di:
Valentina Dell'Aprovitola
1270/1280ca – 1321
1303-1316, con interruzioni
Il centro principale della dominazione fu Parma, ma durante il suo periodo di governo riuscì a controllare anche altre città come Reggio e Cremona. Il suo progetto egemonico mirava a creare un’unità territoriale del medio corso del Po ponendo come città cardine Parma.
Nipote da parte di padre di Gherardo da Correggio, colui che nel 1243, nella battaglia di Vittoria, riuscì a strappare la corona imperiale a Federico II e che aveva ricoperto il ruolo di podestà di Parma, e da parte di madre di Ghiberto da Gente, che verso alla metà del XIII secolo riuscì a creare una vera e propria signoria cittadina a Parma. Il padre di G., Guido, morì il 15 gennaio 1299, nel momento di massima fortuna politica: aveva da poco cacciato il vescovo e i principali esponenti delle fazioni avversarie (Rossi e Lupi), detenendo di fatto le redini del potere in Parma.
Nel 1303 per la prima volta viene nominato dominus di Parma. Nel 1309, per assicurarsi un controllo capillare dei ceti popolari, riesce a farsi eleggere Capitano dei Mercanti per cinque anni. Quando l’imperatore Enrico VII scende in Italia G. si schiera dalla sua parte e viene creato cavaliere. Non riesce a farsi nominare vicario imperiale, ma ottiene per lo meno che il titolo sia assegnato al cognato, e fedele alleato, Francesco Malaspina. Nel contempo viene nominato vicario a Reggio e i acclamato dominus a Borgo S. Donnino.
Dopo aver abbandonato il fronte imperiale ed essersi schierato con Re Roberto d’Angiò, G. ottiene da quest’ultimo, nel 1312, la nomina a Capitano Generale di Parma e Capitano della parte guelfa in Lombardia. Nello stesso anno figura anche come dominus generalis di Cremona e di Guastalla.
l’importante retroscena familiare (padre e nonni impegnati da tempo nella politica cittadina) fu sicuramente un fattore determinante dell’ascesa al potere di G. Altrettanto importanti furono le sue doti di lungimiranza e l’essersi posto come pacificatore tra fazioni in lotta. Dopo aver evitato una guerra contro Azzo d’Este e aver collaborato affinché rientrassero in Parma non solo i confinati della pars episcopi ma anche i banditi, G. potè presentarsi come il difensore delle istanze comuni della cittadinanza. Se è vero che da un lato basare il proprio appoggio su una compagine di singoli e gruppi familiari estremamente disomogenea (pars episcopi, pars Ecclesiae e alcuni esponenti della pars Imperii, oltre che il consenso che da sempre aveva nella classe dei mercanti) poteva dare vita ad un potere poco stabile, dall’altro lato certamente questo gli garantiva una forte popolarità e un’ampia base di consenso.
nel 1303, dopo aver sollevato a rumore la città per permettere il rientro a Parma dei fuoriusciti e dei banditi della pars episcopi (cacciati dal padre!), fu acclamato dai suoi amici e dai fuoriusciti appena rientrati – che probabilmente stavano ubbidendo ad accordi stabiliti in precedenza – Signore della città, al grido di “Vivat dominus Ghibertus” (si noti che non essendo ancora cavaliere, G. non avrebbe avuto alcun titolo per essere chiamato dominus; si deve quindi dedurne che dandogli questo appellativo si intendeva proclamarlo signore della città). Il giorno stesso i sostenitori del C. occuparono il palazzo del vecchio Comune e, convocato il Consiglio, lo fecero proclamare: “dominus, protector et defensor civitatis, Communis et Populi, et defensor pacis”, consegnadogli il gonfalone di S. Maria e del Carroccio. Il giorno seguente, il 26 luglio, G. consolidò il proprio potere ottenendo dai membri del Consiglio un giuramento con il quale si impegnavano a difendere e a conservare la sua signoria.
