ta Maria in Monte e assediando Fuceccio, e sottoscrivendo a nome del Comune di Pisa un trattato di alleanza con Siena, Pistoia e Volterra.
Nel 1262 fu eletto podestà di Padova; anche in questa città l’elemento di spicco del suo operato fu l’intensa attività diplomatica, che si concluse il 23 aprile con un accordo tra il Comune e le vicine città di Vicenza, Verona e Treviso. Fu proprio durante il suo mandato che a Padova si assistette alla translatio delle reliquie di S. Antonio, per la quale G. organizzò importanti festeggiamenti.
G. si interessò al controllo degli enti ecclesiastici in particolare nel 1257, quando fu necessario eleggere un nuovo vescovo dopo la morte di Alberto da Sanvitale. In quel caso propose come candidato il fratello Guglielmo, già abate di Leno, nel tentativo di ottenere un controllo più capillare della città. La netta opposizione della pars guelfa fece tramontare questo progetto, minando seriamente il potere di G.
Dopo la sua deposizione, nel 1260, G., ritiratosi a Compegine, fu raggiunto da Salimbene de Adam, il quale lo spronò a vestire l’abito francescano, abbracciando la vita religiosa e rinunciando alle glorie mondane. Nonostante l’impegno di Salimbene, questa richiesta cadde nel vuoto perché, secondo il frate, troppa era la voglia di G. di tornare sulla scena politica e vendicarsi dei Parmensi e dei Reggiani che lo avevano deposto dal suo dominio.
Nel suo testamento G. lasciò una consistente donazione ai frati minori e ai frati predicatori di Parma, affinché pregassero per la sua anima, macchiata non solo da peccati politici.
la documentazione a disposizione non lascia tracce di una precisa politica urbanistica adottata da G. Ciononostante, possiamo certamente affermare che durante la sua signoria G. si preoccupò di fortificare i confini del dominio, operazione che tuttavia non valse a proteggere il parmense dalle incursioni in particolare del Pelavicino. In città G. dovette costruire diversi palazzi ad uso residenziale e personale, se è vero che, durante il periodo di recessione economica del 1254, quando la moneta parmense perse fortemente valore, tutti additavano lo stridore tra le origini di “pauper miles” di G. e i lussuosi palazzi da lui edificati.
Evidente fu la manovra dei guelfi reggiani per allontanare G., appena nominato podestà della città, dalla carica. L’ostilità sempre crescente della fazione guelfa, infatti, fece esplodere una serie di tumulti in città, che portarono all’espulsione da Reggio di G. e del suo vicario. In meno di un mese furono annullate le leggi straordinarie del 1253 – con le quali si creava di fatto una signoria – e Reggio tornò al normale regime podestarile.
Uno dei più noti cronisti duecenteschi, Salimbene de Adam, ci lascia un ritratto vivo e interessante di G. Quando andò a trovarlo nel 1260 per proporgli di seguire la vita religiosa, riporta il fallimento del suo tentativo in questi termini: “Laboravi rogans, sed noluit intelligere, ut bene ageret. Nani iniquitatem meditatus est in cubili suo”. L’impressione che Salimbene trasse dal colloquio fu negativa, soprattutto perché il frate vide in G. una forte sete di vendetta nei confronti dei suoi ex-concittadini. A causa delle impopolari misure economiche adottate da G. per far fronte ad una grave carestia con successiva crisi economica, G. nell’opinione pubblica apparve come un affamatore del popolo, un falsificatore di monete, insomma un uomo che agiva “plus ad utilitatem propriam quam communem”. Anche dopo la sua morte la fama di avaro non si staccò dalla figura di G.: in un documento del 1310, infatti, leggiamo che G. realizzò, probabilmente per interposta persona, “usuras et acta in fraudem usurarum”.
i primi segnali del cedimento della fortuna politica di G. si ebbero in occasione dell’elezione alla carica episcopale di Obizzo da Sanvitale, il candidato proposto dalla fazione guelfa ma non appoggiato da G., che sperava di inserire suo fratello Guglielmo. Quando poi, nel 1258, una grave carestia ed una crisi economica, che fecero lievitare i prezzi dei cereali, costrinsero G. a emanare alcune misure restrittive per il controllo dei mercati della città e del distretto, oltre che degli scambi commerciali, per tenere sotto controllo il prezzo dei cereali, la sua popolarità iniziò seriamente a decadere. Il fondo venne toccato quando, per far fronte ai continui problemi economici, G. dovette svalutare la moneta parmense nei confronti della lira imperiale, diminuendo la quantità di argento fino in essa contenuta. Se prima per acquistare un soldo imperiale occorrevano tre soldi parmensi, ora per lo stesso acquisto ne erano necessari quattro. Fu questo provvedimento che gli valse molte delle accuse di falsificatore di moneta. Il regime di G. era sempre più impopolare, ma poteva contare su di un potente organo di polizia, che lasciava largo spazio alle rappresaglie, permettendo a G. di rimanere saldo al dominio della città.
La vera spallata arrivò quindi non tanto da problematiche interne, che avevano però seriamente indebolito l’immagine pubblica di G., quanto da un pericolo esterno: Uberto Pelavicino stava manifestando chiare intenzioni di conquistare Parma. G. tentò di arginare la minaccia attraverso una campagna di fortificazione dei confini e con una propaganda e politica estera fieramente antipelaviciniane. Tuttavia il Consiglio maggiore di Parma, nel dicembre del 1259, temendo una capitolazione della città, depose G. dopo sei anni e otto mesi di signoria, e nominò podestà Inghiramo Frangilasta da Pistoia, che assunse ufficialmente la carica nel 1260. G. si ritirò a Compegine, ma non uscì dalla scena politica italiana.
Fece ritorno a Parma nel 1263 ma, nonostante i suoi impegni, non riuscì più ad ottenere la signoria della città. Fu eletto podestà nel 1264, e ricoprì la carica fino al 1266 quando, con un colpo di Stato del capo della pars Ecclesiae, Baldo da Froa, dovette rifugiarsi prima a Borgo S. Donnino, occupato e saccheggiato dai guelfi nel 1268, poi nel suo castello a Compegine, dove i suoi avversari lo raggiunsero e posero assedio. Solo nel 1270 i podestà di Parma, Gerardo Boiardo da Reggio, riuscì ad occupare il castello e raderlo al suolo. G. riuscì a fuggire e a rifugiarsi come esule ad Ancona, dove morì poco dopo.
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