concentrato più sulla politica estera che su quella cittadina, G. attuò in Parma una politica ambiziosa e di prestigio, per la quale fu costretto ad imporre tassazioni spesso sgradite e a eliminare alcuni privilegi ed esenzioni. Alcune famiglie più importanti, infastidite dall’onerosa imposizione fiscale del Correggio, fecero ricorso ai giudici del Capitano del Popolo, vedendosi riconfermate tutte le prerogative di cui godevano in precedenza. Questo episodio permette di capire come, durante la Signoria di G., fossero state mantenute le principali magistrature comunali. In questi anni fu anche ordinato un nuovo estimo della città. Negli anni centrali della sua signoria, una delle preoccupazioni di G. fu quella di allontanare dalla città i nuclei di potere alternativo: sotto l’accusa spesso infondata di complicità con i Rossi, il Correggio mandò al confino o condannò molti degli uomini più in vista della politica parmense. Coerentemente con il suo progetto egemonico, G., utilizzando gli scarsi momenti di tregua, tenta di avviare una circolazione di merci più intensa tra le città, in modo tale da dare al suo disegno politico una base di appoggio anche nelle classi mercantili di cui sempre fu esponente. Ciononostante, la debolezza del consenso interno e la difficoltà nell’espansione esterna, cui si sommò l’incapacità – o la mancata possibilità – di realizzazione di un apparato giudirico-amministrativo che potesse unificare le diverse realtà cittadine assoggettate, resero impossibile la creazione di un saldo dominio del medio corso del Po.
in un complesso panorama di fazioni e particolarismi, Giberto non adottò un sistema di alleanze stabile, ma modulò il suo appoggio sulla base delle esigenze del momento. Dopo essersi presentato come un pacificatore tra le fazioni in lotta, dovette fare i conti con una stabilità che troppo spesso poggiava le basi su fondamenta poco sicure. Nel 1305 l’uccisione di un servo di G. riaccese la lotta tra le varie fazioni cittadine, e a farne le spese furono alcuni dei maggiori esponenti della pars Ecclesiae: i Rossi, i Lupi (inizialmente alla base della fortuna di G. e successivamente tra i suoi più agguerriti antagonisti) e alcuni loro amici, che dovettero ritirarsi velocemente nei loro castelli. Il signore, preoccupato che questo potesse causare una caduta della propria figura politica, per rimanere al potere si appoggiò agli uomini della pars episcopi, fatti rientrare nel 1303 in occasione della pacificazione promossa proprio da G., e a quelli della pars Imperii, rientrati appositamente in quei giorni. Tale cambio di direzione mise però in una posizione critica il signore che, convinto di essere vittima di una congiura ordita contro di lui da Azzo d’Este, si alleò con Bologna, Mantova e gli estrinseci di Reggio e di Modena, oltre che ai tradizionali nemici dell’Estense, e iniziò una lunga guerra contro quest'ultimo. Probabilmente desiderava trovare a Reggio e Modena quell'allargamento della sua signoria che aveva tentato anni prima con Piacenza, senza riuscirci. Dopo alcuni tentativi falliti, nel 1306 G. e la sua lega antiestense riuscirono ad entrare a Reggio, prima pacificamente poi, dopo una insurrezione popolare, con l’uso della forza; mandati in esilio i Canossa, pose come podestà il proprio fratello Matteo. La sua posizione di spicco all’interno della lega antiestense si consolidò con una attenta politica matrimoniale: la figlia Beatrice venne data in moglie ad Alboino della Scala, signore di Verone, mentre la figlia Vanina sposò Francesco Bonacolsi, figlio del signore di Mantova.
Nel 1308 la coalizione di singoli e di gruppi famigliari, estremamente eterogenea, che avevano sostenuto la scalata al potere di G. iniziò a sfaldarsi. Le famiglie che avevano rappresentato la base della fortuna non solo di G., ma anche del padre Guido, si erano da tempo separate in due fazioni: da un lato i Rossi e i Lupi con i loro uomini, che costituivano la pars antiqua Ecclesiae, dall’altro G. e i suoi, che vennero designati dalle cronache del tempo come esponenti della pars nova Ecclesiae. A complicare ulteriormente le cose, molti della pars episcopi, inizialmente grati a G. per aver permesso il loro rientro in città, ora, timorosi dello strapotere cittadino del signore, si schieravano con i Rossi e i Lupi. G. poteva contare solo sull’appoggio della pars Imperii, appoggio che però, in una città guelfa da diverse generazioni, non assicurava un’ampia base di consensi, anche se garantiva l’appoggio di importanti città come Mantova e Verona.
Schieratosi dunque con la fazione ghibellina, fu invitato all’incoronazione imperiale di Enrico VII in S. Ambrogio, occasione nella quale venne creato cavaliere. Dopo aver ottenuto la nomina del cognato Francesco Malaspina a vicario di Parma, cavalcò con l’imperatore alla volta di Brescia e gli consegnò la corona imperiale sottratta da Ghiberto da Correggio a Federico II nel 1248. In cambio ottenne il rafforzamento del proprio potere su Parma e Guastalla e il titolo di vicario di Reggio. I buoni rapporti tra G. e Enrico non durarono a lungo. Quando fu tolto il vicariato a Francesco Malaspina e G. fu convocato a Pavia dal’imperatore, il signore di Parma con un abile voltafaccia rapidamente si unì allo schieramento antimperiale, che in maniera sempre più evidente estendeva la sua influenza su tutto il nord Italia. Fu in questo periodo che Filippone di Langosco sottrasse Pavia all’influenza imperiale e sigillò un patto di alleanza con G. dando la figlia Elena in sposa al Correggio.
Appoggiarsi alla parte guelfa fu una mossa abile, che rafforzò molto il potere di G. in città. Infatti re Roberto d’Angiò, in cambio della signoria su Cremona che G. aveva ottenuto il 17 marzo 1312, nominò il Correggio Capitano Generale di Parma e Capitano della parte guelfa in Lombardia.
Il prestigio della figura politica di G. si segue anche attraverso i quattro matrimoni di cui fu protagonista: sposato per la prima volta con la sorella di Francesco Malaspina, della quale non conosciamo il nome, si risposò nel 1301 con una esponente della famiglia dei da Camino. Nel 1312 sposò la figlia di Filippone di Langosco, e, rimasto vedovo per la terza volta, nel 1314 sposò Maddalena Rossi, figlia di Guglielmino, acerrimo nemico di G. Se in particolare il secondo e il terzo matrimonio dimostrano la potenza raggiunta dal Correggio, il matrimonio con una Rossi testimonia certamente la volontà di pacificazione tra le fazioni in continuo tumulto, ma afferma altresì la necessità di G. di scendere a compromessi con i suoi nemici.
Che i matrimoni fossero uno strumento politico molto utilizzato da G. è evidente anche elencando le unioni dei suoi figli, grazie alle quali si imparentò con i signori di Verona (la figlia Elisa sposò il signore di Verona Alboino della Scala), con quelli di Mantova (la figlia Vanina sposò Francesco Bonacolsi, figlio del signore della città) e con quelli di Brescia (il figlio Simone sposò la figlia di Matteo Maggi di Brescia).
1304: sfruttando la deposizione di Alberto Scotti, G. tentò di proclamarsi signore di Piacenza. Il tentativo fallì a causa di una insurrezione popolare. 1305: proclamato Signore di Guastalla. 1311: Enrico VII lo nomina vicario di Reggio e i cittadini di Borgo S. Donnino lo acclamano Signore. 1312: “dominus generalis” di Cremona e di Guastalla. 1315: eletto Governatore di Pontremoli.
l’unica testimonianza che abbiamo di un forte interessamento nei confronti degli enti ecclesiastici è rintracciabile nel testamento di G., che è anche la carta di fondazione del convento di S. Francesco in Correggio. Il convento avrebbe dovuto ospitare otto-dieci frati, e il loro mantenimento sarebbe stato garantito dal reddito di un mulino. Il consenso di papa Giovanni XXII arrivò solo nel 1332, e a G. venne posta l’epigrafe: Vir pius et iustus/ Templi qui conditur huius:/ Militiae quondam Gibertus clarus in orbem/ Corrigiaeque comes/ Iacet hoc sub marmore tectus.
data la scarsa documentazione specifica, non è possibile dare conto della politica urbanistica adottata da G. Sappiamo però che già da prima del 1308 G. aveva stabilito la sua residenza nel palazzo vescovile. Nel 1312, quando i Rossi, aiutati da Matteo Visconti e dagli Imperiali, si impadronirono dei castelli di Medesano, di Paderno, di Torrechiara e di Borgo San Donnino, nel tentativo di tornare in città, G. promosse una campagna di fortificazione della città.
l’instabilità del consenso di cui godeva G. fu la causa di molte congiure ordite a suo danno. La prima in ordine cronologico risale al 1303; G. aveva da poco preso il potere in città e i rappresentanti delle famiglie degli Enzola e Senaza attentarono alla vita del Correggio, che però riuscì a salvarsi. In quell’occasione perse però la vita Ugardo da Correggio, cugino del signore. Gli attentatori furono banditi dalla città.
Nel 1305 fu ordita un’altra congiura per deporlo dalla sua carica, ma questa volta G. riuscì a sventare in tempo i piani. In quel Azzo d’Este fu accusato, senza reali prove, di aver tramato insieme ai congiurati, cosa che spinse il Correggio a creare una lega antiestense.
Nel 1307, grazie all’appoggio di Verona e Mantova, città appartenenti alla lega antiestense, G. sventò un’ulteriore congiura, probabilmente ad opera dei Rossi e dei Lupi, fuoriusciti.
Nel 1308 i Rossi e i Lupi, aiutati da Giacomo Cavalcabò, rientrarono in città; G. e il fratello Matteo dovettero abbandonare la città e rifugiarsi nei loro castelli. Il Correggio avrebbe fatto ritorno in città appena tre mesi dopo.
nelle cronache G. viene spesso presentato come un uomo generoso, sinceramente amante della concordia e facile al perdono, naturalmente dotato di astuzia e lungimiranza.
La congiura del 1316 era stata preparata da mesi con un accordo tra il Visconti, Cangrande, Bonaccolsi e gli esponenti delle più potenti famiglie parmigiane: Gianquirico Sanvitale, genero di G., Rolando Rossi, suo cognato, Obizzo da Enzola, marito di una sua cugina, Paolo Aldighieri e Bonaccorso Ruggeri, suoi cognati, ed altri. Nonostante l’accorta politica matrimoniale, questa non si era dimostrata sufficiente a garantirgli l’appoggio nel momento in cui, scontratosi, all'esterno con signorie ben più solide della sua, nessuno intendeva seguirlo nel progetto di salvaguardia degli interessi medio padani di Parma, avventura ritenuta troppo pericolosa e troppo arrischiata. Gli atti di governo di Giberto da Correggio furono annullati. Dopo la congiura G. si ritirò nei suoi castelli di Guardasone, Castelnuovo, Campegine e Bazzano e da Guastalla cercò di rientrare in Parma. Non potendo però contare sull’appoggio di Cremona, al Correggio non rimase alternativa che affidarsi a Roberto d'Angiò e ai suoi alleati. Dopo alcune imprese vittoriose condotte al fianco di re Roberto per la difesa di Genova, tra il 1318 e il 1319, G., in qualità di Capitano Generale delle forze guelfe, mosse guerra a Modena, difese Brescia e ne riconquistò diversi castelli nel contado, entrò con i Cavalcabò in Cremona e nel 1321 riuscì ad unire un forte esercito nelle terre parmensi. Gli eventi non gli furono però favorevoli: gli alleati dovettero lasciare il campo prima della battaglia (i Torriani mossero verso Brescia e Spinetta Malaspina fece ritorno in Lunigiana, minacciata dai Lucchesi), e lo stesso G. si ammalò gravemente. Morì, il 25 luglio 1321, a Castelnuovo Sotto, senza essere riuscito a rientrare in città.
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